

ben sapendo che generalizzare è la più comune ma–
niera di sbagliare
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hanno un concetto dell'arte che
è estraneo alla loro natura
e
alle loro qualità. Quan–
do si tratta d'arte, i torinesi non sono to.rinesi. Ca–
sella ha fatto una musica che è profondamente, inti–
mamente torinese. La sua musica è fatta con lo stesso
scrupolo, la stessa competenza intelligente, la stessa
onestà professionale con cui a T orin'o. operai, tecnici
e dirigenti fabbricano motori, macchine e ogni sorta
di diavolerie meccaniche. Ma i torinesi considerano
l'arte come un'evasione, e perciò amano trovarvi tutte
quelle qualità che detestano come la peste nel com–
mercio, nell'industria e in tutti gli aspetti della vita
pratica: la faciloneria, l'euforica improvvisazione, il
disordine e la disinvoltura confidenziale. Nonostante
la presenza cinquantennale di un'arte come quella di
Casorati, che fu per tanti aspetti una geniale subli–
mazione figurativa dei valori che costituiscono la
civiltà piemontese, i torinesi continuano a dubitare
che l'ordinata serietà
e
la correttezza tecnica, fonda–
mentale essenza della loro natura, possano diventare
materia e norma di concezione artistica.
E
dello scru–
polo artigianale l'arte di Casella fu continuo emble–
ma, e fu terribilmente seria, anche in mezzo alla vor–
ticosa allegria delle tarantelle e dei
«
crescendo» alla
Rossini.
Perciò, se v'è freddezza fra i torinesi e Casella, la ra–
gione non sta in un allontanamento di questo musi–
cista dalla sua città, bensì nella infedeltà dei torinesi
a se stessi, quando si tratta di arte. L'l ragione sta nel
divario tra chi considera l'artista come un essere
sciamannato e pittoresco, col pizzetto alla moschet–
tiera e il cravattone svolazzante, e chi consigliava ai
giovani musicisti di somigliare nel vestire «ad un
elegante moderno uomo d'affari
».
Con le diverse
concezioni dell'arte che ne derivano.
Coerenza interiore
Terribile serietà di Casella, anzi, tragicità di Casella.
Può sembrare strano parlarne a proposito d'un musi–
cista che sopra le basi convergenti dell'aggiornamento
europeo
e
del riallacciamento all'antica tradizione
strumentale italiana era venuto elaborando un'arte
ostentatamente serena e aliena dai patemi d'animo ro–
mantici. Oltre alla
Giara e
alla
Serenata,
essa ha
i suoi momenti di felicità più luminosa nella
Scarlat–
tiana
per pianoforte
e
orchestra
(1926),
negli
Undici
pezzi infantiF
per pianoforte
(1920),
nella
Pagani–
niana (1940)
e nel
Concerto
per archi, pianoforte,
timpani e batteria
(1943).
Tipica musica al quadra–
to, cioè musica nutrita d'altra musica. L'intima parte–
cipazione dell'uomo non ne è affatto esclusa, ma av–
viene attraverso la mediazione di esperienze musicali.
Non tanto si tratta di rifare il verso a musicisti del
passato, secondo la moda dei «ritorni a...
»,
quan'o
piuttosto di cercare appogg,;o in antiche istituzioni
formali della musica, saggiando ancora una volta le
possibilità di vita in esse racchiuse: e saranno, sì,
magari anche la Sonata e il Concerto barocco, e in
un caso perfino la Sinfon.;a, ma soprattutto saranno le
piccole forme spontanee dove la musica vive una vita
di natura, quasi sganciata, se così si può dire, dall'in–
tervento creativo di un artista piuttosto. che altro,
forme d'uso, praticamente consistenti in un ritmo e
destinate al consumo pratico nella danza, nel g;oco,
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nel lavoro, negli affetti familiari . Sono allora la ta·
rantella, la giga, il notturno, la ninna-nanna, la ga–
votta, la barcarola, il minuetto, la
bourrée,
tutti
quei luoghi tipici dell'invinzione caselliana, dove non
si tratta affatto di scrivere «alla maniera di» Bach
o
di Scarlatti
o
di Chopin
o
di Rossini, ma piuttosto
di ritrovare l'essenza originaria implicita in quelle
vecchie forme , subirne ancora una volta la virtù
e
il
primordiale incanto musicale.
Che una medesima formula di tarantella, o di sici–
liana,
o
di notturno circoli e ritorni dall'una all'altra
opera di Casella non è affatto segno di pigrizia o in–
dice di povera invenzione.
È
invece la coerenza inte–
riore di un universo musicale simile a quello delle
origini, dove la musica agisce in simb:osi con la magia,
ed esiste un
«
carmen
»,
cioè un canto, un incantesimo,
una formula magica, per le nozze ed uno per i fune–
rali, per la semina e per il raccolto, per la pioggia e
per il bel tempo, per la guerra
e
per il banchetto.
Per il suo atteggiamento riflesso di musica suggerita
dalla restaurazione di form e musicali tipiche, si attri–
buisce spesso all'arte di Casella un carattere di fred-
Due ritratti di Casella:
(sopra), una scultura
di Quirino Ruggeri (1927)
(sotto), un disegno di Stella;
a destra: autografo
della sinfonia
dal
Concerto Romano, 1926,
dedicato a Felice Casorati
dezza, e certamente gli aspetti di riserbo, di pudore
sentimentale, tipici del Novecento artistico, sono in
Casella sempre evidenti: egli è la negazione dell'ar–
tista col cuore in mano, che si compiace di esibirne
al pubblico le ferite sanguinanti. Ma nell'alternanza
espressiva di forme prestabilite e ben caratterizzate,
come la Marcia o il Notturno, il Minuetto.
o
la T a–
rantella, la Gavotta
o
la Cavatina, si avverte la pre–
senza profonda di due principi fondamentali della
sua arte: due principi
o,
come avrebbe detto Ma ·
chiavelli, «duoi humori ». che si potrebbero descri–
vere, in termini haendeliani, come « l'allegro e il
pensieroso
»,
ossia come la commedia e il tragico, in
definitiva, come la vita e la morte.
Qui va ripreso il discorso sulla serietà, anzi, sulla
tragicità di Casella, questo musicista cui si rimpro–
vera tanto spesso una pretesa freddezza di oggetti–
vismo neo.classico, un artificioso costruttivismo fine a
se stesso, alieno da ogni impegno profondo dell'ani–
ma. Non ci stupiremo, allora, con Fedele D'Amico,
che per il Casella compositore trovi ancora curiosa·
mente credito «il cliché del restauratore dell'ordine,