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On. UMBERTO T ERRAC IN I - Presidente Assemblei Costituente.

Presidente effettivo Comitato Generale d'onore

alla libertà, all’ unità c all'indipendenza era un

ideale mantenuto v ivo , attraverso lunghi secoli

di asservimento, da pochi, grandissimi italiani,

1 quali — nel loro sublime isolamento — par­

vero ai nostri padri del '48 i profeti del

destino nazionale. Ma la voce degli isolati, se

aveva riccchcggiato nei secoli, non era andata

più in là del vaticinio e tu necessario che, alle

soglie del X IX secolo, si producesse in Eu­

ropa la grande rivoluzione rrancese, perchè gli

ideali contenuti nel vaticinio uscissero dai libri

dei profeti e diventassero 111 Itaiia, tra il popolo,

germi fecondi di coscienza politica.

E vero che gli Istituti moderni portati in

Italia dalle baionette dei soldati di Bonapartc

avevano subito non poche trasformazioni poli­

tiche, così come aveva subito non poche trasfor­

mazioni politiche 111 Francia il regime che sor­

geva sulle rovine del feudalesimo, e vero anche

che la libertà, delle repubbliche prima e dei regn:

poi, organizzata dai francesi in Italia aveva Ta­

maro sapore di 1111 nuovo asservimento ad inte­

ressi stranieri, ma è tuttavia innegabile, mi pare,

che gli ideali della rivoluzione francese, in un

modo o nell altro, agirono sulla coscienza degli

italiani.

E quando, dopo la caduta di Napoleone, la

Santa Alleanza incatena 1 popoli d Europa e con­

solida la reazione, le cospirazioni clic fiori­

scono in Italia ci testimoniano una volontà di

lotta, uno spirito eroico, una ricerca di solu­

zioni, che non sono più di qualche isolato,

ma di una numerosa

elite

la quale già si sente,

sia pur confusamente e ingenuamente, legata al

popolo.

li 4S ha avuto il suo prologo nei moti del

'21 e del 31 e dei 33 , moti che portano sulla

scena della lotta, 111 tentativi insurrezionali, il

Piemonte, Napoli e l’ Italia centrale, con ini­

ziativa propria e non più per l’ intervento stra­

niero.

Nella stessa sconfitta di quei moti, gli ita­

liani trovarono un tesoro di insegnamenti per

le loro lotte successive. Essi compresero — e più

di ogni altro lo comprese Mazzini — che le

cospirazioni c i pronunciamenti avevano ormai

fatto il loro tempo, che il problema nazionale

andava affrontato con una lotta che mobilitasse

le macse, la coscienza delle quali doveva essere

conquistata agli ideali di libertà, di unità c di

indipendenza.

La pressione popolare che organizza la rivo­

luzione e che strappa ai principi le garanzie delle

libertà è, dirci, il filo rosso che attraversa i primi

anni del R isorgimento .

Uno storico attento, il Salvatorelli, ha colto

bene questa fisionomia del 48.

« Le riforme furono date dai sovrani — egli

scrive — ma sotto la pressione immediata e

continua dei popoli... tu mobilitata allora, am­

piamente, sistematicamente, in tutta la Penisola,

la “ piazza ” ... I moti di piazza del 46-48, chec­

che sia di certi loro aspetti (“ quarantottate” )

inseparabili in una certa misura da ogni m ov i­

mento popolare, furono insieme manifestazioni

fisiologiche di un organismo nuovo , o rinno­

vato, affacciamosi alla vita nuova. E se il '48

fallì, il fallimento non fu dovuto già a quei

moti, ma all’assenza o scarsezza di altri elementi,

e potrebbe anche dirsi che esso si verificò in

coincidenza con il venir meno dell’azione po­

polare manifestatasi nei moti medesimi. Questi

furono il risultato naturale di tutte le precedenti

elaborazioni di pensiero e delle diverse propa­

gande (compresa quella dei moderati medesimi)

che sarebbero state inutili se non fossero scese al

popolo e non avessero promosso una sua par­

tecipazione attiva ».

é