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L'antico stabilimento del «Gazometro » sorto in Borgo

Dora

-

per l'intraprendenza dei frat elli Albani

-

nel

1851

I moti torinesi del 21-22 settembre 1864 sono, con

i loro morti e feriti , il segno al tempo stesso più

clamoroso e più doloroso della consapevolezza che

la capitale del regno di Sardegna, diventata nel 1861

capitale del regno d'Italia , ha della crisi che la colpirà

col trasporto della corte e del governo a Firenze in

seguito alla convenzione italo-francese del 15 settembre.

Gli anni immediatamente successivi al trasferimento di

tutto l'apparato centrale dello Stato confermeranno

le pessimistiche previsioni dei torinesi . Non si trattava

soltanto di una questione di prestigio, di una ferita

all'orgoglio municipale. Mentre nel periodo cavouriano

la popolazione era aumentata con ritmo crescente,

tanto da salire nell'ultimo triennio, fra il 1858 e il

1861, da 179.635 a 204.715 abitanti, negli anni dal

1864 al 1868 scenderà da 218.234 a 191.500. Sono

cifre di per se stesse eloquenti. Non solo Torino

traeva dall'essere capitale la ragione della presenza

di circa un settimo della sua popolazione, ma questa

presenza era - come direbbero gli economisti - un

vero e proprio « moltiplicatore », poiché comportava

a sua volta tutta una serie di conseguenze economiche,

sociali, etico-politiche. Essa concorreva in misura no–

tevole ad aumentare il livello di occupazione della

mano d 'opera cittadina, la «massa» degli introiti

delle botteghe e dei laboratori artigiani, la parteci–

pazione agli scambi sociali cittadini specialmente at–

traverso gli organi e i ritrovi pubblici, dai giornali

ai caffè, ai teatri, ai circoli di cultura, all'Università.

Ancor più, essa imprimeva un tono più vivo e più

qualificato al respiro nazionale e internazionale della

città.

Per questo la storia del passaggio di Torino da ca–

pitale a città industriale non ha un valore semplice-

16

mente locale. Essa va assai al di là di un puro inte–

resse municipale per diventare il segno della capa–

cità di un gruppo dirigente cittadino di cogliere nei

suoi elementi fondamentali un problema di impor–

tanza generale. Proprio per questa consapevolezza la

sorte di Torino sarà diversa da quella di molte altre

città, e non solo italiane, che la perdita del rango e

dei vantaggi di capitale aveva declassato o stava de–

classando a una posizione di secondo o terz'ordine,

facendone centri provinciali scarsi o privi di capacità

di sopravvivenza autonoma.

Le vicende di quel passaggio sono molto significative

anche per la storiografia italiana nella sua battaglia

per un rinnovamento di metodi e di prospettive. Fi–

nora lo studio della storia delle città è stato affrontato

guardando ad esse o come puro teatro di vicende

particolari o come sede di dinastie regnanti e di

governi.

È

necessario, invece, cominciare a studiare

la vita delle città nella sua autonomia più riposta,

attraverso i nessi profondi fra economia, gruppi sociali

e nuclei dirigenti, in quel complesso e continuo pro–

cesso di formazione di « forze» con propri interessi

e proprie idee, che fanno delle città un organismo

vivo , capace di crescere nell'attività di ogni giorno

in ogni campo, con una propria fisionomia « civile»:

elemento ineliminabile della civiltà d'un Paese e del

mondo. Con una simile visuale, che per tradursi in

prospettiva storiografìcamente valida deve avvalersi

dei più moderni strumenti metodologici, i momenti

di crisi nella storia delle città acquistano un valore

illuminante: così è per il trapasso di Torino da ca–

pitale d'uno Stato a centro industriale fra i maggiori

d'Italia e d 'Europa.

È

in corso, presso l'Istituto di

Storia della Facoltà di Magistero dell'Università di

Torino, un lavoro di ricerca in questa direzione: di

esso dò qui qualche primissimo, sommario frutto, li–

mitato al momento in cui, proclamata

il

27 marzo

1861 Roma capitale d'Italia, i dirigenti torinesi co–

minciano a porsi il problema della trasformazione del–

l'economia cittadina.

È

un frutto dovuto alle fervide

ricerche di un mio valoroso allievo, Umberto Levra,

che presto ne darà conto con la dovuta ampiezza in

una rivista storica specializzata.

.

Pochi mesi dopo la solenne seduta del Parlamento in

cui s'era scelta Roma come futura sede naturale degli

organi centrali del neonato regno d'Italia , i membri

della Giunta e del Consiglio comunale già discutono

intensamente le nuove prospettive che si pongono per

Torino. Il 1

0

marzo 1862 la Giunta affida a un comi–

tato di studio il compito di redigere un'accurata sta–

tistica industriale della città.

Un avvenire degno

Il 22 aprile dello stesso anno, in una seduta del Con–

siglio, il sindaco Emanuele Luserna di Rorà presenta

una relazione che mostra una coscienza della crisi to–

rinese già matura nell'individuare le cause e acuta nel–

l'indicare

i

rimedi. Essa sottolinea infatti come urgente

la necessità di non giungere impreparati al momento

in cui Roma sarà capitale anche di fatto e perciò di

studiare la trasformazione dell'economia della città

al di fuori del compito di centro della macchina sta–

tale. Rimasta, nonostante lo slancio impresso da Ca–

vour, mercato di consumo e di produzione locale,

1'0-