

riato, rendeva la città socialmente adatta allo sviluppo di una manifat-
tura basata sulla distribuzione del lavoro a domicilio fra i lavoranti. Co-
sì Torino, grazie all’operosità dei suoi contadini-artigiani e all’attivismo
dei suoi mercanti-imprenditori, spesso dotati di assai modeste risorse fi-
nanziarie, si avviò nel Trecento a conquistare una propria centralità eco-
nomica mediante l’affermazione sul mercato regionale dei propri
panni
taurinenses
. Fu un’affermazione di non lunga durata che si spuntò a fi-
ne secolo contro la riduzione della domanda di manufatti conseguente
alla crisi demografica e alla concorrenza dei centri vicini: Moncalieri,
Chivasso e, soprattutto, Chieri e Pinerolo. I mercanti-imprenditori to-
rinesi dovettero correre ai ripari e li trovarono in un minimo di diversi-
ficazione produttiva che orientò la città verso un potenziamento delle
attività, come la produzione di carta, che avrebbero conosciuto nuovi
sviluppi nel corso del Quattrocento.
Caratterizzarsi per la produzione dei pannilana di qualità media e,
più tardi, avviare la produzione di carta non erano certo scelte origina-
li in un’area in cui tutti i centri maggiori cercavano di ritagliarsi uno spa-
zio economico nella manifattura tessile e in cui già robusto era il ruolo
produttivo delle cartiere di Caselle. Le stesse caratteristiche di non bril-
lante originalità la città trecentesca presentava in campo artistico, lin-
guistico e culturale, mettendo limitatamente a frutto le proprie poten-
zialità ricettive e di libera interpretazione delle esperienze ora lombar-
de e padane, se non umbre e fiorentine, ora transalpine, con cui, per la
sua stessa posizione lungo la grande via di Francia, le occorreva di en-
trare in contatto. La sua stessa storia religiosa in quei secoli appare, per
così dire, «quasi ripiegata su se stessa: senza peculiarità di rilievo, sen-
za capacità di sperimentazioni originali, persino blandamente, se non
stancamente, ricettiva delle novità provenienti dalle aree di più intensa
elaborazione di esperienze cristiane ortodosse ed eterodosse. Torino bas-
somedievale non è città di santi, né di eretici»
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.
Furono la morte di Ludovico, ultimo principe d’Acaia, avvenuta l’11
dicembre 1418, e la conseguente annessione dei suoi dominî a quelli del
duca Amedeo VIII di Savoia a riaprire la concorrenza fra i centri pie-
montesi e ad offrire a Torino la possibilità di affermarsi nel complesso
sistema di relazioni che univa le maggiori comunità al potere centrale.
Fra queste, almeno sette – Mondovì Cuneo, Savigliano, Pinerolo, Chie-
ri, Moncalieri e Vercelli – potevano contare verso il 1420 su un nume-
ro di abitanti paragonabile, e in più casi superiore, a quello torinese e
Torino 1280-1418 / 1418-1536: due modelli di città
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g. g. merlo
,
Vita religiosa e uomini di Chiesa in un’età di transizione
, in questo stesso volume,
p. 298.