

Lo
più
bello
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post:tone del 'Inondo
Ventaglio aperto su Torino - «La nostra collina, un paradiso terrrestre»,
scriveva Cesare Balbo - Alla ricerca delle ultime osterie - Non mancano
i mezzi, manca soltanto «l'idea» - La cosa più difficile
è
l'educazione del
gusto - I posteri ci giudicheranno dalle mura che abbiamo innalzato -
La collina torinese, per la sua antica bellezza
è
un terribile banco di
prova per l'architettura del nostro tempo - Criteri di sana amministrazione
«
In tutto il mondo », disse un giorno Le Cor–
busier quando arrivò sul piazzale di Superga,
«la città che ha la più bella posizione natu–
rale è Torino ».
Ho bisogno di questa citazione per garantirmi
di non cedere a un eccessivo amore per la
città dove sono nato e cresciuto. Giovandomi
dell'autorità di uno dei più grandi , se non ad–
dirittura del massimo urbanista dell'epoca mo–
derna, non temo più che i miei ragionamenti
sieno finalistici , faziosi ; cerco di analizza–
re con calma l'affermazione di Le Corbusier;
cerco di capire perchè la posizione di Torino
sia davvero , per una città , la più bella del
mondo; e finalmente sono sicuro che le mie
conclusioni, sebbene entusiastiche , sono tutte
fondate su una realtà oggettiva.
Già Cesare Balbo, in scritti di meravigliosa
intelligenza e modernità, aveva
proclamat~
que-
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sta eccellenza.
Panorama militare delle Alpi
Piemontesi viste da Superga, La collina di
T orino, Carta geografica del Piemonte, Dal
castello di Camerano, Il Monviso e il Mon–
rosa
sono altrettanti piccoli capolavori che nes–
sun torinese dovrebbe ignorare, e che dovreb–
bero essere letti, riletti, spiegati e studiati
nelle scuole elementari e medie della nostra
città. Ancor oggi, non si potrebbe dire meglio
del Balbo, e molto poco si potrebbe aggiungere
alla sua prosa , cosÌ splendida e cosÌ viva, se
non forse l'osservazione che altre città, nel–
l'Italia settentrionale e nel mondo, si trovano,
come Torino, in una pianura , Jungo un fiume, .
e al centro di scenografica cerchia alpestre,
altre città ancora sono in mezzo ai colli o
sorgono esse stesse su un colle: ma nessuna
ha « la collina» come ha Torino, cioè un vero
e proprio sistema montuoso a se stante, con le
sue vette che toccano i 715 metri di altitudine
(La Maddalena) e
i
671 metri (Bric del Duca,
presso Superga), con le sue giogaie,
i
suoi
valloncelli, le sue acque perenni, le sue foreste,
i
suoi passi, i suoi bric. Nessuna, come Torino,
ha, a cosÌ breve distanza dall'agglomerato
urbano, una zona naturale altrettanto vasta e
selvaggia: al punto che, anche oggi, nonostante
l'enorme sviluppo delle città in tutte le dire–
zioni della rosa dei venti, e nonostante le due
grandi puntate che si infiltrano nel verde al
di là del Po e risalgono la Collina aprendosi
come ventagli irregolari e disordinati intorno
al Pino e verso Cavoretto, è sempre possibile
a chiunque sia munito di automobile raggiun–
gere, dal centro,
in soli cinque minuti
un bosco,
un prato, una vigna, un angolo assolutamente
incorrotto da esalazioni di stabilimenti indu–
striali, e quel silenzio alto e profondo in cui
si ode stormire una frasca al più lieve alito di
brezza, il cinguettio di un passero, l'abbaiare
lontano di un cane da guardia . Questa prero–
gativa straordinaria e anzi unica di Torino
è
tuttavia ignota a moltissimi torinesi , soprat–
tutto se recenti immigrati. Dovrei forse dire
che è ignota «fortunatamente»? Forse nel
momento stesso in cui si rendessero dav–
vero conto dell'entità, della vastità e della me–
raviglia del loro patrimonio collinare, i tori–
nesi comincerebbero spietatamente a distrug–
gerlo? Ebbene, confesso di essere, ancora una
volta, per istinto, un ottimista: e ho fiducia
in qualche generale disposizione dell'autorità,
nel prevalere definitivo del buon senso, nel
trionfo , che non può tardare, del principio
della programmazione, per l'interesse di tutti!
Scriveva il Balbo, centoventi o centotrenta anni
or sono:
« ...
è
qui evidente un progresso de1-