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lirica, il geometra e l'ingegnere leggeva–

no i poeti, il ragioniere dipingeva e vi–

sitava le gallerie (naturalmente, sono ba–

nali esemplificazioni ma non è una fan–

tasia romantica una folla di professionisti

e di travet che pascola sui prati della

cultura). Ora, costoro sono scomparsi.

O meglio: ci sono ancora , naturalmente,

notai avvocati medici geometri ingegneri

e ragionieri assetati di cultura, ma si trat–

ta di casi privati e non più di obblighi

di casta consapevolmente, e anche lieta–

mente, accettati (secondo una tradizione

risorgimentale che identificava il patriot–

tismo con la cultura. E non a torto: for–

se che le plebi hanno potuto fare udire

la propria voce nel moto unitario?).

Insomma: una volta, la cultura era

un impegno civile, oltre che un dovere

sociale. Ora,

è

un fatto di consumo.

Le strutture portanti

Oggi si compra e si consuma cultura co–

me si comprano e si consumano gli al–

tri prodotti della società neocapitalisti–

ca: dagli elettrodomestici all'automobile,

dalla radio e dalla televisione ai week–

end e alla villeggiatura. Vale a dire: uno

spettacolo, un film, un libro, una mostra

d'arte, una conferenza servono a riem-

pire il tempo libero allo stesso modo dei

prodotti che ho citati prima (e la lista,

s'intende, potrebbe essere più lunga).

Perché? Eccomi, mi sembra, al tema. Le

strutture portanti della società esigono,

e in particolare dagli abitanti di una città

industriale, non solo che tutti producano

per consumare, ma anche si svaghino, si

riposino e s'istruiscano per creare altro

lavoro, quindi altri profitti, quindi altri

impegni, che consentano a quella stessa

società di cui essi fanno parte di conti–

nuare a condizionarli. Il cerchio si chiu–

de, l'alienazione è completa: l'uomo non

si aliena soltanto nel lavoro, ma anche

nel tempo libero.

Solitudine della cultura

Si può uscire dal cerchio? Sì, diventando

produttori di cultura, sia pure di quel–

la, degradata, che

è

richiesta appunto

dall'industria culturale. Si entra allora in

una minoranza (privilegiata?) che è co–

stretta a consumare la cultura che essa

stessa produce (non tutta, ma quella

« marginale» - e tollerata soltanto -

rispetto alla produzione imposta dall'in–

dustria culturale). Così, in una città co–

me Torino, diecimila persone circa fre–

quentano teatri, concerti, mostre d'arte,

partecipano a dibattiti, comprano libri

di meno volgare contenuto.

Queste diecimila, o quindicimila, o venti–

mila persone (e siamo sempre le stesse)

è

difficile che riescano ' a salvare la pro–

pria anima, soprattutto quando costitui–

scono una «élite» di individui che, con–

dizionandosi a vicenda tra loro, finiscono

col difendere quel tipo di società che con

la loro cultura, sia pure «marginale »,

sarebbero in grado, o almeno in dovere,

di mutare. Ho detto che

è

difficile, ma

non impossibile. Altrimenti l'anima la

salverebbero soltanto quei pochi che ri–

fiutando le suggestioni dell'industria cul–

turale producono cultura in tali condi–

zioni di solitudine da non poterla nep–

pure comunicare agli altri-

Primo Levi

La formulazione di E. Snow ha avuto la

rapida fortuna delle definizioni che toc–

cano il segno: esistono ormai ufficial–

mente « due culture », ognuna delle due

ha bisogno dell'altra, ognuna

è

insoffe–

rente dell'altra, come i fratelli nemici di

tutte le mitologie. La divisione riproduce

in certa misura la spaccatura del mondo

di oggi in due giganteschi blocchi avversi

e complementari, i paesi industriali e i

paesi sottosviluppati. Non si tratta di

un'analogia formale: la cultura scientifi–

co-tecnica prevale nei paesi industriali,

mentre negli altri sopravvivono, più o

meno floride e pure, le culture locali, al–

cune di origini nobili ed antiche, altre

modeste e radicate al suolo.

Il tempo libero

Ne è scaturita una situazione instabile

e fluida. Basta pensare che, non più di

3O anni fa, in I talia e..... in .buona parte

d'Europa, il dilemma veniva eluso esclu–

dendo esplicitamente dal campo dell'edu–

cazione « formativa» tutto l'insegnamen–

to .scientifico, e che ogni riforma scola–

stica segna un regresso delle discipline

umanistiche di fronte alla marea mon–

tante delle discipline scientifiche. Ma la

contesa non deve chiudersi con un as-

sassllllO, come tra i fratelli nemici, allo

stesso modo che i popoli «sottosvilup–

pati » non devono essere né soppressi né

assimilati. Su questo non si discute più:

un accordo, un'alleanza fra le due cultu–

re è necessario, non può non farsi. Una

futura civiltà soltanto tecnica è altret–

tanto impossibile quanto una futura ci–

viltà senza tecnica.

Piace pensare che la sede naturale di que–

st'alleanza siano lè città industriali, e non

(per « legittima suspicione») le città di

più illustre tradizione umanistica. Se ci

limitiamo all'Italia, il matrimonio, o il

compromesso, o il trattato di pace, do–

vrebbe avviarsi a conclusione a Torino

o a Milano, non a Roma né a Venezia

né a Firenze. Guardiamoci intorno: che

è

avvenuto? Che cosa sta avvenendo?

Qualcosa sì; ma poco. Il «tempo libe–

ro », uno fra i più preziosi doni pro–

messi dalla civiltà industriale, si va len–

tamente dilatando, ma il margine con–

quistato

è

divorato a misura dalla con–

gestione delle strade, dalle distrazioni

e dalle sollecitazioni pubblicitarie.

"Humus" chimica secolare

Debole è la speranza che ne nasca

un'autentica vacanza, un vuoto da riem–

pire spontaneamente, «fermandosi» per

guardarsi intorno e coltivarsi. Corriamo,

abbiamo disimparato a meditare, a

so~

stare : a molti ormai, la lenta passeggiata

serale (o anche solo domenicale) dei no–

stri padri per le vie del centro urbano

appare insipida o addirittura peccamino–

sa. La funzione equilibratrice e pacifica–

trice del vicinato, del quartiere in cui ci

si conosce di vista, ci si saluta, ci si fer–

ma a scambiar parola,

è

dissolta. L'au–

tomobile ci porta lontani, ma ci isola:

non nella torre d'avorio, ma nell'abita–

colo impermeabile di cristallo e lamiera.

Ma qualcosa pure avviene. La civiltà,

ogni civiltà, si giova degli incroci e dei

trapi~nti :

le civiltà

chi~se,

che non espor–

tano né importano idee, si irrigidiscono

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