Table of Contents Table of Contents
Previous Page  266 / 652 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 266 / 652 Next Page
Page Background

ben sapendo che generalizzare è la più comune ma–

niera di sbagliare

-

hanno un concetto dell'arte che

è estraneo alla loro natura

e

alle loro qualità. Quan–

do si tratta d'arte, i torinesi non sono to.rinesi. Ca–

sella ha fatto una musica che è profondamente, inti–

mamente torinese. La sua musica è fatta con lo stesso

scrupolo, la stessa competenza intelligente, la stessa

onestà professionale con cui a T orin'o. operai, tecnici

e dirigenti fabbricano motori, macchine e ogni sorta

di diavolerie meccaniche. Ma i torinesi considerano

l'arte come un'evasione, e perciò amano trovarvi tutte

quelle qualità che detestano come la peste nel com–

mercio, nell'industria e in tutti gli aspetti della vita

pratica: la faciloneria, l'euforica improvvisazione, il

disordine e la disinvoltura confidenziale. Nonostante

la presenza cinquantennale di un'arte come quella di

Casorati, che fu per tanti aspetti una geniale subli–

mazione figurativa dei valori che costituiscono la

civiltà piemontese, i torinesi continuano a dubitare

che l'ordinata serietà

e

la correttezza tecnica, fonda–

mentale essenza della loro natura, possano diventare

materia e norma di concezione artistica.

E

dello scru–

polo artigianale l'arte di Casella fu continuo emble–

ma, e fu terribilmente seria, anche in mezzo alla vor–

ticosa allegria delle tarantelle e dei

«

crescendo» alla

Rossini.

Perciò, se v'è freddezza fra i torinesi e Casella, la ra–

gione non sta in un allontanamento di questo musi–

cista dalla sua città, bensì nella infedeltà dei torinesi

a se stessi, quando si tratta di arte. L'l ragione sta nel

divario tra chi considera l'artista come un essere

sciamannato e pittoresco, col pizzetto alla moschet–

tiera e il cravattone svolazzante, e chi consigliava ai

giovani musicisti di somigliare nel vestire «ad un

elegante moderno uomo d'affari

».

Con le diverse

concezioni dell'arte che ne derivano.

Coerenza interiore

Terribile serietà di Casella, anzi, tragicità di Casella.

Può sembrare strano parlarne a proposito d'un musi–

cista che sopra le basi convergenti dell'aggiornamento

europeo

e

del riallacciamento all'antica tradizione

strumentale italiana era venuto elaborando un'arte

ostentatamente serena e aliena dai patemi d'animo ro–

mantici. Oltre alla

Giara e

alla

Serenata,

essa ha

i suoi momenti di felicità più luminosa nella

Scarlat–

tiana

per pianoforte

e

orchestra

(1926),

negli

Undici

pezzi infantiF

per pianoforte

(1920),

nella

Pagani–

niana (1940)

e nel

Concerto

per archi, pianoforte,

timpani e batteria

(1943).

Tipica musica al quadra–

to, cioè musica nutrita d'altra musica. L'intima parte–

cipazione dell'uomo non ne è affatto esclusa, ma av–

viene attraverso la mediazione di esperienze musicali.

Non tanto si tratta di rifare il verso a musicisti del

passato, secondo la moda dei «ritorni a...

»,

quan'o

piuttosto di cercare appogg,;o in antiche istituzioni

formali della musica, saggiando ancora una volta le

possibilità di vita in esse racchiuse: e saranno, sì,

magari anche la Sonata e il Concerto barocco, e in

un caso perfino la Sinfon.;a, ma soprattutto saranno le

piccole forme spontanee dove la musica vive una vita

di natura, quasi sganciata, se così si può dire, dall'in–

tervento creativo di un artista piuttosto. che altro,

forme d'uso, praticamente consistenti in un ritmo e

destinate al consumo pratico nella danza, nel g;oco,

48

nel lavoro, negli affetti familiari . Sono allora la ta·

rantella, la giga, il notturno, la ninna-nanna, la ga–

votta, la barcarola, il minuetto, la

bourrée,

tutti

quei luoghi tipici dell'invinzione caselliana, dove non

si tratta affatto di scrivere «alla maniera di» Bach

o

di Scarlatti

o

di Chopin

o

di Rossini, ma piuttosto

di ritrovare l'essenza originaria implicita in quelle

vecchie forme , subirne ancora una volta la virtù

e

il

primordiale incanto musicale.

Che una medesima formula di tarantella, o di sici–

liana,

o

di notturno circoli e ritorni dall'una all'altra

opera di Casella non è affatto segno di pigrizia o in–

dice di povera invenzione.

È

invece la coerenza inte–

riore di un universo musicale simile a quello delle

origini, dove la musica agisce in simb:osi con la magia,

ed esiste un

«

carmen

»,

cioè un canto, un incantesimo,

una formula magica, per le nozze ed uno per i fune–

rali, per la semina e per il raccolto, per la pioggia e

per il bel tempo, per la guerra

e

per il banchetto.

Per il suo atteggiamento riflesso di musica suggerita

dalla restaurazione di form e musicali tipiche, si attri–

buisce spesso all'arte di Casella un carattere di fred-

Due ritratti di Casella:

(sopra), una scultura

di Quirino Ruggeri (1927)

(sotto), un disegno di Stella;

a destra: autografo

della sinfonia

dal

Concerto Romano, 1926,

dedicato a Felice Casorati

dezza, e certamente gli aspetti di riserbo, di pudore

sentimentale, tipici del Novecento artistico, sono in

Casella sempre evidenti: egli è la negazione dell'ar–

tista col cuore in mano, che si compiace di esibirne

al pubblico le ferite sanguinanti. Ma nell'alternanza

espressiva di forme prestabilite e ben caratterizzate,

come la Marcia o il Notturno, il Minuetto.

o

la T a–

rantella, la Gavotta

o

la Cavatina, si avverte la pre–

senza profonda di due principi fondamentali della

sua arte: due principi

o,

come avrebbe detto Ma ·

chiavelli, «duoi humori ». che si potrebbero descri–

vere, in termini haendeliani, come « l'allegro e il

pensieroso

»,

ossia come la commedia e il tragico, in

definitiva, come la vita e la morte.

Qui va ripreso il discorso sulla serietà, anzi, sulla

tragicità di Casella, questo musicista cui si rimpro–

vera tanto spesso una pretesa freddezza di oggetti–

vismo neo.classico, un artificioso costruttivismo fine a

se stesso, alieno da ogni impegno profondo dell'ani–

ma. Non ci stupiremo, allora, con Fedele D'Amico,

che per il Casella compositore trovi ancora curiosa·

mente credito «il cliché del restauratore dell'ordine,