

Giorgio Balmas
Un discorso sulla cultura « musicale» nel
nostro paese (prima ancora che nella no–
stra città, industriale o meno) non può
facilmente inserirsi in un discorso cultu–
rale più vasto perché - come è noto -
esiste in Italia uno stato di divorzio
gravissimo tra cultura (letteraria, d'arte ,
scientifica) e conoscenze musicali. Lungo
e difficile sarebbe il parlare delle ragioni
di tale divorzio: si sa che risalgono pro–
babilmente addirittura al periodo della
Controriforma, ultimo gran colpevole
l'ordinamento scolastico attuale. Accon–
tentiamoci in questa sede di una pura
e triste constatazione, considerando tale
divorzio dato di fatto comune alla po–
polazione italiana in generale, e quindi
anche a quella torinese.
Chi ama la musica può innanzitutto
«fare della musica», suonare cioè uno
strumento; oppure ascoltare musica ri–
prodotta, ascoltarla in concerto, comple–
tando le sue conoscenze musicali con più
o meno approfondite indagini
music~lo
giche.
Ci
occuperemo soltanto di chi se–
gue i concerti, supponendo logicamente
di comprendere così le altre categorie
proposte.
Le percentuali di interesse al fenomeno
« concerto» sono in Torino (come del
resto pressappoco in ogni altra grande
città italiana) talmente basse da non fare
nemmeno statistica. Non più di ottomila
persone, secondo i dati in nostro pos-
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sesso, sono disposte ad accedere non
gratuitamente ad una sala di concerto
in Torino. Tra queste ancora, solo una
esigua minoranza (300/500 persone) se–
gue con attenzione colta ogni manifesta–
zione musicale, prescindendo dal «ri–
chiamo» di natura mondana. Altri an–
cora (circa 1500/2000) frequentano qua–
si regolarmente uno o due cicli organiz–
zati. Infine una larga frangia di questo
gruppo di ottomila « interessati» appaga
le proprie istanze nel campo con due o
tre presenze annuali in una sala da con–
certo, lasciandosi trascinare (al contra–
rio della « esigua minoranza») da fattori
comunicativi vagamente extramusicali.
Si può notare, intanto, che l'aumento di
popolazione industriale degli ultimi ven–
t'anni non ha portato ad un aumento
sensibile del pubblico dei concerti. Le
ottomila persone in esame sarebbero
pressappoco le stesse anche con metà del–
la popolazione, o anche con la metà della
metà, perché il pubblico interessato alla
musica in Torino (e, ripetiamo, dovun–
que in Italia) è composto di eccezioni,
e soprattutto di eccezioni in campo bor–
ghese.
La ragione è, s'intende, anche econo–
mica. La possibilità di accedere ad un
concerto (anche nella più favorevole
forma dell'abbonamento) è pur sempre
condizionata ad una certa disponibilità
finanziaria che solo una parte della po–
polazione ha. A questo si aggiunga, nel–
la nostra grande città, l'ostacolo delle
distanze e degli orari di lavoro. Ostacolo
in parte anche psicologico, ma sempre
ostacolo.
Sappiamo che esistono città nella città,
dalle quali ormai molta parte della po–
polazione esce molto raramente.
Manifestazioni decentrate
Fino a qualche anno fa ancora si partiva
dalla barriera di Francia per far com–
pere allo «Standa» in via Roma: ora i
supermercati sono anche in barriera di
Francia. Venire in centro per un con–
certo partendo da corso Galileo Ferraris,
e in macchina, è relativamente facile.
Dalla periferia, e forse in tram, richiede
decisamente maggiore volontà. Inoltre è
proprio la popolazione industriale (non
soltanto operai, ma anche e soprattutto
impiegati) che ha grandissima la preoc–
cupazione del riposo, che impegna diffi–
cilmente una serata quando sa di dover
« produrre» con efficienza la mattina do–
po. E il sabato, giorno privo di questo
tipo di preoccupazione, cerca forme di
svago che non abbiano sapore di cultura.
Concludendo: purtroppo attualmente le
istituzioni musicali offrono musica a chi
già la cerca, a chi - qua e là - ha
già proprie istanze musicali. Rispondono
soltanto in parte minima al proprio do–
vere di divulgare e di far proseliti. Do–
vere che pur sentono e che costituisce
il
grande cruccio angoscioso dei direttori
responsabili. Naturalmente un poco di
divulgazione (soprattutto in campo gio–
vanile) c'è tuttavia. Ma non riesce che
a compensare
il
naturale impoverimento
del pubblico, impoverimento dovuto al–
l'età, più o meno unita alla pigrizia.
Ricette per ovviare a questo inconve–
niente in una città come la nostra? Con–
siderino gli amministratori la realtà della
situazione e vedano di non accontentarsi
di mantenere più o meno bene in piedi
la musica già esistente (concerto per chi
lo vuole e può pagarselo) ma di favorire
la possibilità di diminuzione di prezzi
che, se non risolverebbe
il
problema, al–
meno lo renderebbe meno grave, lo ca–
povolgerebbe in parte (creare pubblico
per il concerto già esistente). Cerchino
le istituzioni (soprattutto le istituzioni
che hanno la possibilità di avvicinare
pubblici particolari) di decentrare le ma–
nifestazioni, unico sistema per creare
nuovo pubblico. Non l'ambizione del
concerto nella sede maggiore (conti–
nuando a sfruttare fino all'esaurimento
il «solito» pubblico) ma l'orgoglio del
concerto (sempre a livello di gusto, s'in-
tende!) presso il circolo aziendale, pres–
so il «club» privato, presso la scuola,
l'aula universitaria.
Ben venga la proliferazione delle mani–
festazioni, una città grande come la no–
stra dovrebbe poterla sostenere.
Ma non tutte le manifestazioni nella
stessa sede e destinate allo stesso pub–
blico (cosicché, in una città di oltre un
milione di abitanti, si senta talvolta
di–
re che quattro concerti la settimana
sono troppi!!) ma decentrate e desti–
nate ad un pubblico nuovo e soprattutto
- per quanto possibile - al pubblico
che caratterizza la nostra città come cit–
tà industriale.