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Particolare del frontespizio

di

Les fortifications

del cavaliere Antoine De Ville.

Nell'esordio l'autore scrive che

« l'arte della fortificazione

è

stata inventata

dopo aver sperimentato l'offesa del nemico»

stre plus facilement la forme

&

les mesures; la Pro–

spective, pour 's'acoustumer

à

prendre le PIan des

Places, lesquelles font le mesme efIect que ie les repre–

sente veues de loin: les paisages servent d'ornement

».

Con questa presentazione minuziosa e che ci appare

perfino prolissa, Antoine De Ville ha esposto lo schema

seguito in tutte le sue tavole e cioè: una pianta di un

particolare fortificato, la relativa veduta prospettica,

spesso animata con uomini, fuochi, animali o altri

soggetti, ed infine lo

«

sfondo a paese» in cui si rivela

maggiormente il temperamento artistico dell'autore,

la predilezione per le scene agresti, per le selve, per

le montagne ed i paesaggi lacustri o marini; il tutto

presentato con disegno minuto e preciso, con tratteggio

meticoloso.

Il suo interesse per l'architettura militare «all'antica

'>,

cioè per le fortificazioni medioevali, traspare evidente

dai numerosi esempi di rocche, di torri di guardia, di

muraglie merlate e munite di caditoie, di ponti difesi,

di manieri turriti su cui si elevano aeree altane da

osservazione.

Ma oltre a queste illustrazioni, quanto costituisce la

preziosità documentaria di maggiore interesse sono

alcune vedute di città, di borghi, di piccole piazze for–

tificate che all'esame attento paiono verosimilmente

corrispondere a località reali, Ma quali? La completa

mancanza di indicazioni nel testo

( ...

«

les pazsages

servent d'ornement

»)

e l'epoca molto lontana in cui

vennero raffigurati quei paesi e quelle fortezze, non

consentono quasi di poter individuare località che cer–

tamente il De Ville visitò e studiò, luoghi che egli

menziona continuamente nella sua opera, in Piemonte

antico, nel Monfel'rato, in Savoia, nel Genovesato, in

Francia.

Una costruzione turrita, su una altura, potrebbe essere

la fortezza di Verrua, quale doveva apparire nel 1625.

allorchè lo spagnolo duca di Feria, nell'agosto di quel–

l'anno, la cinse d'assedio con oltre trentamila uo–

mini

(6);

in quella « bicocca»

-

come venne definita

- stava chiuso Francesco Damas, marchese di Saint

Réran, con mille piemontesi: tra essi militava il De

Ville.

Un fiume largo e imponente, la cui sponda è dominata

da un grande sperone roccioso su cui s'erge una for–

tezza, potrebbe essere l'Isère e quella costruzione iden-

LES FORTIFICATIONS

Attaques,

&

})efen[es

des Places du

Cheualier

ANTOINE DE VIi

LE,

tificarsi con il forte di Montmélian in Savoia, nel–

l'aspetto di quell'epoca.

Due sole tavole mi fu possibile individuare in forma as–

solutamente certa, anche per la precedente conoscenza

dell'antico sviluppo urbano di Torino: sono le incisioni

quarantadue e quarantuno del Trattato del De Ville,

l'una eseguita a foglio intero e l'altra a piena pagina.

La prima delle due incisioni, la tavola quarantadue

del Trattato, rappresenta la fronte a levante di Torino,

in epoca di poco anteriore, presumibilmente, al 1620.

Una grande distesa di tetti

Mi

è

stato possibile

-

sia pure con un margine di

tolleranza

-

determinare il punto di ossen'azione

scelto dal De Ville per l'esecuzione di questa veduta

di Torino; esso corrisponde ad una modesta altura im–

mediatamente a sud-est del Monte dei Cappuccini, ove

la breve via Felicita di Savoia termina contro l'antico

portone ad arco barocco che costituisce l'ingresso al

Convitto delle « Vedove e Nubili »

(7).

Da questa

posizione si scorge, come nell'incisione e con lo stesso

orientamento, tutta la pendice est del Monte stesso,

l'antica strada dei frati, oggi abbandonata, che si iner–

pica sul fianco boscoso, il ripiano a terrazza posto a

mezzogiorno della Chiesa (oggi chiuso dal fabbricato

del convento) ed il retro della Chiesa stessa.

Pur dando come ammesso che il De Ville, in questo

ed in altri «sfondi a paese» che appaiono nelle ta–

vole del suo Trattato, non si sia attenuto fedelmente

e rigorosamente alle linee degli edifici che rappresen–

tava

-

questi sfondi servono, d'altronde, solo da or–

namento ai disegni tecnici che egli presenta

-

è tutta–

via evidente la linea vittozziana del tamburo ottago–

nale, della cupola e della

«

lanterna» della Chiesa del

Monte

(8);

questi elementi architettonici (oggi in parte

modificati, come la cupola) si riscontrano infatti ben

simili alla nota stampa del Theatrum Statuum Regiae

Celsit. Sabaudiae, ecc. del Borgonio

(")

ed in altre ve–

dute settecentesche del Monte; l'enorme croce che si

erge sul pàrapetto meridionale (le tre figure umane

affacciantisi dal parapetto sotto la croce danno un'idea

delle dimensioni) può essere una semplice « licenza »

del De Ville, ovvero rappresentare, in tono assai esal–

tato, una più modesta croce in legno ivi esistente agli

inizi della vita della Chiesa, assieme all'altra, che tut–

tora si vede sulla terrazza occidentale del Monte, volta

verso Torino

(' 0).

Il fianco del Monte che scende verso sud forma, nel–

l'incisione, come l'orlo della prima quinta della veduta;

la seconda quinta è Torino; è a questo punto che un

osservatore attento può porsi una domanda assai natu–

rale: e il fiume? De Ville ha volontariamente omesso

o

ha dimenticato il corso del Po che separa il Monte

dalla città?

La risposta è semplice: come ho potuto constatare sul

posto, da tale zona non si possono scorgere nè

il

fiume

nè la sua sponda, nascosti dal fianco del Monte. Osser–

vando l'incisione si può infatti notare che il Castello

e la porta Fibellona

("),

che all'epoca considerata for–

mavano la fronte a levante della città e distavano più

di un chilometro dal fiume, si elevano di poco dalle

pendici del Monte che scendono verso il centro di fi–

gura; restano così coperti la strada che univa la porta

Fibellona al fiume, le costruzioni che sorgevano a lato

di essa, le casupole del Borgo di

Po

sulla sponda sini–

stra e l'antico ponte a tredici archi

('2) .

La città che il De Ville ci presenta è più che altro una

grande distesa di tetti che si sviluppa oltre la fronte

del Castello; nulla quindi che ricordi la veduta di To–

rino del pittore fiammingo Giovanni Caracha del 1572,

quelle analoghe dovute ad artisti contemporanei e

quella, infine, di Gerolamo Righettino, disegnata su

pergamena a penna ed acquerello

(' 3);

è abbastanza fa–

cile presumere che questi vari artisti del tardo XVI se–

colo, primo di tutti il Caracha, scelsero un ideale punto

di osservazione aerea per poter presentare la piccola ca–

pitale del Ducato di Savoia con tutte le sue strade, gli

isolati, le chiese, la cinta muraria anche nel suo lato

occidentale, la cittadella; i loro disegni ed incisioni

hanno inoltre il comune difetto di mostrare strade esa–

geratamente ampie, onde si possano scorgere nitida–

mente le facciate delle case nelle varie

«

isole

»,

i det–

tagli delle

«

dojre

»

scorrenti da occidente a levante in

diverse

«

contrade», i cortili interni ed i giardini.

L'artista francese non scende a tanto: traccia Torino

come la vede, con le imprecisioni dovute alla di-

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