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usabile. E questo giovinottone salito or ora e

-fdutosi a ll’interno, forse ne fu egli stesso

ragione, altra vo lta. Eg li non sa, ma forse

una signora austera un certo giorno non resse

al suo sguardo: per tutto il viaggio i suoi

occhi vagarono come in cerca d’una salvezza.

Se fuggivano là dietro, uscendo a ll’aperto

traverso i ve tri; se scorrevano su e giù lungo

la vettura, a rriva ti a lu i lo scavalcavano.

A ltra volta fu qualche ragazza, davanti a lu i,

a sentirsi franare, dentro, la disinvoltura che

<!Ìà era parsa ben solida e collaudata.

Ed è venuto il suo giorno. Fam igliare gli è

questa linea che percorre quotidianamente

più volte. E della v ita , per molte esperienze,

non è un novellino. Pure...

Ma donde, dond’è sorta la causa del disagio?

Un marinaio sta di fronte; e, accanto a costui,

una donna che sorveglia il suo piccolo in gi-

nocchio sul sedile, contro i ve tri; due giovani

studenti; un’altra donna, anziana; tre uomini,

operai come questi che gli stanno a fianco. Ma

nessuno, fra costoro, può essere... Ecco, deve

ammetterlo tra sè: là, un poco a sinistra, in

pochissimo posto: bianca fragilissima creatura,

forse m alata, forse convalescente. Insieme alla

donna anziana, pare. Sottile ha il collo, e su

quello stelo il viso par proprio il calice di un

fiore, con pètali appena appena rosati, venati

d’azzurro; colore di bòzzolo i capelli avv ia ti

dietro le orecchie; sedici, diciassette anni. G li

occhi si sono rifug iati una vo lta in quelli

del giovanottone, ma così semplici, abban­

donati, chiari da parere indifferenti. Po i, di

lì a poco, lu i se li è sentiti sulle mani, quegli

occhi nuovissim i. Ah, le mani, le grosse mani...

Ora queste manacce lui non sa dove tenerle:

ha messo le braccia conserte, accavallate le

gambe; ma così non sta bene; ha intrecciato

le d ita in grembo; ha posato le palme sulle

rosee. I l sedile è rovente ormai. Un giornale,

almeno (che è lo scampo di molti, in sim ili

casi). Fum are...: ne intuisce per la prima volta

una opportunità. (Alzarsi senza pretesto e an­

dare là sulle piattaforme, stipate entrambe:

sarebbe fuor di proposito.) Ah, queste ma­

nacce...

È stata come una ispirazione: l ’unica via

d’uscirne, che le fiamme dal sedile erano arri­

vate al viso: sceso alla prima fermata, due­

cento m etri avanti la sua mèta.

L ì sul marciapiede s’è ritrovato in tatto :

uno e ottanta d’altezza, torace che supera il

metro, andatura energica, testa eretta, sguar­

do deciso. Con quelle due mani, a Passo

Mecan manovrò per ore la m itragliatrice. Per

i«commessa, là in A frica, dorante il riposo,

con una sola mano ha chioso ad anello un

ferro di molo.

UGO FOSCOLO

JS

ISTTJERS ©’AMORà

... ebbi la tua brrvis-ima lettera jer -era sai punto di to n ­

fa rm i; anche la scrittura affrettata mi fu di amaro presenti­

mento: non ho potuto aver sonno tranquillo: e mi sono ride­

stato più volte con lo spavento nell'anim a.

•* *

Quando in questa mia solitudine la malinconia viene a p i­

gliarm i il cuore io rileggo dalla prima all'ultim a tutte le lettere

che mi scrivesti; e son divenute il mio libro favorito.

•* «

Il giorno in cui vengono le tue lettere mi reca alcuni mo­

menti di consolazione : ma quella ch'io ebbi jeri è cosi piena

di amore ch 'io l'ho letta e riletta, e l'ho baciata con certa su­

perstizione: quando li avrò rip o sto andrò a riporla fra le a l­

tre, ma in un luogo distinto perchè quando vorrò ritrovarla mi

salti agli occhi più presto.

••*

Sono ormai le sette della sera. — Ho appettalo «ino ad ora il

corriere. — A mezzo di passato era giunto, ma non si d istri­

buivano le lettere; ho mandalo, rimandalo e sempre fi tar­

dava. Ecco finalmente Domenico che viene con le mani vuote.

Le lettere si distribuiscono, ma non ve ne sono per me: Dome­

nico fece cercare e ricercare nella casella del mio nome da

quegli impertinenti della posta; e pur troppo! non ve ne sono

per me.

•••

Viene in questo punto una tua lettera —

Scriiimi lunghe

lettere;

e tu mi dai il bell'esempio di lunghe lettere con una

letterina lunga cinque righe, e tredici parole. — Or tu pigliati

la b ri? ’’

niare nella tua carta e col tuo carattere notarile

que-ta .. n mia, qae?ta appunto che è delle brevi e vedrai

che ci vorranno alinea quattro pagine: e chiamo in testimonio

il G e l* che di quattro pagine non ho mai vedala una Ina let­

tera. raramente di tre. spesso di una. e più spesso di mezza.

Io le conservo tatte.

••*

Oggi tu avrai aspettato invano la mia lettera: ia arrabbio:

m 'immagino m ite le Ine querele, e torno ad arrabbiare: sappi

che je ri consegnai al mio servo due righe, due sole righe ov'io

t'annunziava la mia poca fortuna — quel disgraziato tornò sta­

mattina tutto confuso dicendomi a mezze parole e «frappan­

domi le viscere ch’ei aveva perduta la mia lettera; paoi idearti

tutto il mio furore, e lo stridere de' m iei denti: nè m i doleva

soltanto che tu fossi restata senza mie nnove, ma M olta

pia

perché chi sa a che mani quella lettera fatale pelea capitare!

Dopo molla collera e molle ore di imprerazioni ch’io soffocava

nel cuore, lo stordito venne fuor dalla mia stanza con la lettera

in mano: l'aveva per ricordarsene posta sopra il ram ino; e

parti lasciandola sopra il cam ino: e pai se ne dimenticò per

più di 24 ore.

a a *

... a che pretendere, o M an ia, ch’io ti scrìva lungamente, per

vederm i poi due o tre sole righe di risposta? Tu cosi poco oc­

cupata, anzi quasi nulla, senti pare il bisogno di non voltar

quasi mai la prima pagina del U f i» ; tu non hai tempo di

scrìvere. — A ehe devo io ascriverlo? Non ad altra che a poca

premura; e tu rovesci questa accasa tatù qaaata «apra d i aac

solo? E s'io ti pago della «tessa moneta son ia il paatigliaao?

Pe r D io, M an ia, ricatta ne' term ini del

sempre verso di te la aria parala c le arie pro­

messe. e poi arrasaau come fai ed afliggiau eoa le tae fred­

dissime lettere.

P . S . —

Sig illa meglio le tae lettere; anche qaetf’akiaaa è

aperta; la taa cera ipagaa aaa vaia aa qaattrìao.

a a a

Le lettere

e «t ha bisogno di «eriwtaa, e A r i»