

tava a quarantadue, numero indubbiamente
esagerato in rapporto alla popolazione della
città.
Si dichiarò pertanto: « ciascun panataio
non sarà d'ora in avanti conservato se non
avrà il fondo di grano necessario per un mese
proporzionalmente al suo smercio, al quale
effetto dovrà ciascun panataio passare la
debita sottomissione con cauzione avanti la
Regia Giunta dell’Annona » e « ciò provvi
soriamente sino a che il numero dei panatai
sia ridotto a ventiquattro, al più, pel pane
buffetto, e a quello di sei per il casalengo ».
A queste cause di rincaro, altre s’aggiun-
gono che non possono essere dimenticate
come quella dell'esistenza, ancora, di una
economia ristretta e di modesti mercati, onde
al minimo sentore di speculazioni, di frodi o
di mancanza di generi, i prezzi salivano affan
nosamente. Ragione questa da non obliarsi
nel ragionare e giudicare di « tasse » e di
«calmieri ».
Che le frodi si attuassero su larga scala
non stupisce, come non stupisce che clan
destine manovre per alterare il prezzo dei
grani si aggiungessero alle difficoltà di ordine
naturale. Ne fanno fede, oltre che i rapporti
dei funzionari, le testimonianze di scrittori
noti, quali il Gioia, il Gambini, il Giulio, il
Giovanetti, e di quanti altri a quel tempo
studiavano i problemi dell'annona.
Come normalmente avvenissero tali spe
culazioni ce lo descrive ad esempio il Gam
bini: « Primieramente, egli dice, la comune
de' prezzi, desunta da mercati diversi di
luogo e di tempo e da contratti differenti sì
di quantità rispettiva, che di forma e di con
dizione, e particolarmente a danaro contante
ed a respiro o più o meno lungo: poi gli errori,
le negligenze ed ove proficua fosse anche la
mala fede de commessali », e finalmente le
continue variazioni prima che l'Àutorità avesse
verificato e deliberato, erano difficoltà già
tali per sè, da escludere ogni retta pratica
di un simil sistema. Ma il peggio si è che
l'alterazione fattizia e fraudolenta de' pressi
diveniva con sì (atto regolamento non men
utile che eseguibile pei grandi proprietari
di frumento, non trattandosi se non d'effetto
momentaneo. « Non trovandosi i mercati in
certe provincie limitrofe, quasi forniti che
dai suddetti proprietari e da
questi
mercati
prendendo poi norma, gli altri, non
v'era
cosa più facile
che
il
far
diminuire i
pressi
con vendite e
compre
simultanee.
Teneva»
intanto preparato e
pronto nn gran trasporto
di grano
a cui
facevasi in
bre
v'ora
oltrepas
sare i
confini.
D
fatto
e
l'arte spargendo poi
tosto l'allarme, rendevan ben piè beile il
far
crescere
i pressi che non era stato il dini*
far profittare allo Stato colle estrasioni, faceva
profittare ai proprietari sui consumatori dello
stato medesimo: dove talvolta, anche in anni
di abbondanza, sorgeva la carestia. Poiché
il rapido alto prezzo e le estrazioni tra vere
e supposte, esagerate nell'opinione, facevano
rinserrar il grano nell'interno ».
Tali manovre, già per altro denunciate
dal Gioia per sfuggire ai rigori delle « tasse »,
dovevano essere note, se il Manifesto del
Vicariato di Torino relativo ai mercati dei
grani, del 1815, proibisce di contrattare il
prezzo dei grani a certi sensali ambulanti,
sfaccendati che, « d'accordo con magazzinieri
e negozianti, coi più biasimevoli raggiri e
monopoli e coll'aiuto anche di secreti agenti
e mandatari, procurano, non curando il grave
pubblico pregiudizio, alterare, con tali illeciti
mezzi sul mercato del grano, i prezzi delle
granaglie specialmente nei tempi prossimi
alla consueta fissazione della tassa del pane ».
La « tassa » non poteva per virtù propria
produrre quei benefizi che il popolo atten
deva, poiché, a causa della diminuzione coatta
dei prezzi, avre*^* dovuto provocare un
aumento nelTohiiut dei beni soggetti a cal
miere, onde far fronte alle nuove richieste.
Una opportuna politica produttivista non
accompagnava la pratica delle « tasse ». Una
tale politica la vedremo solamente più tardi,
scendendo ad epoche a noi più vicine, dopo
la proclamazione del Regno, onde non stu
pisce se a quel tempo non si raggiungeva
purtroppo altro risultato che quello di pro
vocare una penuria dei generi, il che fece
dichiarare al Gambini, critico piemontese,
anche troppo severo, delle leggi annonarie
italiane, che, « se potè venir il caso di un
critico momento in cui la tassa fosse o paresse
necessaria, questa necessità era sempre colpa
dei regolamenti, i quali producevano la care
stia e mantenevano intanto nel popolo la
falsa opinione che il Governo potesse a sua
posta sbandirla ».
Ma sembrava ai più non potere il Governo
disinteressarsi del problema dei pressi, chè
se il congegno delle « tasse » molto lasciava
a desiderare, e qui aveva ragione il Gambini,
le variasioni anche repentine dei pressi che
tendevano a verificarsi nei diversi mercati,
e le speculasioni che ne derivavano, appunto
per le difficoltà degli approvvigionamenti
locali, sarebbero parse insopportabili per le
popolasioni, qualora il Governo non fosse
immediatamente intervenuto, onde la psico
logia a favore dei calmieri da parte di popo
lazioni a regime di vita modestissimo, era
tale da non «se te dimenticata da chi di
politica non ragionava per pera diletto.