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P I f t a if R

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M À Ì

1 2 0

D I B I

1 1

M C H I

I l nuovo romanzo di Romano Bilench i:

Con­

servatorio di Santa Teresa

( ditore Vallecchi,

Firenze) è la storia d’un’infanzia: dell’infanzia

cii

Sergio, triste e ripiegata. Sergio vive in

campagna, fra tre donne: la nonna, avara e

tirannica; la madre, che si cruccia e tormenta

nel pensiero del marito che, un certo perìodo,

è

lontano alla guerra eppoi prigioniero; e

una giovane zia, simpaticissima e un tantino

balzana.

È una famiglia di possidenti dissestati; e

sul libro sovrasta l’ombra del Conservatorio

di Santa Teresa, il collegio locale, dove, più

o meno, i protagonisti e loro conoscenti pas­

sarono nella giovinezza, e dove anche Sergio

farà le sue prime, vere esperienze di v ita .

Questo conservatorio è, in certo modo, come

un serbatoio o microcosmo, o come un para­

diso e un inferno sociale; non meno misterioso

quando Sergio v i sarà penetrato, di quanto

non fosse allorché egli ne sentiva parlare va ­

gamente, da lontano.

I l babbo, generoso e violento; Clara, bella

e giovane maestra che viene a dar ripetizioni

al bambino; Nilde, una coetanea, per la quale

Sergio comincia a provare qualche cosa che

a quell’età può corrispondere a ll’amore; sono

altre figure che animano il quadro, assai

vasto, ma senza contrasti decisivi, pervaso

d’una luce sommessa, in uno scorrere di v i­

cende quasi ordinarie.

E non è facile dire, precisamente, in che

cosa consista l ’interesse del libro. Senza risa­

lire troppo lungi, potrebbero indicarsi, nella

nostra produzione, romanzi d’impianto più

laborioso e ingegnoso, d’originalità più spic­

cata e colorita, e tu ttavia d’un tono non così

persuasivo. L ’infanzia del protagonista fu

>empre un tema ghiottissimo, sopratutto ai

moderni. Ma, il più delle volte, essi non riu-

'cirono a ritraria o interpretarla che attra ­

verso le semplificazioni d’un fanciullismo sfor­

zato o manierato; o attraverso complicazioni

psicologiche e sottigliezze dottorali, per cui il

fanciullo appariva come un vecchietto pre­

coce, viziato di ta tti i vizi della cultura.

D ’istinto il Bilenchi ha saputo evitare queste

diverse alterazioni; come d’a ltra parte ha

^vitato, nella «celta del materiale immagina-

tivo e nel vocabolario, quei succolenti ma

ormai abusati provincialism i che appesanti*

scono la narrativa d’un C inelli o d’un Meoni.

E come la sua psicologia non ha mai nulla di

pretensioso, così la sua dizione non sforza mai

il tono, nè si ingombra di parole poetiche.

Emozioni e sentimenti sono sempre tenuti nel

raggio più diretto.

Con molta facilità e naturalezza di discorso,

con una cordialità ariosa e una straordinaria

levità di tocco, si compie l ’acclimatazione delle

figure nel paesaggio di Toscana e nella sua

atmosfera morale e sociale. In ciò, special-

mente, il romanzo del B ilench i rappresenta,

a mio vedere, un successo importante della

nostra prosa u ltim a: nella complessità e spon­

taneità della sua testimonianza lirica ed

umana, e quanto meno l ’apparato e le forme

tendono ad essere liricizzati. L a famiglia del

bambino ha uno stato c iv ile esatto e coerente

da quanto la sua tram a interiore d’affetti e

passioni. E i rapporti di Sergio con gli a ltri

personaggi, grandi e piccini, e particolarmente

con la giovane zia Vera, sono saturi di signi­

ficati so ttili e profondi, al tempo stesso che

non

..

j

mai accentuati dalla minima punta

d’intenzione.

In questo ricco ed equilibrato concorrere di

ragioni interne ed esterne, son legittimamente

da riconoscere altrettan te garanzie che il B i­

lenchi ha saputo darci un notevole romanzo,

ma che ha anche trovato la strada per dar­

cene a ltri, e certo superiori. Eg li è in pari col

gusto più nuovo, ma senza im prestiti ed impa­

raticci. È legato a lla terra, ma senza provin­

cialism i e rusticità artifiziose. È sano, ma

senza bisogno di farsi della sua salute un pro­

gramma e una rettorica. Se l ’attenzione e

l’incoraggiamento del pubblico g li corrispon­

dono ai m eriti, non dovrebbe esser questo un

autore da darci delusioni.

EMILIO CECCHI

S P I C C I O L I

Cortigiani. — Il Inm, fatto vecchio e Malato, stava tfeso ari-

l'an tro . T atti

gli aaiaaali eraa «casti

a

far

«irta al

br* re,

ce­

retta la

valpe.

Al

lapa

«embrò

rbe

quella

foaee («a baona

oeea-

Mone per arrotare la wlpe: « Non le iaparta niente di le, ecco

perebè non

c'è vista... a. la quel mentre

arriva

la «alpe, ia Itap*

per

«entire

le altiatt parale del lapa.

D

leene al «ala vederla

ai

avventò

ta lei.

Ma

la volpe praaU:

a Ua

aaaeato, di graaia.

Tra

qaarti ammali «aaa qai ri

a a iti,

an a li pai averti aanrfea

meglio di aw. le ba girala dapprnam, ha ebanite

a

tatti i

me-

diri

il

ria ri» par gaarirti,

e

alla ina l'ha travaia...

a. a

D ri-

aiedia? il ria» di»!

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ordina aliata il leene.

E

la volpe: aScor­

tica

aa lapa

vtv» e

venni

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la pelle di lai, bella calda

a.

Cari

il lapa fa acriaa.

E

la volpe, ridendo: a Impacerai a

aarttcr

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a.

hma Pw aia

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fa o p . « a d ra a a.

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