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F R A

I

L I B R I

A

n to n io

F

o ssa ti

,

Premesse per lo studio di una economia

e di una politica economica corporativa.

Roma, 1933

(estratto dalla «Rivista di Politica economica »), pag. 62.

11

prof. Fossati, che da qualche anno ha particolarmente

curati lo studio e l'insegnamento della economia corpora­

tiva, ha raccolto in questo breve, ma densissimo fascicolo,

i risultati delle sue esperienze, esponendo le premesse indis­

pensabili per sgombrare il terreno dalle incertezze e dagli

equivoci e chiarire i problemi essenziali sorgenti dalla orga­

nizzazione sistematica della nuova scienza.

Definizioni precise, osservazioni sottili, genialità di in­

tuito. rigore di logica e conoscenza profonda di quanto sino

ad ora si è scritto in materia, conferiscono allo studio del

Fossati un singolare valore di affermazione dottrinale desti­

nata a non rimanere senza sviluppi ulteriori nel campo della

scienza in questo periodo di fervore costruttivo in cui, su

la base delle felici realizzazioni del Regime, gli studiosi

stanno elaborando la dottrina della corporazione nei suoi

aspetti economici e politico-economici.

_

Allo stato attuale della questione il Fossati ritiene oppor­

tuno limitare il compito degli studi economici in senso cor­

porativo allo studio sperimentale continuato di

casi corpo­

rativi

(gusti, bisogni, azioni economiche degli aggregati

corporativi) rimandando all’avvenire la sistemazione teo­

rica dei fatti e dei fenomeni osservati. Ed è, secondo lui,

pericoloso allargare il campo della economia corporativa

sino a prendere in considerazione forze o serie di forze

extra-economiche che, a parere di alcuni studiosi, rientre­

rebbero in essa in quanto da essa dovrebbe essere realiz­

zata la vera politica sociale. Una scienza economica non

può uscire dall'ambito della economia, tanto più quando,

come nel caso in esame, i capisaldi di essa, desunti dalle

dichiarazioni della Carta del Lavoro, non manomettono

per nulla i prindpii classici della economia.

Molti altri punti sono nettamente chiariti dal Fossati

che ama prendere in ogni suo studio posizioni decise e pre­

cise: e il suo recentissimo lavoro, per quanto breve, costi­

tuisce perciò un prezioso ed onesto chiarimento di cui è

doveroso essergli grati.

P

aolo

R

a n e l l o

.

D

ina

B

izzarri

,

Gli Statuti dei Comune di Torino del

1360.

M

a r io

C

h ia u d a n o

,

Gli Statuti della Società di S. Giovanni

Battista di Torino del 1389.

(Biblioteca della Società Storica Subalpina, Volarne

CXXXVIII, pubblicato sotto il patronato e a spese

del Comune di Torino). Tarino. 1933, pagine utxx-167

e xvi-64, con 8 tavole fac-simili fuori testo. L. 25.

28 ottobre 1359: Amedeo VI stanco della disobbedienza

di

Giacomo d’Acaja, che, insofferente della dipendenza

fendale della n a famiglia dalla corata di Savoia, tastava

di aBermazne l'autonomia, gli

i° marzo 1360 le compagnie di ventura del Conte di Landò

e di Anichino Baumgarten operanti per Savoia prendono

e saccheggiano Savigliano: di fronte alla minaccia s’arren­

dono anche altre terre, prima fra tutte Torino (16 marzo

1360) e il 3 maggio Giacomo d’Acaja cede formalmente al

Conte Verde il Piemonte accettando in compenso alcuni

feudi d’oltre Alpe.

Di tali feudi, però, egli non prende di fatto possesso,

poiché tre anni dopo (3 luglio 1363) per concessione del

Savoia è reintegrato nel dominio del suo stato: soltanto

nel 1418, morto Lodovico d’Acaja, Torino e il Piemonte

meridionale ritornano — e questa volta definitivamente

— al possesso sabaudo.

Dalla cessione del 1360 ha però origine la redazione degli

Statuti di Torino, compilata dalla Credenza del Comune e

approvata da Amedeo VI con lettere patenti d d 6 giugno

di tale anno: Statuti compilati quasi a un secolo di distanza

dalla fine del regime comunale autonomo, caratteristici

pel fatto di procedere da un potere normativo orai

più originario del Comune, ma ad esso delegato.

Priva di valore come documento di legislazione origi­

nale, la redazione del 1360, il cui testo autentico, consegnato

al cosidetto

Libro della Catena

conservato al Museo Civico

d’Arte Antica, viene ora pubblicato per la prima volta,

ha acquistato notevole valore in seguito alla scoperta per

parte della Bizzarri di un documento del 1359 e all’analisi

da essa acutamente condotta d’un atto del 1258 conserva­

toci fra le carte del Duomo di Torino.

Da tali documenti emerge chiaramente che, già ante­

cedentemente al 1258, esisteva una redazione degli Statuti

torinesi, e che nel 1280 tale redazione venne sostituita da

altra allorché il marchese Guglielmo V di Monferrato cedette

Torino a Tommaso

III

di Savoia capostipite degli Acaja:

non solo,

mz

dal confronto dei testi risulta anche come

molta parte JeUe precedenti redazioni sia integralmente

passata in quella del 1360.

La tesi della dotta autrice, tendente a rivendicare agli

Statuti pubblicati il loro carattere di documento rivelatore

delle più antiche redazioni, è brillantemente svolta con

logica serrata e convincente, ed è notevole in particolar

modo per la «ingoiale perizia con c d ogni demento, ogni

indisio, ogni appiglio è sfruttato (senza mai essere

sforzato

come spesso per opera di troppi studiosi avviene) pel rag­

giungimento dd fine voluto: il che, evidentemente, non

sarebbe possibile senza una profonda

connarenia dd

diritto

comunale dd tempo, delle condizioni

specifiche ddla

Torino

trecentesca e di tutte le carte contemporanee.

Efficace anche la rievocazione dell’ambiente politico

(Acaja, Savoia, Comune, Vescovado, Monierrato) mnte-

vobssimo e delle ripercussioni di esso sai principii informa­

tori dette —ccMMnre redazioni degli Statati e tnmphti,

pur nsBa sintesi rapirò«im a, la esposizione dd «sterna

d'amministrazione, deDe cariche comunali, dd conte— to

e dal carattere dd documento.

B in tw m it» . infine, Pesami e il confronto dd vari

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