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P h i

-M A -'/ 1

K

A

1 « T O S S A ff A

La prima sorpresa fu un mandorlo che mi

apparve da lontano, fiorito in mezzo agli

u livi, mentre scendevo da Crocefissalto (un

poggio sopra Settignano) in una m attina di

febbraio grigia di nuvolo; e pareva un ulivo

anch’esso, miracolosamente investito da una

spera di sole. Cominciò così quella memora*

bile prim avera. Vennero le pioggie; e presero

a scorrere, ai margini delle strade campestri,

i ruscelletti che maestro Adamo vagheggia,

nel canto dì Dante, con nostalgia di assetato.

Fiorivano intanto le siepi dì biancospino e i

padiglioni delle v ille s'erano adornati di rosel­

line bianche. Spuntavano gli anemoni in

mezzo al grano. Dai muri a secco uscivano

m iriadi di lucertole terrose. Pe i campi era

cominciata la potatura degli u liv i e nei tepidi

e fervidi pomeriggi, in quell'aria di bonaccia

continua, non si udiva che il picchiettio delle

roncole che facevano cadere a fasci i rami

'troncati. Ogni m attina il sole indugiava lun­

gamente prima dì scoppiare nelle va lli con

fulmini silenziosi, finché, a mezzogiorno, unito

al clangore d'un pianoforte che giungeva da

qualche v illa rom ita, spandeva per le cipres­

saie i terrori panici. 0 prime rivelazioni di

quella terra luminosa e severa!

Io ero sempre a zonzo per quelle stradette

incassate e pietrose, vigilate ai crocevia da

rustiche madonne scalpellate nella pietra se­

rena, le quali avevano gli stessi lineamenti

delle contadinotte che incontravo sul mio

cammino. E sempre mi stava gotto gli occhi

la

popolosa pianura su cui siede Firenze e

dove par che tu tto concorra verso la c ittà

amorosamente: ora accigliata e cupa in ombra,

ora fulgidissima nel sole oppure avvo lta in

una rossa foschia, con quella gran cupola in

mezzo, che il Brunelleschi fece a somiglianza

dei monti che la circondano, gareggiando con

la

natura. Me ne andavo su e giù, a casaccio,

traversavo poderi, vigne, u liveti, raccogliendo

sensazioni aspre ed acerbe, quali alla mia gio­

vanile età convenivano. Giacché io ero allora

a-sai lontano dalla natura e in mezzo a ll'u n i­

versale risveglio, a tanta felicità e freschezza

di v ita agreste, portavo con me il scaso assiduo

e pungente di non so qual fisico e spirituale

patimento che vedevo riflesso dovunque: nei

vecchi u liv i corrosi, scontorti e mangiati dalle

formiche, nello zoccolo delle v iti, nella terra

in gestazione che mi pareva dovesse, sia pur

dolcemente, soffrire. Fu quella primavera per

me una dolorosa guarigione da mali forse in

gran parte immaginari.

M 'ero pasciuto fino a quel momento di

certa cattiva letteratura che a noi, giovani di

trent'ann i fa, ci si propinava. Non avevo

fatto che d ivorar li* r i di filosofia, esercitare

il mio intelletto intorno a un monte di que­

stioni, tanto ambiziose quanto inu tili; e i

miei autori preferiti erano, secondo l’andazzo

dell'epoca, talun i scrittoronì stranieri, cono­

sciuti in pessime traduzioni, che m'interessa­

vano principalmente per il loro contenuto

ideoiugico. Tutto questo, unito a una condi­

zione di v ita altrettanto sbagliata e romantica,

teneva la mia vera natura sepolta come un

tronco sotto la neve: tronco verde, muscoso,

ricco di lin fa e sterile. Cominciò a sciogliersi

il giogo che mi gravava. I l che non avvenne

senza pena e fatica.

Conobbi in ta l modo, per la prima vo lta,

la poesia e l'a rte toscane, non solo in quel

che hanno d i più primordiale, bensì anche di

leggiadramente artificioso e colto. Prendevano

corpo e rivivevano, per così dire, in natura,

le fantasie umanistiche d i Poliziano, le favole

di Boccaccio, le allegorie d i Bo ttice lli, allo

stesso modo che riconoscevo, guardando le

masse dei cipressi, in certi giorni piovigginosi,

col sole che giocava a nascondino, i toni di

Leonardo. Imm agini della poesia petrarchesca

(«o in bianca nube o nel troncon d'un faggio»),

qualche figura d i G iotto, per esempio l'a s i­

nelio che Gesù cavalca entrando in Gerusa­

lemme nella cappella degli Scrovegni, l'Adamo

di Masaccio, che fa pensare a un giovane al*

bero, vivono per me, da allora, solo in

qnd-

l'a ria tepida e velata d i prim avera settigna-

nese, in quel paesaggio. Dante, Petrarca,

Boc­

caccio, Poliziano, Botticelli, Leonardo, io li

ho

capiti stando a contemplare la

f n p i p i

fiorentina, tra un inverno a un’estate. Perefaè

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