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Nicola Sferrazza

Il processo tecnologico è attualmente la

realtà più incisiva nelle innovazioni del–

l'economia, che si profila sempre più inte–

grata in aree di maggiore ampiezza. Esso

è effetto e causa di tale integrazione e

della conseguente competitività tra le

di–

verse economie particolari. Contiene in

sé stimoli propulsori di un corrispondente

processo organizzativo e

di

ristruttura–

zione delle singole unità produttive, dei

singoli settori merceologici e dell'intero

sistema economico. Determina implica–

zioni di notevole portata sociale e po–

litica, che mettono a dura prova o tra–

volgono ogni meccanismo tradizionale

rivolto alla formazione, impiego e con–

sumo del reddito; alla preparazione ed

impiego delle forze di lavoro; alla stra–

tificazione dei gruppi sociali per profes–

sionalità, redditività e livello culturale

ed, infine, investe massicciamente l'or–

ganizzazione del lavoro, creando forti

tensioni all'interno del sistema e delle

singole aziende, che riguardano

il

la–

voratore come persona ed i lavoratori

come gruppo . Fondato sulla scienza e

sulla razionalità, inevitabile a causa del–

l'integrazione dei mercati, viene ad es–

sere, come processo, necessario e irre-

. versibile, ma contestabile per le direzioni

in cui esso può venire posto, stimolato ed

esasperato.

È

vero che gli operatori eco–

nomici italiani devono ancora colmare

larghi margini di produttività ai fini di

raggiungere livelli compatibili con la loro

presenza nel MEC e nel mercato mon–

diale, ma tali obiettivi vanno posti, senza

volerli perciò eludere, nel contesto ge–

nerale delle esigenze e delle finalità del

Paese: il pieno impiego, una più equa

e funzionale distribuzione del reddito pro–

dotto , la negoziazione sindacale dei cri–

teri di impiego del lavoro, la sicurezza

sociale e la partecipazione sempre più

ampia delle persone al processo di accu–

mulazione delle risorse finanziarie. Oc–

corre una visuale più ampia ed una ca–

pacità di dominio democratico più vasta

dei fenomeni emnomici e sociali, per

impedire che alcune direttrici avanzate

siano le sole a raggiungere le linee di

demarcazione più ambite dal profitto,

mentre gran parte del Paese, mezzogiorno

in particolare e lavoratori in generale,

restano la grande retroguardia, ignara e

subalterna, di una strategia parziale del–

lo sviluppo.

La nozione di competitività per gli ope–

ratori economici è ristretta al grado di

accettazione del prodotto da parte del

mercato e della sua profittabilità; deve

farsi strada, invece, una nozione più am–

pia di competitività, che consideri anche

i rapporti umani e democratici, nei di–

versi momenti della formazione del pro–

dotto, tra i lavoratori, le dirigenze e le

imprese. Viene affermata la necessità di

incrementare il contenuto tecnico-scien–

tifico della produzione, di sviluppare sem–

pre nuovi processi e generare originali

prodotti, però la sollecitazione alla ri–

cerca scientifica deve muoversi, da un

lato, verso le applicazioni tecnico-produt–

tive e, dall'altro, verso le applicazioni

igienico-sanitarie e protettive, assicuran–

do la sanità psico-fisica delle lavorazioni,

contro l'intensificarsi e la monotonia del

processo produttivo. Risulta evidente una

destinazione di maggiori risorse alla ri–

cerca scientifica, tenendo presenti le due

distinte finalità .

La Fiat è stata di esempio sulla strada

della competitività. Ma non ha conside–

rato la validità della democrazia nell'im–

piego del fattore lavoro e le interdipen–

denze di interessi e di poteri che si for–

mano tra l'impresa e lavoratori associati.

L'organizzazione sindacale non si pone

contro il processo tecnologico, ma in–

tende verificarne cause ed effetti.

L'andamento

di

alcune fondamentali real–

tà fanno giudicare negative o incomplete

le politiche del s uo ·impiego. L'occupazio–

ne si è contratta dal 1959 al 1966 del

6,4%; nei due anni del 1965 e 1966

tale contrazione è stata rispettivamente

di 371 mila e di 303 mila unità. A volere

considerare soltanto il 1966, primo anno

del quinquennio cui fa riferimento il pia–

no di sviluppo economico nazionale, la,

tendenza regressiva contraddice l'obiet–

tivo del piano, che prevede la realizza-

zione di un milione e 400 mila posti.

Nè sembra sufficiente la constatazione pa–

rallela della diminuzione delle forze di

lavoro, scese, nel suddetto settennio, del

7,7%, per i dubbi che insorgono circa

i metodi di rilevazione e soprattutto per

la eccezionalità del dato statistico che

indica nel 37,8

%

della popolazione la

quantità delle forze di lavoro nel 1966.

Se si considera che negli Stati Uniti la

forza di lavoro non è al di sotto del

39% della popolazione ed in Francia ed

in Germania si pone tra il 40 ed il 45%

e che generalmente la forza di lavoro si .

muove in ragione inversa all'andamento

del reddito, se ne deduce che debbono

esistere quote di forze di lavoro latenti

e che la disoccupazione reale sia mag–

giore di quella registrata.

Il soddisfacente aumento del reddito, che

nel settennio 1959-1966 è stato del 40%,

ha avuto come fenomeno parallelo la

perdita di 1 milione 300 mila unità oc–

cupate. Quindi la produttività ha segnato

un notevole sbalzo in avanti. In partico–

lare, nei due anni tra il 1964 e

il

1966)

la produzione per addetto è aumentata

del 6,10% all'anno (9% nell'industria),

mentre

il

reddito nazionale è aumentato

mediamente del 4,4% all'anno. Poiché

ancora oggi si afferma che

«

gli operatori

italiani hanno da risolvere

il

problema

della produttività delle loro aziende, per

portare la nostra industria al livello pari

a quello dei Paesi del Mec e degli Usa

e che l'innovazione, come carattere prin–

cipale della produzione industriale, da

fatto eccezionale è divenuta un fenomeno

abituale

»,

perdurando ancora il divario

tecnologico ed organizzativo, i livelli del–

la produttività continueranno enorme–

mente a crescere, suscitando fenomeni co–

spicui di ulteriore disoccupazione tecno–

logica, non più compensabili con la ridu–

zione delle forze di lavoro, le cui cause,

più sociali che economiche, non potranno

a lungo protrarsi.

Innanzi a tali prospettive sulla produt–

tività, divergçnti dal dato quantitativo .

del piano economico nazionale di svi–

luppo

(+

4,4% all'anno), urge la solu-

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