

Un classico ritratto di Carlo Emanuele II
nell'incisione del Thoumeijser
appartenente al cospicuo fondo di stampe descritte da Baudi di Vesme
bile, fondamento di quell 'istruzione, per
la quale si sviluppavano le facoltà e si
moltiplicavano gli istituti. Questo spie–
ga il patrimonio veramente notevole
della biblioteca anche nelle scienze ma–
tematiche e naturali (ricordiamo per
inciso che sono di proprietà della Bi–
blioteca Nazionale Universitaria i 64
grandi volumi in folio della
Botanica
T aurinensis,
depositati temporaneamen–
te dopo l'incendio de] 1904 nell'Orto
Botanico: si tratta di un esemplare uni–
co, che venne appositamente eseguito
per la Regia Biblioteca Universitaria,
con pregevoli disegni botanici acquerel–
lati dal vero , eseguiti da valenti arti–
sti). Anche nelle scienze umane gli
acquisti di filologia e linguistica fu–
rono notevoli . Naturalmente non man-
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carono doni, tra i quali meritano n–
cordo: i manoscritti del conte Cesare
di Saluzzo, comprendenti miscellanee
di storia patria (1853) e
il
migliaio di
edizioni aldine donate dal Marchese
Carlo Alfieri di Sostegno (1872).
Se la biblioteca in questo periodo fu
retta da due valenti studiosi quali Co–
stanzo Gazzera (1844-1859) - successo
all'abate Malaspina - e
il
senatore Ga–
spare Gorresio (1859-1891), lo stu–
dioso che illustrò maggiormente
il
pa–
trimonio bibliografico dell'istituto fu
Bernardino Peyron, nipote di Amedeo,
al quale si devono due importanti cata–
loghi : quello dei codici ebraici pub–
blicato nel 1880 e quello dei codici
italiani pubblicato pos tumo nel 1904,
notevoli per completezza di descrizione.
La Biblioteca Nazionale Universitaria
La ricostituzione dell'unità d 'Italia por–
tò alla riorganizzazione delle grandi
biblioteche italiane in un corpo unico,
regolato da norme comuni per quanto
riguardava la formazione degli inventari,
dei cataloghi e degli indici speciali,
per l'assunzione del personale e per
il
funzionamento : era negli interessi
degli studi e dell a ricerca che si par–
lasse un linguaggio comune .
Il
R.D.
20 gennaio 1876, n. 2974, distinse le
biblioteche in autonome e in biblioteche
connesse ad altri istituti: erano au to–
nome quelle costituenti un istituto auto–
nomo ed erano divise in due gradi,
di cui il primo fu costituito dalle bi–
blioteche nazionali. Tutte le bibliote–
che universitarie furono considerate bi–
blioteche connesse ad altri istituti , cioè
le università, con il compito di prov–
vedere dei mezzi necessari di studio
professori e studenti: solo la Biblio–
teca Universitaria di Torino fu inclusa
nel gruppo delle biblioteche autonome
di primo grado e dichiarata Biblioteca
Nazionale Universitaria; questo titolo e
questa caratteristica le sono poi stati
conservati inalterati e riassumono insie–
me la sua storia e la sua odierna funzio–
ne, che non è soltanto quella di servire
professori e studenti, ma
«
di rappresen–
tare, nella sua continuità e generalità,
il progresso e lo stato della cultura ita–
liana e straniera ».
La Biblioteca Nazionale Universitaria
rappresentava anche egregiamente la
cultura piemontese in quanto , in con–
formità dell'editto Albert,ino del 26
maggio 1848 riceveva per diritto di
stampa le pubblicazioni uscite dalle ti–
pografie di tutti i circondari compresi
nelle quattro province del Piemonte.
Nel 1892 assumeva la direzione dell'isti–
tuto Francesco Carta, dopo una breve
reggenza di Giuseppe Ottino, che aveva
fruttato un mediocre catalogo dei co–
dici bobbiesL Fu
il
Carta ad istituire
nel 1895 le sale di consultazione ri–
servate ai. professori dell'Università e
agli studiosi dei manoscritti : accanto
ad esse la sala delle riviste, con le ul–
time annate di 375 riviste scientifiche.
Da numerose università straniere per–
venivano regolarmente le dissertazioni
accademiche, che oggi costituiscono un
fondo cospicuo e importante della Bi–
blioteca Nazionale. L'illustrazione del
patrimonio bibliografico proseguiva, per
settori , accur<'ltamente: Francesco Ros–
si pubblicava l'illustrazione dei ma–
noscritti copti (1893), lo Zuretti l'indi–
ce dei manoscritti greci non contenuti
nel catalogo del Pasini (1898), il Nal–
lino preparava il catalogo dei mano–
scritti arabi, persiani e turchi (pubbli-
cato dopo l'incendio del 1904, testimo–
nianza dell'irreparabile perdita), il con–
te Alessandro Baudi di Vesme aveva
compilato fin dal 1882 un catalogo ma–
noscritto delle incisioni (oltre diecimila,
lega te da Giovanni Volpato in 52 vo–
lumi, più 27 volumi del Piranesi), il
Durrieu pubblicava il Libro d'Ore del
duca di Berry (1902) e Carlo Cipolla
aveva fatto eseguire i clichés (che poi
si rivelarono preziosa memoria dei ma–
noscritti andati bruciati) per l'opera mo–
numentale sui
Codici bobbiesi della
Biblioteca Nazionale Universitaria
di
Torino, uscita a Milano nel 1907, dopo
l'incendio.
La notte tra il 25 e
il
26 gennaio 1904
accadde il doloroso evento cui abbiamo
già ripetutamente accennato: un ter–
ribile incendio devastava cinque sale
della biblioteca, contenenti i manoscrit–
ti , gl'incunabuli piemontesi, le aldine
e la consultazione, compresa la biblio–
grafia generale. Circa duemilacento ma–
noscritti andarono distrutti , quasi tutti
gli incunabuli piemontesi, buona parte
delle aldine e circa 30.000 volumi di
consultazione. Andarono perduti i fa–
mosi palinsesti bobbiesi, i manoscritti
orientali, le
Très bel/es H eures du due
de Berry,
miniato nel 1403 per il duca
Jean de Berry, diversi manoscritti gon–
zagheschi, manoscritti greci, latini, ita–
liani e francesi: molti si salvarono in
condizioni pietose, avendo subìto l'azio–
ne del fuoco e dell'acqua di spegnimen–
to, buttati poi alla rinfusa nella strada,
come nell'incendio del 1667, per sal–
varli dalla totale distruzione.
L'opera di restauro ebbe inizio imme–
diatamente, dopo il disastro, ad opera
di due laboratori dell 'Università:
il
la–
boratorio di chimica del prof. Icilio
Guareschi e
il
laboratorio di materia
medica del prof. Piero Giacosa, che
nello stesso anno 1904 pubblicarono due
interessanti relazioni nelle
«
Memorie» e
negli
«
Atti» dell'Accademia delle scien–
ze di Torino.
Il
Guareschi seguì un indi–
rizzo prevalentemente chimico, che non
riscosse interamente
il
consenso del
prof. Giacosa, nel cui laboratorio ven–
ne impiantato nel 1905 il laboratorio
di restauro affidato a Carlo Marrè, re–
stauratore della Biblioteca Vaticana, in–
viato a Torino dal padre Francesco
Ehrle, prefetto di quella biblioteca. I
problemi del restauro erano gravissimi:
i codici pergamenacei sotto l'azione del–
l'acqua e del fuoco si erano ridotti di
dimensioni e avevano fatto massa: l'azio–
ne di distacco con trattamento umido
pose subito il problema di combattere
i batteri della putrefazione, che corro–
devano e distruggevano i fogli distac-