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«Il debutto del Toscanini è stato un
trionfo.
È
una splendida aurora nell'o–
rizzonte dell'arte... Diresse a memoria
con una sicurezza, un'energia da pro–
vetto maestro... Un giovinetto pensoso,
studioso, intelligente, ha posto una so–
lida base di fama duratura» ('). Cosi,
come viene riferita nella famosa e giu–
stamente lodata biografia critica di An–
drea Della Corte, la prosa - scarna an–
che se non priva di illuminante acutez–
za - con la quale ,l'anonimo recensore
della «Gazzetta Musicale di Milano»
commentava quella rappresentazione del–
l'Edmea
di Alfredo Catalani che segnò,
la sera del 4 novembre 1886,
il
primo
incontro del non ancora ventenne To–
scanini con gli ascoltatori torinesi, con–
venuti
al
Teatro Carignano, privilegia–
ta {ma allora inconsapevole del privi–
legio) avanguardia di tutti gli immensi
pubblici italiani che lungo l'arco di qua–
si settant'anni avrebbero acclamato
il
prodigioso Maestro.
Giovane, ma per la verità non del tut–
to ignoto e sprovveduto, era il parmi–
giano «d'oltretorrente» Arturo Tosca–
nini, avendo alle spalle l'esperienza, for–
tunata non meno che fortunosa, di una
lunga e faticosa stagione estiva al Thea–
tro Imperial (oggi Municipal) di Rio de
Janeiro, durante la quale, scritturato dal–
l'impresario Claudio Rossi quale violon–
cellista e maestro sostituto del coro, si
era invece 'trovato improvvisamente, per
le note fortuite circostanze, a dover di–
rigere la bellezza di dodici opere, fra cui
Marion Delorme
di Ponchielli,
Salvator
Rosa
di Gomes,
Lauriana
del portoghe–
se Machado, e
Amleto
di Thomas. Pro–
tagonista di quest'ultimo melodramma
era
il
baritono francese Paul Lhérie, uno
dei capisaldi della compagnia, che, ac–
canto
ai
soprani Bulicioff e Buglione
di Monale (nostra concittadina, costei),
al basso Roveri, al famoso mezzosopra–
no Mantelli, annoverava la celebre cop–
pia italo-russa formata dal soprano Me–
dea Mei e dal tenore dell'Opera Impe–
riale di Pietroburgo Nicolai Figner.
Di costui, in particolare, si vuole qui
nel
f.~onapo
naullicole itollono
ed europeo
l'ope.·o pOlltunao di
Arrigo Bolto
rammentare
il
nome , disgiungendolo una
volta tanto dalle qualità di esecutore e
interprete che lo resero giustamente fa–
moso, per legarlo invece alla circostan–
za dell'esordio torinese di Toscanini, cui
contribui in modo non casuale ma per–
fettamente consapevole del valore del
giovane parmigiano. Fu il Figner, infat–
ti, che - narra Della Corte nel citato
volume - «con insistenza lo [Tosca–
nini:
n.d.r. ]
indusse a farsi vivo, a re–
carsi a Milano, dove la vita musicale era
vivace e propizia, a cercare occasioni.
Egli stesso lo presentò con lusinghieri
pareri all'editrice Giovannina Lucca, la
quale vagamente promise che, se mai
il
maestro Alessandro Pomè non avesse
potuto, per impegni a Treviso, concer–
tare l'
Edmea
[ ... ],
il
giovane sarebbe
stato forse incaricato della preparazione.
[ ... ] Un espediente:
il
Figner, ch'era
fra gli scritturati per
l'Edmea,
invitò To–
scanini a leggerne la riduzione per can–
to e pianoforte. La lettura, a prima vi–
sta, avvenne, sicura e precisa, nel salot–
tino d'un albergo. Catalani, che aveva
ascoltato quasi nascosto, lodò
il
giova–
ne, e gli affidò la concertazione, poi, as–
sente il Pomè, la direzione, e insieme
con l'impresario, Giovanni Depanis, non
tardò a rallegrarsene. L'orchestra [ ... ]
intese subito la competenza e l'autorità
di lui. L'autore e i cantanti subito no–
tarono l'efficacia della sua collaborazio–
ne, che, operosa, convincente, concorse
al successo [ ... ]. Il Catalani, che peren–
nemente ricambiò a Toscanini la più
cordiale amicizia e stima, formolò cosi
in una lettera l'ammirazione di lui:
"Non per la prima volta, ma da venti
anni, si direbbe, ha salito lo sgabello
del direttore;
è
un vero fenomeno, la
sua carriera
è
sicura"»
(2).
Felice previsione, che le successive scrit–
ture torinesi del triennio 1889-'91 vi–
dero puntualmente avverata, pur tra i
frequenti disagi e difficoltà che sorge–
vano a inceppare
il
cammino di un uo–
mo come Toscanini, nemico del compro–
messo e insofferente della grigia medio–
crità
routinière
che allora (e oggi?) im-
perava e inttlstlva uomini e consuetu–
dini dell'ambiente teatrale.
Furono comunque esperienze interessan–
ti, utili a plasmare
il
carattere dell'uo–
mo e ad affinare la sensibilità del mu–
sicista, e, tutto sommato, per nulla spre–
gevoli sotto
il
profilo ,della realizzazione
artistica, almeno per quanto si riferisce
al contributo dei singoli se non allo spet–
tacolo nella sua completezza e jntegrità.
Basti infatti pensare che a una
Carmen
al Teatro Vittorio Emanuele (marzo-apri–
le 1889)
e),
protagonista Adele Borghi,
una delle prime «specialiste» italiane
dell'arduo personaggio, fecero seguito, al
Teatro Carignano: dapprima (maggio–
giugno dello stesso '89) una « ripresa»
di
Edmea
(protagonista Ernestina Ben–
dazzi, soprano schiettamente lirico fra
i primi affermatisi nel nostro paese, non–
chè consorte del celebre tenore bologne–
se Alfonso Garulli) e ancora
Carmen;
poi
(aprile-maggio 1890)
Mignon
e l'enne–
sima
Carmen
(")
(protagonista in entram–
bi i casi la famosa cantante Elisa Fran–
din, affiancata dai tenori Bayo e Nouvel–
li) con un insolito
Faust
(");
e infine
(nov.-dic. 1891)
Cavalleria rusticana
(pri–
mo dei non frequenti accostamenti di
Toscanini al teatro mascagnano) e
Luisa
Miller
(opera che già allora, vivente l'au–
tore, sapeva di esumazione, e che Tosca–
nini riprenderà soltanto una volta, alla
Scala, nel gennaio 1903), eseguite en–
trambe da un pregevole quartetto di
interpreti (tenore Quiroli, baritono Pes–
sina, soprano Thériane, mezzosoprano
Elisa Bruno, concittadina quest'ultima,
allora poco più che esordiente ma de–
stinata a brillante carriera).
Apertasi al Carignano nel nome- di Al–
fredo Catalani (che a Toscanini fu au–
tore particolarmente congeniale non me–
no che amico carissimo, tanto è vero che
due figli del Maestro portano nomi di
personaggi catalaniani), nello stesso tea–
tro si chiudeva dunque, con quello glo–
rioso di Giuseppe Verdi, la prima al–
quanto movimentata fase della lunga e
appassionante vicenda torinese del Mae–
stro.
A Richard Wagner
il
compito di inau–
gurare
il
secondo e certamente più si–
gnificativo periodo dell'esperienza arti–
stica vissuta da Toscanini nella nostra
città, allora senza dubbio all'avanguardia
nel campo musicale italiano ed europeo.
Sfibrante routine
A tale sommità egli perveniva dopo al–
tri quattro anni di sfibrante
routine
nei
teatri di provincia e in quelli secondari
delle grandi città, frequentemente inter–
rotta però da esperienze interessanti e
particolarmente positive in alcuni teatri
di grande prestigio quali
il
Liceo di Bar–
cellona (dove era stato sostituto di Edoar–
do Mascheroni, uno dei direttori pre–
diletti da Verdi, che &i diceva nutrisse
per
il
giovane collega una malcelata in–
vidia), il Costanzi di Roma (dove, fra
l'altro, aveva diretto la
Forza del desti–
no
con Tamagno),
il
Comunale di Bo–
logna, la Fenice di Venezia, e, soprat–
tutto,
il
Comunale di Genova, dove,
auspice l'esperto e çompetente impre–
sario Luigi Piontelli, uno dei maggiori
d 'allora, gli fu consentito di affronta–
re, per ben due volte in un grande tea–
tro, lunghe e importanti stagioni (1892
e
1895)
(6).
Reduce da questa fruttuosa esperienza
genovese e da un burrascoso intermez–
zo pisano (che per la prima volta l'ave–
va visto, spalleggiato dal fido Piontelli,
alle prese con
il
problema dell'efficien–
za dell'orchestra, strumento primo e in–
sostituibile per ogni seria realizzazione
artistica)
C),
Toscanini giunse a Torino
sull'onda delle accese diatribe e delle
aspre polemiche che avevano accompa–
gnato la ricostituzione su solide basi
dell'orchestra municipale (disciolta die–
ci anni prima) quale egli aveva giusta–
mente preteso, con la partecipazione cioè
di strumentisti valenti, capaci di assi–
curare un rendimento adeguato.
Il risultato, come ricordava
il
Depanis
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