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dubbio la validità di questi stessi canoni.

Il concetto convenzionale di città è es–

senzialmente visivo e spaziale; oggi un

quadro di riferimento non può esseré che

funzionale, strutturale, dinamico. Alla

base della prima convenzione sta la pro–

spettiva , strumento atto ad ordinare re–

ciprocamente gli oggetti ed i volumi nello

spazio secondo una regola razionale. Essa

presenta due peculiarità fondamentali che

oggi sentiamo come limitative:

il

basar–

si su di uno solo dei sensi, la vista, ed

il

concepire l'occhio come spettatore -

il

punto di vista - non coinvolto con gli

oggetti ed i volumi di cui si occupa.

Il senso della città

Questa convenzione ha portato fino a

ieri a dare una prevalente attenzione al–

l'esterno degli edifici, delle vie, delle

piazze; al concetto di simmetria e asim–

metria, alla monumentalità visiva ed ai

punti di vista privilegiati. Per gli edifici

pubblici si confonde la collettività della

funzione con la monumentalità, l'equi–

valente mentale del loro spazio non po–

tendo costituirsi che come «più gran–

de ». L'assunto prospettico, espressione

di tensione scientifico-intellettuale all'ori–

gine, viene adottato e risolto «in appa–

renza» dalla borghesia ottocentesca: nel

decoro visivo, essa doveva costruire

il

proprio monumento e la propria tran–

quillità, nascondere e nascondersi la sua

contraddizione intrinseca strutturale,

il

proletariato urbano. Gli sventramenti e

i tagli operati da Haussmann nel tessuto

di Parigi hanno

il

senso di presa di pos–

sesso del centro e del potere cittadino

con l'allontanamento del proletariato in

periferia, oltre al significato funzionale di

creare arterie più larghe per impedire le

barricate e permettere rapidi spostamenti

dell'esercito in città. (Abbiamo assistito

nella casbah di Algeri al ruolo di un

tessuto urbano). Interessante ricordare ,

tornando alla «apparenza », come que–

ste arterie parigine si inaugurassero li-

berando le facciate dai teli che le na–

scondevano, così come avviene ancora

oggi per i monumenti.

La città statico-visiva (che non a caso

è

il

soggetto dei primi quadri inquie–

tanti di De Chirico, quelli che dovevano

dare l'avvio al surrealismo di rivolta),

è manifestamente anacronistica, non è

più né un valore né un disvalore. Il no–

stro senso della città è un altro ed è

costituito dai legami strutturali, di la–

voro e sua retribuzione, gruppo, classe,

famiglia, scuola, svago, mediati dal tem–

po e dalle difficoltà spaziali e organizza–

tive a realizzarli. Il piano regolatore, co–

me si è configurato fino a ieri non ha

ancora né i poteri né una strumentazione

concettuale adeguati. Nelle maglie della

sua regolamentazione ciascuno ha il di–

ritto di costruire quando e dove vuole,

secondo le forme delle singole proprietà

terriere, residuo di un tracciato viario.

"Dignitas" spaziale

I regolamenti edilizi ed urbanistici si

occupano essenzialmente dei volumi,

delle altezze massime, delle sporgenze,

soprattutto delle facciate (che nessuno

guarda), si intende lo spazio vuoto co–

me il residuo lasciato dal volume co-

struito, spazio « non» aedificandi. Poco

ci si occupa di capire di cosa è pieno

questo vuoto dell'architettura; poco del–

la circolazione e dei movimenti indotti

nella città da quei pieni e vuoti; nulla

delle tensioni economiche oggetto e sog–

getto di quei volumi; nulla delle forze

economiche che si favoriscono o repri–

mono permettendo a caso tipologie edi–

lizie e loro localizzazione nello spazio e

nel tempo. Nulla ci si preoccupa del co–

sto alla società : alle amministrazioni di–

rettamente (impianto dei servizi generali,

loro gestione e manutenzione) e ai citta–

dini tutti come costo umano in tempo,

nevrosi, spreco di residue energie extra–

lavoro. E ancora soprattutto

il

costo della

somma delle rinunce alla propria vita

che si compiono forzatamente per l'as–

senza o l'impossibilità di utenza di quel–

le attrezzature culturali e collettive che

solo la concentrazione metropolitana per–

metterebbe. Le nostre città sono cresciu–

te così, caduta la «dignitas» spaziale

ottocentesca, ed in assenza di nuovi con–

cetti aggregativi dilaga

il

caos delle re–

centi espansioni. Mentre nell'industria si

operano delle razionalizzazioni per ridur–

re ' costi e prezzi di centesimi, con ten–

sione concettuale di tecnici, con investi–

mento di ingenti capitali, con pena del

lavoratore per l'accelerazione dei ritmi

di lavoro, nella città vi è lo spreco, di

cui non si hanno neppure strumenti di

verifica. L'appropriazione privata della

rendita urbana, cioè delle aree fabbrica–

bili, come misura della loro scarsità as–

soluta e relativa, sta in contraddizione

col fatto che il valore è dato dalla col–

lettività tutta e dall'attività pianificatrice

dell'ente pubblico, e costituisce un osta–

colo concettuale e pratico alla progetta–

zione funzionale della città.

Atti pianificatori

Rimosso questo ostacolo la conversione

dello spazio da statico-visivo e simbolico

a costo come primo parametro ed a di–

namico come secondo, è una operazione

che, a livello di città, è ancora da ten–

tare. Questa operazione passa attraverso

la ricerca e verifica dei modi di rileva–

mento e registrazione delle relazioni dei

fenomeni territoriali, e cioè non una

tantum ma in maniera continuativa, con

la consapevolezza della loro non neutra–

lità e della loro collocazione in sistemi

di riferimento più vasti

il

cui controllo

sfugge all'operazione. Si dovrebbero for–

mulare delle ipotesi ed avere delle ri–

sposte alternative in proiezione; ritmare

la successione e frequenza degli atti pia–

nificatori in funzione degli obiettivi, del–

l'inerzia del sistema, delle reazioni reci–

proche.

È

da istituire inoltre una rela–

zione organica tra questa operazione e

volontà politica in modo che ai vari stadi

si possa fornire ad essa degli strumenti

quantificati di giudizio.

La città come attualmente gestita rap–

presenta invece un nodo macroscopico

che l'economia capitalistica e la sua stru–

mentazione culturale non è stata in grado

di controllare e dominare. Tutto lascia

supporre che questo nodo sarà conse–

gnato irrisolto alle epoche successive.

La categoria degli architetti e quindi la

cultura architettonica si trova - di fat–

to - strumentalizzata dagli interessi

priva,ti e di rado nellll possibilità di ap–

plicarsi alla ricerca su problemi generali.

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