

l'infuori delle due torri poligone di esso,
le quali corrispondono alle due torri di
Palazzo Madama, prcspicienti la piazza
Castello verso via Garibaldi, di cui uni–
camente la sommità rimane a noi oggi
visibile dietro la scenografica facciata
monumentale del ]uvarra. Grosso modo ,
il complesso della costruzione si man–
tenne integro per circa quattro secoli,
sino all'epoca cioè del crollo dell'Impero
e delle alluvionali calate barbariche.
Altri residui, conservatisi sino ai tempi
moderni andarono, infatti, distrutti tra
il
1718 ed
il
1721, allorquando le opere
preliminari all'erezione della facciata set–
tecentesca imposero di sopprimere gli
ultimi resti della porta stessa e con
essi le relative fondamenta, dovendosi
scendere, per la realizzazione del pro–
getto juvarriano, ad una profondità as–
sai maggiore di quella in cui affondava
le proprie basi l'edificio romano. Ci per–
mangono, tuttavia, a parziale consola–
zione della loro inevitabile perdita alcuni
frammenti di bassorilievi d'epoca impe–
riale (a soggetto inequivocabilmente mi–
litare, pregevolissimi per l'eleganza stili–
stica e per l'aristocratica e perfetta de·
finizione delle forme), frammenti tutti
conservati presso il Museo d'Antichità
di Torino e che indubbiamente facevano
parte del complesso decorativo della
« Decumana ».
T'ali bassorilievi emersero nel corso degli
scavi praticati nel 1901 e nel 1923.
Porta Decumana
Il dissolvimento dell'Impero Romano
con le tragiche traversie che ' ne deri–
varono, annullò l'importanza militare e
strategica della Porta Decumana, grave–
mente menomata anche nelle strutture
murane.
A cotesta tragica parentesi sopravvis–
sero intatte unicamente le due torri, sola
reliquia oggi superstite di una tramon–
tata potenza.
Alla fine dell'XI secolo, viceversa, allor–
quando cioè, anche Torino, assurse alla
dignità di libero Comune, gli sguardi dei
reggitori della cosa pubblica si concen–
trarono nuovamente sulla Porta, cui ven–
ne attribuita oltre ai soliti compiti mi–
litari perfino una funzione di indole pret–
tamente fiscale utilizzandola pure quale
posto di blocco per la riscossione di quei
pedaggi, imposti ad ogni mercante che
si fosse avventurato entro la munitissi–
ma cerchia urbana.
Il vetusto edificio venne perciò rabber–
ciato alla meno peggio, coll'erezione di
miseri quartieri per alloggiamento dei
corpi di guardia (se ne scoperse traccia
negli scavi 1883-85). Peraltro, in tale
40
epoca, si badava più alla praticità che
all'estetica. Ospite assai onorato, parti–
colarmente sensibile al fascino di Torino
fu pure il famigerato «Cesare» Fede–
rico Barbarossa intrattenutosi fra noi
(occorre scriverlo?) non in veste di tu–
rista. Tuttavia con somma sua soddisfa–
zione e nel 1178 e nel 1185, non però
nei primitivissimi abituri appiccicati alla
Decumana, bensì nel più accogliente, per
quei tempi,
«(
Palatium Communis Tauri–
ni », identificabile col « Palatium Impera–
toris de Taurino » che ci proponiamo il–
lustrare in altra circostanza .
Saltando d'un sol balzo le vicende del
tochè Guglielmo VII, ritenendosi malsi–
curo dei propri domini, anche conside–
rando e l'insidiosità dei tempi e le scar–
se dimostrazioni di lealtà fornitegli dai
nuovi sudditi, ritenne saggio cautelarsi
verso eventuali colpi di scena, trasfor–
mando l'edificio romano in una «casa
forte», dotata di tutti gli accorgimenti
suggeriti dalla scienza militare contem–
poranea, onde garantirsi da qualsiasi ipo–
tizzabile sorpresa.
A tal fine il marchese appoggiò, a ridos–
so della porta romana,
(l)
(cioè sul suo
lato esterno), un castelletto merlato, in
cotto, a struttura quasi rettangolare,
Veduta di piazza Castello, in una incisione in rame di Giorgio Tasnière.
È
assai interessante per l'architettura della vecchia facciata di Palazzo Madama
comune torinese , intricatissime (al pari di
quelle di tutti gli altri comuni dell'alto
medioevo), il cui dominio si disputavano
il Vescovo, i Vicari: Imperiali ecc. ecc.
ci
è
giocoforza giungere, onde appog–
giarci ad una data sicura, al maggio 1276
che vede Guglielmo VII, marchese di
Monferrato, ascendere al rango di Signo–
re della nostra città. Dominio brevissi–
mo, e tosto duramente contrastato dai
Savoia, che in qualità di nipoti di Ade–
laide di Susa vantavano diritti, giuridi–
camente ineccepibili, al possesso della
Città. La circostanza agli effetti della
storia edilizia di Porta Decumana ac–
quista un suo spicco particolare, inquan-
guarnito, al sommo dei due spigoli del
muro, dominante la campagna che si
stendeva verso il Po, da due torricelle
« in sporto », che consentissero di segna–
lare l'approssimarsi dei temuti aggressori.
La costruzione guglielmina occupava,
quanto ad estensione, circa la metà del–
l'area dell'edificio, nelle proporzioni in
cui esso è giunto sino a noi, essendo
stata allungata, sempre in direzione del
Po, nel sec. XV. Anche la sua altezza
(causa le sopraelevazioni operate nel
Seicento e nel Settecento) risultava sen–
sibilmente inferiore all' attuale. All' in–
terno si apriva un vasto cortile, rico–
perto poi da volte a crociera, che oggi
corrisponde al vano accessibile dall'atrio
juvarriano.
Dopo appena un quadriennio, però, e
nonostante si numerose e dispendiose
precauzioni difensive, Guglielmo cadeva
vittima di un tranello tesogli dall'astuto
Tommaso
III
di Savoia, mentre, nella
primavera del 1280, si recava presso
il
suocero Re di Castiglia: giunto a Va–
lence, infatti, uno stuolo di savoiardi, fa–
voriti dal Vescovo Amedeo di Roussil–
lon, lo catturava traducendolo in catene
a St.-Maurice de Rotherens (Bugey).
Avrebbe riacquistata la libertà soltanto
restituendo ai Savoia i carpiti domini
tra cui Collegno, Grugliasco, Torino, in–
clusavi la: «Domus de forcia quam ibi
de novo, aedificavimus ». Così nella per–
gamena sottoscritta (con il groppo in
gola) il 21 giugno successivo!
Domus de forcia
Occorre a questo punto tener presente
che « Il Castello di Torino» (come giu–
stamente avverte
il
Telluccini) «
veniva
più che altro considerato dal ((Signore"
come un'insegna del suo dominio»
e).
Proprietaria rimaneva pur sempre la Cit–
tà di Torino, che, fiera tutrice del pro–
prio recente ordinamento comunale, ri–
conosceva bensì la Signorìa dei Savoia ,
ognora ancorati preminentemente ai
possessi transalpini, e tributava ad essi
di conseguenza
il
dovuto om:;tggio con i
relativi gravami pecuniari, a patto però
che
il
soggiorno dei loro rampolli fra le
mura della « Domus de forcia » si' ridu–
cesse annualmente al periodo di tempo
strettamente indispensabile. Risiedeva
perciò nel Castello, in rappresentanza
del Podestà, il «Vicario» (unitamente
ad otto «clienti» e due «gaytiis»),
suo ufficiale con compiti di alta polizia,
e che alla fine del sec. XIII rispondeva al
nome di Giacomo de Chercheto. Le spese
per la manutenzione invece erano affidate
al controllo di un altro funzionario, ossia
il « Chiavaro », un amministratore « sic
et simpliciter ».
Tommaso
III,
morto nel 1282, lasciò co–
me successore il figlio minorenne Filip–
po sotto la tutela della madre Guia di
Borgogna, la quale, olimpicamente disde–
gnando di abbandonare la Savoia, delegò
il governo del Piemonte al cognato Ame–
deo V, nelle cui mani in nome di Filip–
po
il
chiavaro prestò giuramento. Se–
nonchè Filippo figlio di Tommaso
III,
conseguita la maggiore età nel 1294, as–
sunse
il
possesso dei domini cisalpini
conseguendo, in virtù dello sposalizio con
Isabelle de Villehardoin, il titolo di
Principe d'Acaja. Costui scelse però Pi–
nerolo come dimora prediletta e capitale
delle terre subalpine.