

.li nasceva lento e graduale dal passo attonito
>■preciso col quale ci aveva lasciati.
\on parlammo mai di lu i
,
ma era come sapere
he egli era per questo presente e pieno in noi.
Lui che non era il preferito dello zio prete
,
né
•Iella mamma, né del hahho, E mia cugina che
leggeva i poeti e viveva in città non era più la
sorella di Quintilio. Quintilio era per lei quello
ch'era per me, io credo.
Aon
se ne parlava. A l pranzo egli non c'era.
Ma noi eravamo stranamente quieti e fermi e,
appena mangiato, vagammo di nuovo in quel
verde lucente e infinito, ma senza p iù corse
pazze, calmi lucenti insieme
—
felici, senza spe
ranza, di non poter avere il modo per incontrare
Quintilio.
APP
UflTO 153
GU&RRA
DAL
MIO 'YO i.ÀjflT£ TÀ B5KH ÀC 0L0
À W£X1TOi1£
In una rada fortunata
il vento
di maestrale mi involò
rapito, avviluppato, nella mia brandina
da campo, macro per una lunga castità.
Nella mia tenda
uomo d'arme encomiato
prossimo a capitano, sanguinario e fatale
giovinotto tenente degli A rd iti e poeta
preda agli impulsi bravi, io me la godeva
nel mio volante tabernacolo ad una bufera
irrefrenata che bene mi riposava e là in cielo
e mi nutria ne i sensi.
Perifericamente
godea una diaccia voluttà, un corale
circuito, un liscio di penurie.
(Così mi rapi*
[nava
il vento di Provenza. Nell'ind icib ile mal
tem po
estivo, nelle acquate, matura la battaglia di
[Mentone:
chè venne tempo com'io l'ho sospirato,
mio: giornate di foia nella guerra
quale piaceva a tenente abituato
a ll'ita liana al gusto delle guerre).
Dal mio sofferto tabernacolo,
per la libidine, scottante
prònuba d'emulazione, nel fuoco a sangue
balzai a sfogo, e l'uomo che mi ero
atteso da me contro la Francia:
un impetuoso, uno senza rim pianti
uomo d'arme abituato, e un misogallo
a fa tti — e come ero Ardito
a
Mestone.
Po i si
avvicinava l'ora della partenza
,
nel tardo
meriggio, e g ià la
«
corriera
»
aspettava
,
vuota e
impolverata
,
laggiù nella piazza presso la fon
tana.
La luminosa giornata cadeva lentamente in un
crepuscolo entro il quale non pareva p iù vera
la sua pienissima luce trascorsa.
Fummo salutati da tutti
,
con un gran chiasso
festoso entro la nostra tristezza.
Solo Quintilio non c'era
,
ma nelle svolte della
«
corriera
»,
appena staccatici dal paese ed en
trati nella solitudine della prima campagna
,
noi
quasi lo vedevamo apparire
,
lì sulla strada
,
dritto a darci il suo calmo saluto nella campagna
già scura.
SANDRO PENNA
H O S H T A
Dal cortile, im provvisa voce di ragazzetto
chiamò la nostra mente ad una età rimasta
indietro nel tempo: « Mamma... mamma! mi
sono levato un dente... ».
G ià: quei dentin i, quei grani di riso, li ave*
vamo proprio dim enticati. Grazie, ragazzino.
Ora .
ricordare il povero babbo. Tornava
egli dall'officina e noi — festosamente e un
poco emozionati tu ttav ia , come te ora — gli
s'andava incontro col dentino da latte sul
palmo proteso. Sorridendo e forse ammic
cando a nostra madre e a sua madre, diceva
di metterlo presso il cam inetto o sulla finestra:
che i topi durante la notte lo avrebbero preso
lasciando in cambio qualche cosa. Non una
vo lta mancarono i topolini al loro dovere:
puntualmente l'indom ani il dentino non c'era
più e si trovava al suo posto un ventino.
In questo rapido viaggio a ritroso, non so
per quale smarrimento, un attim o a taluno
di noi venne da pensare: « Ma ora: ogni vo lta
che un dente ci abbandona, non è a ltra cosa? ».
Come d i riscontro a l nostro pensiero, ecco
apparire alla finestra, invece della mamma,
una donna molto avan ti negli anni, una di
quelle vecchine d'aspetto arguto, meritato
nell'esercizio d i inven tar fiabe per i nipotini
e pei figli dei n ipo ti; si sporse al ragazzetto
sul cortile: • ... m éttilo nel taschino, Sergio,
che stasera lo mostri a papà... V ien i su che
ti do una bella cosa... ».
V ivac i g li occhi dietro le len ti, colmo d i
luce era tu tto i l suo vo lto : una luce che da
giovane nessuno potrà mai avere.
Dal taglio nitido della bocca, s'indovina
vano rassodate gengive.