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Arte italiana ed europea nel collezionismo

e

nella committenza reale e privata

di Rosanna Maggio Serra

Tra la Restaurazione e l'inizio del processo di unificazione nazionale il legame della

cultura artistica della nostra città con l'Italia e con il resto dell'Europa passava priori–

tariamente, come voleva la didattica del tempo, attraverso la riflessione sull'arte anti–

ca. Interessa quindi chiedersi quale fosse la presenza di questa a Torino. Certamente la

Reale Galleria, aperta da Carlo Alberto nel 1832 con i dipinti di maggior merito delle

sue collezioni, fu la principale risposta alla necessità degli studiosi e degli artisti di

conoscere la grande arte italiana e straniera del passato. Ma da tempo vi era nella capi–

tale sabauda la possibilità di ammirare importanti opere di pittura classica, raccolte di

stampe, di bronzi antichi e rinascimentali, di glittica, di numismatica.

Nel 1820 la

Notizia delle opere di Pittura e Scultura esposte nel Palazzo della Regia

Università

svela, con precisi elenchi dei prestatori, l'esistenza a Torino di numerose

collezioni d'arte private. E le guide di Torino pubblicate tra la fine degli anni dieci e

gli anni cinquanta e oltre confermano che verso la metà dell'Ottocento parecchie di

quelle cospicue collezioni sussistevano e che altre se ne erano aggiunte, mostrando

un 'immagine non scontata degli interessi culturali e delle fortune presenti in questa

città di poco più di 100.000 anime.

Non è qui questione di interrogarci sull'effettiva autenticità delle opere citate, che

portano spesso i nomi dei più insigni artisti del Rinascimento - Masaccio, Leonardo,

Raffaello, Vasari, Bellini, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Correggio, Parmigianino - e

del Seicento - i Carracci, Guercino, Domenichino, Reni, Caravaggio -, mentre tra i

pittori non italiani sono segnalati Diirer, Poussin, Rembrandt, Rubens, Van Ostade,

Wouwerman, Potter ecc. Anche se alcune di esse, passate attraverso eredità o vendite

nelle istituzioni pubbliche piemontesi, italiane o straniere, hanno ora attribuzioni di

maggiore precisione, non è tanto l'identità effettiva degli autori che interessa in questa

sede, quanto la presenza dei loro nomi, che ne segnala la conoscenza, l'apprezzamen–

to, la ricerca, funge cioè da indicatore di cultura.

In generale si può osservare che le grandi famiglie piemontesi prediligevano, secon–

do i canoni classicisti, l'arte italiana del Cinque e Seicento e in minor misura quella del

Settecento; accanto a queste, l'arte fiamminga e olandese. Indice di atteggiamento più

culturalmente spregiudicato è il possesso di opere piemontesi del

XVI

e

XVII

secolo,

che erano presenti in qualche casa, non soltanto in quella del re e in quella dell' arcive–

scovo Vincenzo Maria Mossi di Morano: presso i Trucchi di Levaldigi, ad esempio,

sono segnalati parecchi autografi di Gaudenzio Ferrari.

Nel palazzo di via San Filippo (ora della Provincia, in via Maria Vittoria) le sale

dorate dei principi Dal Pozzo della Cisterna racchiudevano una raccolta magnifica di

circa 500 opere d'arte, iniziata fin dalla prima metà del Seicento da Amedeo Dal

Pozzo e ancora riscontrabile in loco nel 1855. Per verificarne per quanto possibile

l'importanza basta scorrere l'elenco dei trenta dipinti prestati per la mostra del 1820

dal principe Carlo Emanuele (noto per le sue idee liberali), tra i quali compare un

Mosè salvato dalle acque

di Nicolas Poussin, riconosciuto dagli studi moderni nel

Riposo nella fuga in Egitto

del grande francese ora al Museo di Belle Arti di Budapest

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