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Ma l'interesse di Panzini per il lessico ita­

liano ed europeo non era di natura esclusiva­

mente grammaticale. Ciascuna parola si pre­

sentava alla sua mente come una bella avven­

tura, come una vaga favola antica da stu­

diare in ogni particolare, da godere lenta­

mente, da quel raffinato ch'egli fu nel gustare

le cose più semplici, più umili, quelle cose che

sono sempre sotto gli occhi di tutti e solo i

poeti sanno vedere nel loro più riposto essere.

I « mostricini » ch'egli portò nel lontano 1903

all'editore Hoepli, con la mente piena di rive­

renza per la santa purità della lingua italiana,

avevano per lui soprattutto il valore di docu­

menti di storia e di costume. In ogni parola

è rinchiusa una lunga vicenda di vita e di

morte, di grandezza o d'umiliazione: è il per­

petuo tormento dell'uomo che si manifesta

nella sua più immediata espressione, nella

lingua, nelle parole. Alcune di queste, con i

loro millenni di vita, ci riconducono fino alle

lontane epoche delle civiltà primitive, altre

sono nate da poco e conservano l'aspro sapore

della giovinezza. In ognuna un segno, un sim­

bolo: in ognuna una storia antica o nuova.

Questa fu la bella avventura linguistica che

Panzini visse con cuore d'uomo e sensibilità

di poeta.

TRISTANO OOLELLI

Ricorre il primo anniversario della morte

di Alfredo Panzini. A un anno di distanza,

fuori degli obblighi commemorativi, mentre

il ricordo della persona viva ed il lume del

saggio sorriso e la consuetudine degli affetti

si allontanano, che resta da aggiungere a

quanto si scrisse di lui, da ogni parte, con con­

corde ammirazione, all'indomani della scom­

parsa? Questo: che egli, per avere in vita

scansato mode e polemiche letterarie anche a

costo di apparire talvolta non abbastanza

aggiornato, per essere rifuggito da atteggia­

menti esteriori di caposcuola anche quando si

trovò al vertice della letteratura nazionale

solo, badando a cavare dalla sua arte gli

accenti più chiarì e intensi, è di quegli scrit­

tori che si avvantaggiano del trascorrere del

tempo e presto si stabilizzano secondo i valori

fìssi dei classici. Mentre il favore del pubblico

aumenta e le sue opere si ristampano con suc­

cesso e traducono (un editore tedesco ha da

oco intrapreso la versione di tutti i suoi

bri), la critica, per ora, sembra aver poco da

riesaminare, da precisare. Gli studi compinti

più di recente hanno approfondito, non mu­

tato, il giudizio già da anni su di lui formu­

lato. Dei suoi scritti, come solo accade per gli

autori non più in discussione, esistono scelte

antologiche esemplari, una sistemazione e va­

lutazione che difficilmente subiranno sposta­

menti notevoli, un'interpretazione pressoché

definitiva. Lo stesso collocamento al posto

giusto nella storia poetica del primo Nove­

cento, nel periodo ch'ebbe appunto per Caccia

la loicità drammatica di Pirandello e per verso

l'ironia sentimentale di Panami, all'ombra del

morente sole d’ Annunziano, è avvenuto con

una sicurezza c

he

conferma la legittiaoità M a

sua posizione. Non ripeteremo dunque ch'egli

si ritrasse come un dotto deluso dalla sua dot­

trina, un moralista sfiduciato e tuttavia troppo

poeta per saper far

no delle care illu­

sioni umanistiche e di un patetico trasporto

aH'idillico. Nè che dal contrasto tra l'educa­

zione classicamente idealistica e la sua triste

realtà quotidiana e l'inquieta eccitabilità,

spesso vezzeggiando la propria scontentezza,

ricavò situazioni umoristiche, satiriche, gno­

miche che sempre sottintendevano uno stato

d'animo lirico.

Nè infine che il suo genere prediletto fu il

diario poetico-descrittivo, il viaggio-confes­

sione, a cui fanno capo le opere migliori, con

il capolavoro

La lanterna di Diogene.

Rivol­

geremo l'invito, superfluo del resto, a rileg­

gerlo. Ad accostarsi con sempre maggiore

comprensione alla sua poesia tessuta di insi­

nuazioni, esitazioni, sottintesi, sfumature, pa­

rentesi, esclamativi ed asterischi ma su un

fondo di alta eticità e risentita coscienza ci­

vile.

Riapparirà immutata, resistentissima, la

suggestione del suo costruire inorganico ma

pungente, per tocchi improvvisi, illumina­

zioni rapide da cui vengono su, con un fare

tra Tignalo e lo scaltro, il realistico e il fia­

besco, ritrattini che si incidono come piccoli

strappi dell'animo. E ogni particolare fissato

cor un linguaggio rado, Beve, sciolto eppure

netto, che va e viene eoi respiro,

modalato sa

ritmi brevi in cai le

parole

scritte non

pesano

più delle dette e le dette delle pensate,

povera

di

saoai calerai

e

ricco di risonanze interne,

conforto eoa

pancate

stadio

e

tuttavia quasi

A Pi l i