

che ha ridonato l’ Italia a Dio e Dio all I-
talia.
Camice nere,
KRiuniamoci tutti in questa sera sulle
nostre maggiori piazze e noi torinesi in quel
la di San Carlo, dove la signorile sobrietà
della nostra razza s’è fatta miracolo d’ar
chitettura; e sulla nostra massa irrequieta,
respirante di un solo respiro, di una sola
fede, al disopra delle nostre bandiere, del
le nostre fiamme, dalla cintola in su emer
ga la maschia figura di Emanuele Filiberto
in atto di inguainare la spada brandita a
San Quintino. Lo attendono le opere sagge
della pace
tTa
i suoi sudditi fedeli : umile
tra gli umili e fierissimo tra quelli del suo
rango.
Camice nere,
« Quel suo gesto è oggi un poco di noi
tutti : di noi reduci — possiamo dirlo —
da due guerre.
<( La sua fierezza è quella medesima che
è sul volto del suo discendente, Vittorio il
vittorioso, e di colui che a Lui parla e per
Lui agisce nel nome di noi tutti : del Duce,
così nomato dal popolo, che mai nelle ore
decisive falla nel divinare tra i molti colui
che tra i sopraccigli reca il segno del co
mando, profondo come una cicatrice e di
ritto come il destino ».
Le maschie parole del Segretario federale
suscitarono un’eco profonda nel cuore non
solo dei fascisti; ma di tutti i torinesi.
La sera del 23 marzo infatti, piazza San
Carlo offriva un aspetto indescrivibile per
l’imponente massa di cittadini che si era
accalcata per udire il discorso commemo
rativo tenuto dall’on. Basile.
Davanti alla moltitudine tra cui spicca
vano tutte le autorità civili e militari, cir
condati da centinaia di gagliardetti, il Con
sole Basile parlò con elevatezza di pensiero
espresso con ispirata bellezza di forma.
Crediamo di far cosa grata ai nostri let
tori, riproducendo il testo integrale della
stupenda orazione.
« Eccellenze, Podestà, camerati», egli
ha incominciato t. Nel decennale della fon
dazione dei Fasci di combattimento, come
disse il Duce, non per fortuita coincidenza
vegliamo in attesa del Plebiscito. Io, quale
rappresentante del Partito nella provincia
Sabauda di Torino, non parlo al combat
tente, poiché il combattente di tutte le buo
ne battaglie non abbisogna di incitamenti.
Quando gli spallacci gli rodevano le spalle,
per un attimo nelle marce di avvicinamen
to, faceva zaino a terra e le canzoni nasce
vano dalla fatica.
« Non parlo ai cugini dei morti, ai mutila
ti; non parlo ai ciechi poiché essi, come i
poeti dell’antichità, hanno nella loro ombra
la visione delle costellazioni future. Non
parlo all’agricoltore che seppe, con gesto
semplice, antiretorico, abbandonare la van
ga, abbandonare l’aratro per impugnare il
fucile e il moschetto e impugnandolo si spu
tò nelle mani con lo stesso gesto sacro del
suo lavoro. Non parlo all’operaio che, tal
volta avvelenato ma non nell'intimo da teo
rie assurde, quando la Patria chiamò e le
campane suonarono a stormo, quando la
Patria gridò : aiuta, aiuta ! rise delle utopie
che non erano penetrate nel suo animo.
Non parlo all'impiegato che, sovente, in
chiodato sulla sua sedia, fu la palafitta men
tre il fiume rompeva gli argini e fece nel
suo umile ufficio resistenza a tutti coloro
che per mercede non gli diedero pel passa
to che umiliazioni. Non parlo all’ ufficiale
che prescelse la sua carriera come una mis
sione e. sentì che tutto l'argento delle valute
ricche non valeva la frangia delle sue spal
line.
« Non parlo al magistrato che, sedendo
là dove l'uomo di coscienza trema, poiché