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I procedimenti industriali di prefabbri–

cazione, progettazione integrale ecc. pos–

sono rappresentare, data la fragilità della

categoria, l'illusione di un automatico

inserimento nella problematica della ci–

viltà industriale. Va perseguita la tecni–

ca, ma anche la tensione all'interno di

essa per forzare i vecchi schemi, la co–

scienza che la via della tecnica (dalla

filanda alla meccanica) è sì la via della

ricchezza economica, ma anche della alie–

nazione: ciò va sofferto e contestato.

Nulla di questo nei grattacieli, tecnolo–

gicamente avanzati, ma inesorabilmente

ottimistici , nulla nei revi vals recenti,

nulla negli edifici pubblici colpevolmen–

te costosi e insufficienti sul nascere, nulla

nei quartieri su cui la prefabbricazione

si cala a ricoprire vecchie norme e vec–

chie forme.

Tipologia abitativa

La città per volumi-involucri, sottinten·

de che l'interno di essi è lasciato al pri–

vato, diviene il simbolo dei

«

valori po–

sitivi », diventa 1'« altro» dalla catena

di montaggio, dalla a-morale del com–

mercio. La famiglia e l'alloggio possono

essere contemporaneamente sia un fat–

tore di difesa dalla società, un residuo

spazio di libertà, non completamente as–

sorbito da essa, sia invece il comple–

mento alla società, il negativo del con–

dizionamento, la minima libertà neces–

saria lasciata all'individuo per sopravvi–

vere e produrre. L'identificazione ele–

mentare tra questa sfera dell 'individuo

e tipologia abitativa convenzionale, è

uno dei fattori di inerzia ad un diverso

assetto della città.

Contestare e mutare quegli schemi spa–

ziali e spingere contemporaneamente la

ricerca degli strumenti su un altro piano

(di organizzazione, di gruppo, ed anche

atteggiamenti limite di non integrazione)

può aiutare a rendere, sia più funzionale

l'aggregato umano, sia più scoperte le

sue contraddizioni.

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Onorato Castellino

I testi di storia delle dottrine economi–

che prendono solitamente le mosse da

Platone e Aristotele, proseguono attra–

verso Catone e Plinio il Vecchio, si sof–

fermano poi su S. Tommaso, e ancora

nell'epoca moderna menzionano filosofi e

dotti che hanno lasciato tracce profonde

anche in altri campi del sapere. Lo stes–

so Adamo Smith era un professore di

filosofia. Ma nella seconda metà dell'Ot–

tocento comincia a man ifestarsi una

netta distinzione fra gli economisti e i

cultori delle altre discipline. Oggi, all'in–

terno della stessa economia, si affermano

specializzazioni diverse, e pochi econo–

misti, si propongono di mantenersi ag–

giornati in ciascuna di esse.

Un fenomeno analogo si verifica, credo,

in ogni altra materia.

È

fatale che

il

pro–

gresso delle ricerche amplii a tal punto

la quantità delle conoscenze, da costrin–

gere gli studiosi a una scelta tra esten–

sione e profondità. Se con la prima al–

ternativa si rischia la superficialità, op–

tando per la seconda non si può evitare

un certo impoverimento intellettuale. A

forza di apprendere sempre più cose su

argomenti sempre più ristretti, scrisse

Bernard Shaw, ciascuno di noi finirà per

sapere tutto su niente.

Questo dilemma penso si ponga non sol–

tanto agli studiosi di professione, ma a

ogni persona colta e a ogni uomo in ge-

nere. Il medico e il dirigente industriale

dovranno scegliere ogni sera tra l'ultimo

libro di Cassola e l'ultimo numero del–

la rivista specializzata che promette di

aggiornarli sulle materie attinenti alla

loro attività; cioè tra il soddisfacimen–

to di interessi culturali e l'approfondi–

mento delle conoscenze specializzate.

Chi ci salverà da questi dilemmi?

Forse la progressiva riduzione degli orari

di lavoro. Che però è fenomeno lento,

e non così universale come talvolta cre–

diamo. Per di più, non è certo che le

ore divenute libere siano indirizzate alla

cultura nel suo significato più ampio.

Credo che oggi più che mai il princi–

pale compito della scuola, a tutti i suoi

livelli, dalle elementari ai corsi di spe–

cializzazione post-universitari , consista

nel creare una forma di curiosità intel–

lettuale destinata a non spegnersi col

termine degli studi, ma a rimanere viva

per tutta la vita, guidando le nuove ore

libere che il progresso tecnologico ci re–

galerà. Ogni problema organizzativo (bi–

blioteche decentrate, circolazione delle

informazioni, e così via) potrà essere

più o meno facilmente risolto, ma la

sua soluzione sarà utile soltanto se ver–

rà a soddisfare il desiderio di leggere, di

discutere, di sapere. Senza questa sponta–

neità della nostra risposta, le biblioteche

resteranno vuote, e le menti povere.

Alberto Blandi

Un tema come « La cultura nella città

industriale» mi suggerisce, di primo ac–

chito, immagini abbastanza trionfali. Ma

poi m'accorgo che anch'esse sono un

ef–

fetto di quel condizionamento contro

cui vorrei scendere in campo e che, con–

fesso, mi ossessiona non poco. Me ne

libero con alcune riflessioni inattuali, e

doverosamente pessimistiche, su un tema

attuale. Se non m'occupassi d'altro, po–

trei persino intitolarle con antiquata pre–

sunzione: «Prolegomeni ad un saggio

impossibile su un tema impossibile: la

cultura, appunto, nella città industriale ».

prati della cultura

Una volta, non esisteva il « consumato–

re» di cultura, ma una borghesia colta

che della cultura aveva il privilegio. Ora,

la borghesia ha perduto questo mono–

polio, ma la cultura è diventata un pro–

dotto di consumo come tanti altri pro–

dotti della società industriale. La cerchia

dei consumatori è quantitativamente au–

mentata, e si è anche allargata oltre le

barriere di classe, ma il livello qualita–

tivo non si è alzato nella stessa misura.

Una volta,

il

notaio o l'avvocato frequen–

tavano assiduamente il teatro di prosa,

il

medico era un appassionato dell'opera