

fondamentale della ricerca degli studiosi.
L'ordinamento fatto dal Bencini venne
in sostanza lasciato immutato, salvo
poche varianti, corrispondendo alla col–
locazione negli armadi: tale segnatura
venne sempre citata, ma
il
Pasini ordinò
i manoscritti per lingue e nell'ambito
di ogni lingua li numerò romanamente.
Le descrizioni del catalogo del Pasini
non sono sempre migliori di quelle del
Bencini, che tuttavia
il
Pasini utilizzò
senza farne alcuna menzione nel suo
lavoro.
È
da notare però che il catalogo
del Pasini si presenta per molti mano–
scritti come uno studio critico filologi–
co, con la pubblicazione inserita di di–
versi testi inediti greci e latini, l'ana–
lisi minuziosa del contenuto di molti
codici miscellanei, la critica del testo per
varie lezioni giudicate spurie o cor–
rotte, le attribuzioni di diversi codici
adespoti o anepigrafi, le assegnazioni
delle date, l'esame delle proprietà re–
mote e delle provenienze, la ricostru–
zione della composizione originale del
manoscritto, ecc. Questo non per tutti i
codici naturalmente : ché per parecchi
la descrizione è invece troppo sommaria
e sarebbe stata desiderabile un'introdu–
zione generale meno polemica e più
ricca di dati concreti, utili per la storia
della biblioteca.
La biblioteca si veniva intanto arric–
chendo. Costituitasi con i diecimila vo–
lumi della libreria regia, gli oltre quat–
tromila della libreria civica e il fondo
di entità imprecisata della libreria uni–
versitaria, aveva avuto accessioni rego–
lari: per acquisti fatti sia con la dota–
zione annua sia con il lascito dell'in–
fante Maria di Savoia ricevuto nel 1729,
per diritto di stampa, per versamenti
dei professori e per doni vari, tra i
quali continuarono quelli del re, come
appare documentato da due manoscritti
della Biblioteca
Na~ionale
(R.I.12, R.I.
14) contenenti
l'Elenco dei libri donati
dal
1729
al
1739
e
l'Indice
dei libri
che nella descrizione fattasene il
2
di–
cembre
1751
si sono ritrovati nella bi–
blioteca di S.A.R. il Signor Duca di
Savoja,
veramente cospicuo per la quan–
tità e soprattutto
il
valore delle opere
versate, collezioni a stampa importanti
come opere di studio, di livello certa–
mente universitario. Nel 1753 la biblio–
teca aveva già superato i 32.000 volu–
mi. Passarono alla biblioteca i libri di
Pietro Giannone (morto nella Cittadel–
la il 1748), quelli della soppressa abba–
zia di S. Maria di Casanova (1782),
quelli provenienti dal Castello di Agliè
(passato ai Savoia nel 1764).
Dal 1770 al 1787 la biblioteca fu di–
retta da Francesco Berta, giansenista,
cui successe l'abate Roffredo. Occupato
il Piemonte dai Francesi,
il
18 luglio
1801 (28 messidoro dell 'anno IX) la
Biblioteca Universitaria fu dichiarata
« Nazionale », poi «Imperiale» sotto
Napoleone. Ricevette 30.000 volumi
delle corporazioni religiose e conventi
soppressi: tra essi,
il
codice detto
Aro–
nensis,
del
De imitatione Christi.
La
Biblioteca Nazionale conserva uno dei
cataloghi di questi conventi: quello di
S. Lorenzo dei Teatini, del 1791 (ms.
R.I.4), che costituÌ documento di ver–
samento. Bibliotecario nel periodo na–
poleonico fu Carlo Denina, uno dei
letterati più noti del tempo , membro
di diverse accademie scientifiche, cui
Napoleone affidò la sua biblioteca pri–
vata : il bibliotecario reggente era Giu–
seppe Vernazza, barone di Freney, che
insieme al
Dizionario dei tipografi,
pub–
blicato postumo, ci ha lasciato interes–
sante materiale stampato e manoscritto
ad illustrazione della biblioteca.
Con il rientro del re di Sardegna nei
suoi stati, la biblioteca tornò ad essere
Regia Biblioteca Universitaria e ne as–
sunse la direzione Giovanni Antonio
Bessone. Assistente, con l'incarico d'in–
segnare le lingue orientali, era Amedeo
Peyron, allievo di Tommaso Valperga
di Caluso, che alla sua morte, nel 1815,
legò alla Biblioteca dell'Università oltre
600 manoscritti, incunabuli e pubblica–
zioni, testi e studi delle lingue orientali
e più particolarmente della lingua ebrai–
ca.
Il
catalogo del fondo Caluso venne
pubblicato dal Peyron a Lipsia nel
1820, l'anno in cui giungeva a Torino,
all'Archivio delle RR. Finanze, l'archi–
vio del soppresso Monastero di Bobbio,
la cui celebre biblioteca, dopo le varie
note dispersioni (tra le quali gli acqui–
sti per le biblioteche Ambrosiana nel
1606 e Vaticana nel 1618), era andata
venduta all'asta nel 1803.
Fondamento dell'istruzione
Amedeo Peyron si era già interessato
ai codici bobbiesi che la Biblioteca Uni–
versitaria possedeva, provenienti dalla
Libreria ducale
(il
Lattanzio
già cita–
to , il
Sedulio-Cereale
del VII secolo
e due codici che riconobbe come palin–
sesti e che vennero da lui smembrati
per costituire le famose cartelle a.
II.
2,
le cui scritture del IV-VI sec. ci restano
nei facsimili ben noti ai paleografi, poi–
chè gli originali andarono miseramente
distrutti nell'incendio del 1904): grazie
al conte Prospero Balbo egli ottenne
di vedere subito le carte bobbiesi e
il 15 aprile 1820 ne ottenne in conse–
gna diversi fascicoli , tra i quali parte
di due codici di S. Cipriano del sec. V
e di un codice di S. Ambrogio del
sec. VI, ma sopratt4tto
l'Inventarium
del 1461 della Biblioteca di Bobbio,
che - perduto ormai l'antichissimo
catalogo del sec. X pubblicato dal Mu-
Histoire
du Roy
Arthus
manoscritto
membranaceo
del XIV secolo
ratori
costitUIsce il più antico in–
ventario che attualmente si possegga di
quella antica e famosa biblioteca. Que–
sti cimeli, presi in consegna dal Peyron
tre anni prima della consegna delle carte
bobbiesi agli Archivi di Corte (Archi–
vio di Stato), sono oggi conservati nella
Biblioteca Nazionale. L'esame dell'in–
ventario del 1461 convinse Amedeo
Peyron a sollecitare dal conte Balbo
l'incarico di fare un viaggio a Bobbio,
per cercare di recuperare , se fosse stato
possibile, l'ultima parte della biblioteca
bobbiese, andata all'asta nel 1803. L'esi–
to del viaggio fu quanto mai fortunato:
il 2 settembre 1820
il
Peyron rientrava
a Torino con più di trenta manoscritti
e venti incunabuli, nonchè altri cimeli
trovati altrove. Successivamente, tra
il
1823 e il 1824, più di trenta codici
bobbiesi furono ulteriormente acquisiti,
secondo la notizia data dallo stesso
Peyron, nell'errata-corrige datata 8 feb ·
braio 1825 inserita" ne-U'opera
M.
Tulli
Ciceronis orationum pro Scauro, pro
Tullio et in Clodium fragmenta inedita,
da lui pubblicata a Stoccarda e Tubin–
ga nel 1824, con quella magistrale in–
troduzione
De Bibliotheca Bobiensi
Commentarius,
che resta
il
primo studio
ancora in gran parte valido sulla biblio–
teca del Monastero di S. Colombano.
Con i manoscritti bobbiesi la Biblio–
teca Universitaria acquisiva un fondo
di straordinario valore, in gran parte
salvato dall'incendio del 1904, compreso
il
codice k degli Evangeli
(G.
VII. 15),
del sec. IV, il più antico manoscritto
della Biblioteca Nazionale.
Il
Pasini nel suo catalogo del 1749
aveva descritto 2104 manoscritti: 169
ebraici, 369 greci, 1184 latini, 210 ita–
liani, 172 francesi. Nel 1818 sappiamo
che
il
loro numero era già salito a 3153
complessivi; nel 1900 alla vigilia del–
l'incendio il loro numero era di 4138
(circa 4500, affermerà Carlo Frati nel
1904, subito dopo l'incendio). Gli incu–
nabuli nel 1818 sommavano a 958 e nel
1900 erano saliti a 1095.
Il
patrimonio
librario, che nel periodo napoleonico si
era avvicinato ai 100.000 volumi, aveva
toccato i 200.000 nel 1872 e era sui
300.000 nel 1904. La Biblioteca Uni–
versitaria diviene sempre più importante
nella vita culturale torinese e piemon·
tese: cosÌ possiamo leggere nell'« Opi–
nione » del 31 ottobre 1849 un articolo
polemico di Aurelio Bianchi-Giovini,
perchè la biblioteca non spenda la sua
dotazione ad acquistare soltanto incu–
nabuli, aldine, elzeviriane e simili, ma
acquisti più largamente opere moderne
utili agli studi. Certo la biblioteca, con
il progredir delle scienze e con
il
dif–
tondersi degli studi e in particolare del–
l'istruzione superiore, si rendeva sem–
pre più necessario, direi anzi insostitui-
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