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'unai

ne"e

principo'i

rocco'te

'ibrorie

L'impressione comune fra gli uomini di cultura, gli

specialisti, i ricercatori, è che Torino sia una città

in cui si studia male, con mezzi scarsi, faticosi e

dispersi. Le cose, a ben guardare, non sono poi cosÌ

scoraggianti, soprattutto se raffrontate alla situazione

di tanti e tanti altri centri illustri per tradizioni cul–

turali, in Italia e fuori: sicché sembra opportuno

guardarci attorno, misurare esattamente i termini del

problema, vedere quello che si potrebbe fare e quello

che oggi, coi nostri mezzi, è francamente impossibile,

non dico attuare, ma neppure sperare.

L'ideale dello studioso, si sa, è quello di una pura

utopia: un immenso locale silenzioso, fresco, illu–

minato, disponibile ventiquattro ore su ventiquattro-,

dove tutti i libri stampati da Gutemberg in poi si

trovino raccolti in perfetto stato di conservazione e

di accessibilità. Un sogno vano, almeno fino al giorno

in cui microschede e proiettori non consentiranno di

concentrare masse enormi di stampati in minimo spa–

zio e di riprodurre in miriadi di esemplari i più rari

cimeli. Per ora, tutte le biblioteche, anche le più

grandi ed efficienti del mondo - il British Museum,

la Nationale parigina, la Saltykov Sedrin di Lenin–

grado - non sono che una misera ombra di questo

ideale. La più grande fra tutte - la Library of

Congress di Washington - che sta avvicinandosi

al traguardo incredibile di cinquanta milioni di stam–

pati, rischia di diventare una immane montagna im–

praticabile, una torre di Babele destinata a franare

su se stessa. Se il profano riuscisse a valutare la

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somma di esperienza, impegno e fatica che occorre

per reperire, acquistare, rilegare, inventariare, collo–

care, catalogare, conservare, distribuire anche un solo

libro, si renderebbe subito conto che una biblioteca

realmente efficiente esige uno sforzo economico, un

impegno sociale cosÌ vasto, che le strutture delle

moderne comunità possono sopportarlo solo in modo

parziale, approssimativo e insufficiente. Si pensi, tanto

per fare un esempio, che la piccola, graziosa biblio–

teca di Hartford (Connecticut) dispone di un bilancio

annuo non inferiore ai due miliardi di lire, e sarà

facile capire perché tutte le biblioteche italiane vi–

vano in condizioni penose, spesso alloggiate in edi–

fici vetusti o cadenti, con personale scarso e mal re–

tribuito, con cataloghi lacunosi o arcaici, affiancando

in maniera disorganica e casuale vecchi fondi acca–

demici o di corte, reperti di sequestri conventuali,

donazioni occasionali di privati, discontinui depositi

legali imposti da leggi mal concepite e mal rispettate,

scarni acquisti dispersi su un arco che, per voler ab–

bracciare lo scibile umano, finisce in realtà per ab–

bracciare

il

nulla.

Strumento di lavoro

A queste generali carenze si assommano, nel caso

di Torino, quelle derivanti dalla storia peculiare della

città e del Piemonte. Centro

di

una regione peri–

ferica e isolata sfiorata appena dalle correnti più

vive del Rinascimento, spartita e predata più volte

da eserciti stranieri, votata duramente a una sua mis–

sione amministrativa e militare, la piccola Torino

del Cinque e del Seicento non ebbe agio di ammas–

sare grandi tesori librari; la sua stessa Università,

concepita a lungo come dimessa scuola per pubblici

funzionari, tardò a divenire un autentico centro di

cultura. Se si aggiunge l'esiguità demografica dell'ag–

gregato urbano, i conventi non colti né doviziosi, l'ari–

stocrazia più militaresca che dotta, sarà facile com–

prendere perché, al sorgere delle prime biblioteche

pubbliche, al principio del Settecento, i libri dispo–

nibili in loco non fossero né copiosi, né - di regola -

insigni.

Sagge provvidenze sovrane, elargizioni cospicue, zelo

di dotti bibliotecari consentirono poi di innalzare

la Biblioteca Universitaria torinese al rango delle più

dotate d'Europa: ma, dopo l'Unità, questi impulsi

si vennero affievolendo e due rovinosi incendi, a di–

stanza di quarant'anni l'uno dall'altro - frutto di

avverse fatalità favorite da imperdonabili incurie

e leggerezze - hanno inferto alla Biblioteca ferite

che sembrano irreparabili.

Per buona sorte, numerose altre iniziative pubbliche

hanno preso l'avvio negli ultimi due secoli cbl fine

di accrescere e tutelare il patrimonio bibliografico to–

rinese: l'Accademia delle Scienze (1786), la Biblio–

teca Civica (1869), il Museo del Risorgimento (1899),

la Biblioteca Reale (apetta al pubblico nel 1948),

infine quella della Provincia (1956), destinata a di–

ventare depositaria di tutte le testimonianze sulla

storia e sulla vita piemontese. Questo complesso di

istituzioni accoglie circa un milione e seicentomila

volumi, forse diecimila periodici, e ad esso si affianca

quell'altro gigantesco insieme di raccolte appartenenti

de"o nostro

alle Facoltà e agli Istituti Universitari, disperso in

oltre cento sedi separate, mai esattamente computato,

ma che nel complesso dovrebbe assommare ad un

totale di volumi non minore di quello indicato per

le pubbliche raccolte (la sola biblioteca della Facoltà

di Lettere supera i 150.000 volumi).

Non sono dunque i libri che mancano, a stretto rigore,

bensÌ le possibilità di valersene agevolmente, per

difetto di accessibilità, di catalogazione unificata, di

coordinamento. Orari di apertura ristretti, dislocazioni

disagevoli, laboriose autorizzazioni sono fra le più con–

suete remore che il ricercatore trova disseminate sulla

sua via. L'eccessiva polverizzazione dei fondi obbliga

a ricerche dispersive, a peripli scoraggianti. In attesa

delle auspicate fusioni di tante piccole raccolte di–

sparate in sedi unitarie e razionali, dove potrebbero

allogarsi in funzionale continuità senza rinunciare alla

propria autonomia,

il

primo provvedimento urgente

sarebbe la progressiva duplicazione e fusione dei ca–

taloghi in un generale repertorio centralizzato. Per

mia iniziativa, e sotto

il

patrocinio autorevole del–

l'Accademia delle Scienze, è attualmente in corso di

redazione un

Catalogo delle pubblicazioni periodiche

esistenti nelle Biblioteche del Piemonte,

che presto

diverrà - se gli enti pubblici non faranno mancare

i modesti appoggi necessari - uno strumento di la–

voro di universale utilità e un vero

«

economizzatore »

di preziose energie.

Ma bisognerà procedere oltre e unificare via via i

cataloghi degli stampati, soprattutto spezzando l'iso–

lamento degli Istituti universitari autonomi, che di–

spongono di fondi cospicui e di altissime attitudini

selettive, ma non hanno ombra di personale quali–

ficato a conservare e catalogare i libri e vivono in un

anacronistico isolamento, senza precisa divisione di

settori di competenza, senza

il

rigoroso coordinamento,

che solo consentirebbe ad essi di cooperare a quella

funzione di generale documentazione scientifica a be·

neficio dell'intera comunità, che le biblioteche pub–

bliche sono ormai lontanissime dal poter assolvere.

Quanto alla Nazionale, o la si saprà orientare al più

presto verso le sole discipline umanistiche e gli stru–

menti della generalissima consultazione, o ben tosto

i suoi esigui mezzi, estenuati in mille direzioni vel–

leitarie, la costringeranno a fungere da mera biblio–

teca di conservazione, cioè a deposito casuale e di–

sarticolato di libri purchessia, magari insigni per pre–

gio e rarità, ma disutili a qualsiasi organico lavoro

di ricerca.

Nelle pagine che seguono, in questo numero e ancora

nel prossimo, i benemeriti Direttori delle principali

raccolte librarie torinesi illustrano o illustreranno le

vicende storiche e i cimeli insigni delle Istituzioni cui

essi presiedono. Prima di accostarsi a cosÌ illustri ri–

cordi, vorrei che il lettore sentisse un piccolo brivido

di apprensione e di allarme : la scienza moderna si

sviluppa, in tutti i campi, con rapidità vertiginosa, la

produzione libraria mondiale si dilata anno per anno

con ritmi impressionanti; il bisogno di libri, col cre–

scere del tenore di vita e delle più che legittime aspi–

razioni al sapere, tende a dilagare. Sarebbe grave per

il nostro avvenire che la grande e operosa Torino del

secolo XX nori riuscisse a compiere per le proprie bi–

blioteche quello che seppe realizzare a suo tempo, con

alta consapevolezza civile, la piccola capitale del Re–

gno Sardo.

Luigi Firpo

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