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Giugno... Una settimana fa. mentre mi ripo­

savo nello studio, mi chiamò la mia sorella

perchè mi cercava uno sconosciuto che era

giunto su un cavallo. M i meravigliai che non

avevo inteso nulla: chi sa mai a che pensavo.

Le chiesi se l'avesse fatto entrare in casa;

mi disse che gli aveva parlato dalla finestra

di salotto, quella munita d 'inferriata, che dà

sul praticello del sacrato.

Siamo scesi giù in salotto.

Il

cavallo aveva la testa aderente a ll’infer­

riata e gli occhi spalancati. Agitai le braccia

perchè si allontanasse il più possibile, ma si

scostò di poco essendo legato corto a uno dei

ferri. Lo sconosciuto apparve davanti alla

finestra. Ci si guardò per qualche istante;

stavo per parlare ed egli mi prevenne. Disse:

<Sono passati quarantanni da che ci si lasciò ».

Feci di quarantanni il conto indietro e così

calcolai che ero allora in seminario. Dette con­

ferma al mio rapido conteggio. Disse: « Siamo

stati compagni in seminario ». Io gli sorrisi, ma

poi smorzai il sorriso,perchè nonostante facessi

uno sforzo di memoria non lo ravvisavo. Dissi

per complimento che mi pareva riconoscerlo:

che dopo tant’anni era impossibile ne ser­

bassi un ricordo più preciso. M i rispose che

era Paolo; allora chiamato Paolino. Ln ra­

gazzo di nome Paolino, a cui mancò la voca­

zione, era stato mio compagno di banco in

seminario, ma poi avevo saputo che era morto.

Perciò l’effetto di quelle sue ultime parole fu

che l’animo mio rimase in gran tumulto. Seguì

un impenetrabile silenzio. Lo interruppe mia

sorella: « È impossibile di ricordare una per­

sona dopo che sono trascorsi quarant’anni ».

Approvai col capo, ma costui rispose: •Gli

anni son passati anche per me senza che mi

dimenticassi del priore ».

Fu i per arrendermi ed invitarlo in casa, ma

me ne trattenni pensando che era ancor da

far l’esperimento della intera verità. La mia

sorella, nella intenzione di suggerirmi non so

ben che cosa, mi pestava un piede. D issi: « So

( he Paolino morì appena tornato in seno alla

fam iglia ». Eg li rìse di compatimento e poi r i­

mase là perplesso. La mia sorella disse a fin

di bene una bugia e cioè che era al corrente

dell’avvenuta morte di questo mio compagno.

Rispose: « Alle donne si confà il silenzio » e

attraverso l'inferriata mi mise una mano sulla

spalla. « Ora ti mostrerò come son vivo ». In ­

terpretai queste parole in senso di minaccia.

Quando ritirò la mano, avrei voluto fuggire

in un 'altra stanza, ma stimavo di far peggio.

D issi: « Vedo bene che sei vivo ». G li detti

questa risposta soltanto perchè capisse cht*

accettavo volentieri il suo linguaggio fam i­

liare.

Scioglieva il nodo che teneva il cavallo le­

gato all’in ferriata; mi rincorai alquanto poiché

negli ordinati movimenti delle mani dimo­

strava molta calma. Lasciò a sè il cavallo

appena libero, che rimase fermo come quando

era allacciato a ll’inferriata. L ’uomo mi guar­

dava e il cavallo mi guardava; io abbassai la

testa vergognoso. Approfittò di quell’istante

per saltargli sulla groppa. A lzai il capo; aveva

di già le guide in mano. Non avrei dato prova

di una simile sveltezza nemmeno nel salire su

una seggiola; eppure a occhio gli si aggiudi­

cava la mia età. Con uno strappo a una guida

fece fare al cavallo un mezzo tondo. <«E ora.

disse, si comincia ». Dette con i calcagni un

colpo nel ventre del cavallo e così lo costrinse

a saltare il vaso con l’ortensia, che la mia

sorella aveva messo a ll’aria quella mattina,

stessa; onde le sfuggirono queste parole invo­

lontarie: « Ecco che del bel fiore fa uno sfar­

fallio . E ra fra tutte le sue piante quella che

aveva rallevato con piti cura: la metteva sulla

predella dell’altare quando era aperta la

chiesa e non c’eran le funzioni. Invece la saltò

perfettamente, senza che la danneggiasse nem-

men per l ’aria mossa. Con altro strappo della

guida rimise il cavallo voltato alla finestra.

Disse: « Questa è stata la prima prova per

mostrare che son vivo . Io guardai davanti,

in giro, preoccupato di che cosa intendesse

ora di fare, e preoccupata più di me era sicu­

ramente mia sorella. Sebbene non scorgessi

nulla, a ll’infuori della pianta con l’ortensia,

che altre esercitazioni col cavallo potessero in

qualche modo danneggiare, non mi tranqu il­

lizzai. D issi: « Basta il salto che, insieme col

cavallo, hai fatto sull’ortensia per mostrare

che sei vivo ». Rispose: « Non basta; bisogna

che ti provi com’è vivo Paolino ».

Questa sua invincib ile insistenza mi mise la

confusione nella mente. Aprivo la bocca per

parlare ma la richiudevo subito. Disse: « In

tutto il piazzaletto non vedo nemmeno un ta­

volo di pietra ». G li chiesi a che cosa servireb­

bero i tavo li di pietra nel sacrato di una

chiesa. Rispose: « Per posarci pane e compa­

natico quando si fanno le merende, dopo le

processioni, a chiusura delle feste ». M i balenò

un nitido pensiero: ecco ancora un altro suo

espediente onde penetrare in auesta casa.

Saltò a terra e preso il cavallo per le guide

lo condusse in fondo al piazzaletto, dove lo

legò al tronco di un'acacia. Si rincamminò