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Ricci, che pure non si isola mantenendo contatti con uomini di rilievo del riformi–

smo torinese - prima con Gioberti, poi, in un dialogo pieno di motivi di interesse con

Lorenzo Valerio -, spiega più volte quali siano le ragioni di fondo della sua antipatia

per la dinastia sabauda: per il suo assolutismo, che, con le riforme e lo Statuto, cesserà

di essere un ostacolo alla concordia; e per la sua puntigliosa documentazione di quan–

to le istituzioni genovesi, soprattutto le opere pie e l'Albergo dei Poveri, siano trascu–

rate e neglette, e quindi danneggiate dal governo.

Una polemica che avrà momenti di pausa, ma non sarà mai del tutto accantonata.

Mentre gli altri esponenti del riformismo genovese dal carattere più coerente, come

Lorenzo Pareto, dopo durissime prese di posizione riconosceranno lealmente, negli

ultimi anni, i meriti e gli sforzi del governo nel processo unitario

1o,

Ricci sarà sempre

critico, sempre oppositore, mai sereno nei giudizi, sino ad approdare nel 1864 alla

Permanente.

E proprio questa sua caratteristica di costante animosità antipiemontese lo farà rie–

leggere deputato sempre, nel I collegio di Genova, votato da destra, centro e sinistra

unite da un tenace municipalismo.

E tuttavia nel 1846-47 a Genova il clima muta sensibilmente: è ormai diffusa la con–

vinzione che bisogna premere, uniti, per chiedere a Torino serie riforme, come premes–

sa a maggiori aperture liberali. Dopo le autocelebrazioni piene di significato politico

del 1846

11

viste con comprensibile sospetto da Paolucci, dopo il sorgere di tante spe–

ranze con l'avvento di Pio IX, si ha nella seconda metà del '47 a Genova uno spirito

nuovo, con tanta fiducia in un cambiamento. Anche se Ricci, sempre diffidente, parla

ancora nell' ottobre di «dispotismo orientale», definendo casa Savoia «il cancro e non

la speranza e la salute d 'Italia», si attraversa un momento di entusiasmo: uniti nel

Comitato dell'Ordine promosso da Giorgio Doria nobili, professionisti, negozianti e

preti, di ogni sfumatura politica, organizzando le grandi manifestazioni popolari che

chiedono riforme e maggiori libertà, ma inneggiano a Carlo Alberto, solidali con lui se

e quando il re vorrà aderire alle richieste e impegnarsi per la causa italiana.

In questa fase le idee repubblicane e municipaliste sono al punto più basso, e la

città esprime la sua volontà di concordia e di conciliazione per una svolta richiesta e

attesa.

Il

ralliement

tra genovesi e piemontesi è, o sembra ormai un fatto compiuto, dopo

decenni di diffidenze e incomprensioni

l 2 .

Si parla di «sentimento della nazionalità ita–

liana», e si accoglie a Genova Carlo Alberto con entusiasmo e acclamazioni, anche se

il re, tramite Villamarina, aveva giudicato premature le riforme chieste.

Ma il colpo duro

è

il rifiuto da parte di Carlo Alberto, il 9 di gennaio 1848, di rice–

vere a Torino una commissione di genovesi di cui fanno parte Ricci, Pareto, Giorgio

Doria, Giacomo Balbi Piovera, Cesare Cabella e altri. Giacinto Borelli dice che il re

non vuole accordare nulla, e invita la deputazione ad andarsene «dopo udita la S.

Messa»13.

L'umiliazione per l'élite dirigente genovese, non tanto per l'esito negativo della

delegazione, quanto per la negata udienza da parte del re, suscita risentimenti, scettici–

smo e ironie, e incrina le speranze e la fiducia dei genovesi, che mai si erano sentiti

così disposti alla concordia tra loro e alla collaborazione con Torino

l4 .

lO

Pareto verrà nominato, dopo l'unità, senatore del

Regno.

11

Sul 1846 molte notizie offre ADOLFO COLOMBO,

La

tradizione di Balilla a Genova nel

1846, in

Goffredo

Mameli e i suoi tempi,

Venezia, La Nuova Italia, 1927, pp.

141-262.

li

lavoro non

è

privo di errori e superato, e tut–

tavia utile. Vedi anche B. MONTALE,

Vincenzo Ricci

cit.,

pp. 442-447.

12

GIOVANNA GALLO,

L'opera di Giorgio Doria a

Genova negli albori della Libertà,

Genova, Sordo-muti,

1927 . Si veda anche ARTURO CODIGNOLA,

Dagli albori

della libertà al proclama di Moncalieri,

Torino, Deputazio–

ne Subalpina di Storia Patria, Biblioteca Italiana di Storia

Recente, 1931.

13

Sul fallimento della deputazione, B. MONTALE,

Vincenzo Ricci

cit., pp. 452-453.

14

Alberto Ricci, ambasciatore a Vienna, definisce

«pazzi cervelli» i membri della delegazione. Ma altri non

dimenticano l'offesa. Matteo della Rocca scriverà

il

18

marzo a Ricci stesso, divenuto ministro degli Interni:

«Egli (Pareto) e voi, muniti di missione illegale, siete stati

da quel sommo (il re) con eccessiva gentilezza mandati ad

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