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Irma Antonetto

La mia esperienza di organizzazione cul–

turale si è formata in città come Torino,

Milano, Genova, che rientrano nel qua–

dro di città a forte sviluppo industriale,

e in città come Roma, Bari la cui fisio–

nomia si allontana da quelle propria–

mente industriali. Potrei osservare che

la ricettività culturale di Torino e di

Milano non è più viva di quella, per

esempio, di Bari, e concludere che la cit–

tà industriale non ha esercitato uno sti–

molo particolare per la vitalità dell'ini–

ziativa. Sono discorsi complicati intorno

a una situazione suscettibile di valuta–

zioni varie. Si potrebbe anche obiettare

che l'Aci non sarebbe mai arrivata fino

a Bari se non fosse nata a Torino. E il

nascere implica una quantità di fattori

(ambiente, collaborazioni, giusto punto

di maturità) che potrebbero portare a

questa conclusione: se Torino non fosse

quella che è, probabilmente non avrei

potuto creare una impresa culturale qua–

le l'Aci.

Miglioramento del pubblico

Alcuno potrebbe domandare: con il pas–

sare degli anni c'è stata una crescita della

industria, c'è stato anche un aumento

numerico di pubblico interessato ai pro–

blemi culturali? Tenuto conto che, sin

all'inizio, l'Aci ha provocato un'esplosio–

ne di pubblico, potremmo parlare non

di un aumento numerico di pubblico,

ma di un miglioramento qualitativo del

pubblico. Oggi i quattro quinti dei fre–

quentatori sono giovani, e anche giova–

nissimi, accanto poi a studiosi e impie–

gati. Potrebbe anche determinarsi, e mi

auguro che ciò avvenga in un avvenire

molto prossimo, una spinta numerica che

porti la manifestazione culturale alle pro–

porzioni di una partita di calcio. Ma per

questo occorre la collaborazione dell'in–

dustria. Bisogna arrivare al punto, gran–

demente auspicabile, in cui i dirigenti

industriali invitino impiegati e operai a

EVSEI

IBERMAN

frequentare i Venerdì letterari. Se uno

dei nostri scopi principali è appunto

quello di mettere lo specialista in comu–

nicazione diretta con

il

grande pubblico,

penso che dovremmo arrivare al vero

grande pubblico, anche se duemila ascol–

tatori per una conferenza, come spesso

accade attualmente ai Venerdì letterari,

potrebbero già sembrare un risultato as–

sai soddisfacente.

Quando si parla di rapporti fra industria

e cultura, si allude ai probabili finanzia–

menti che l'industria può dare all'impre–

sa culturale. Anche questo è un modo

di promozione della cultura. Ma, a mio

parere,

il

problema è un altro. Se si

vuole parlare di rapporto attivo, su un

piano di parità, il solo costruttivo, crea–

tivo, dobbiamo esaminare la mentalità

delle persone che decidono, che possono

dare un corso, piuttosto che un altro,

alle cose.

L'intellettuale scomodo

Consideriamo la mentalità di un indu–

striale vecchio tipo che disprezzi, o, nel

migliore dei casi, diffidi dell 'intellettuale,

scomodo anticonformista che, per me–

stiere, mette tutto in discussione, e inol-

tre sembra essere sempre piuttosto a si–

nistra che a destra.

Il tipo di industriale suddetto osserva :

cosa hanno da dire quelli? ci lascino

lavorare.

Evidentemente qui il dialogo fra indu–

stria e cultura è bloccato.

Un nuovo tipo di manager

Consideriamo invece un tipo nuovo di

manager che accetti la discussione, sap–

pia di aver tanto bisogno di capitali di

idee per lo meno quanto di altri capitali

(denaro, macchine): allora gli orizzonti

si aprono, perché sono le idee che muo–

vono il mondo. Ed è anche stato detto

che le grandi idee arrivano su ali di

colomba.

Se questo tipo nuovo di imprenditore

esiste, allora potrebbe avviarsi nella cit–

tà industriale in generale, e a Torino in

particolare, una collaborazione tra le for–

ze della cultura di qualsiasi tendenza e

quelle dell'industria.

Accennavo a un rapporto creativo. Il ri–

sultato finale potrebbe anche essere la

formazione di un uomo nuovo, di pen–

siero e di azione insieme.

Se l'iptellettuale agisse ,e l'uomo d'azione

pensasse.. .

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