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di suono straniero. Questa specie di battesimo della parola straniera in parola

italiana di consimile suono è un fenomeno che avvenne in antico e che avviene

tuttora nel popolo, per virtù spontanea di assimilazione, o genio del linguaggio,

come si è detto.

Più si può e meglio è ; ma non sempre si può. Il placido

caffè,

anzi in antico

bottega di caffè è

in via di scomparizione.

È succeduto il rapido

bar.

Diremo

baro

?

bara?

Marinetti propose

beri

Ciò

è più spiritoso che pratico. Si può dire che ogni parola straniera presenta un caso

speciale. Ma genericamente parlando si osserva che la natura musicale della lingua

italiana non sempre si presta a dare battesimo a queste parole che in antico erano

chiamate barbare. Oppure sono le parole barbare che non si prestano a ricevere

il battesimo di italianità. Per es.

frac, tait, turing, club

e molte molte altre. Per

qualche parola si potrà usare l’autorità: indo,

trice

invece di

maneken,

ma le

signore già fanno grifo, storcono le rosee labbra a 'uell’iruiossatrice. E poi? cento

parole entrano in chiesa a farsi battezzare all’itali.

jl

e duecento si disperdono,

roi ci sono contrasti che derivano dalla natura e dalla storia. Per un complesso

di ragioni, l’italiano letterario risentì troppo della'gravità del latino, e questa gra­

vità o maestà si palesò in alcunché di ordinato, direi di pesante: parole e penodi

certamente ben disposti, col suo bel verbo in fine, coi suoi leccumi toscaneg-

gianti, ma più come esercito che si muova in parata, che come esercito che vada

m battaglia, tanto che già nel '500 ne sorse la satira con alcuni spiriti bizzarri.

Questo paragone fra il periodare classicheggiante del *500 e del ’6oo e gli

eserciti e le guerre, mi fa venire a mente ciò che Francesco Guicciardini scriveva

dei nostri eserciti condotti da capitani di ventura. Dice che « si combattevano

guerre piuttosto belle di pompe e di apparati, quasi simili a spettacoli, che peri­

colose e sanguinose. Unoccisione di cento uomini era non piccola secondo le

maniere del guerreggiare le quali in quel tempo in Italia si

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viiu^cino

E proprio per dimostrare come la parola segua la vita di un popolo, si consi­

deri come la lingua italiana prese vivacità, luce nuova, all’alba della nostra libertà

politica con tre spiriti grandi: Foscolo, Leopardi, Manzoni. |Di fronte all’ita­

liano togato, aulico, un po’ greve, stanno i dialetti. Come giudicheremo i dialetti?

Da un lato si potrebbe dire che ciò che è vivacità, naturalezza, festevolezza della

parola, si rifugiò nei dialetti. Siano ad esempio i grandi poeti dialettali quali il

Porta, il Belli, Carlo Goldoni. E perchè no — almeno in parte — Benvenuto

Cellini? I dialetti rappresentano come un’infusione di forze vive; una specie di

barriera contro l’invasione delle parole straniere. Sta d’altra parte il fatto che la

forza del dialetto non esce dai limiti della regione, dalla corte del castello, e non

va oltre certe forme di pensiero. Perciò appunto Dante divinò di spremere dai

vari dialetti, il fiore di un linguaggio nazionale. La parola della Divina Commedia

è un miracolo di trasformazione del volgare fiorentino in una lingua nazionale,

nella quale si sono fuse parole tolte dai provenzale, dal francese, dal latino, e

anche dal gergo plebeo] (*).

Un altro fenomeno odierno di cui si tiene poco conto, è il moltiplicarsi quasi

all’infinito di parole tecniche, scientifiche, dovute al prevalere delle scienze e della

tecnica nell’età nostra rapidissima. Molte di queste parole dal linguaggio scienti­

fico, filtrando nell’italiano comune, producono 0 almeno sembrano produrre un

suono contrastante e spiacevole.

Risolvere questi nodi, comporre questi dissidi è forse più opera di naturale

evoluzione che di leggi. Ma è già qualche cosa conoscerli e averli presenti.

Bene intenderci tra noi, bene tarsi intendere dagli altri, con un linguaggio

uniforme, spedito, preciso, che dovrebbe essere nel comune sentimento di ogni

italiano di cuore.

ALfMDO FANZINI

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