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Come in un mirino fotografico bisogna attendere che

due immagini, prima dissociate, combacino, per ave–

re la visione perfettamente a fuoco, così nell'arte di

Casella bisogna attendere i momenti in cui i due in–

dirizzi fondamentali si fondono armoniosamente, per

avere il capolavoro. Ed è allora la perfetta

Serenata

per cinque strumenti, del

1927,

che l'anno dopo vinse

il primo premio nel concorsa della «Musical Fund

Society» di Filadelfia, a pari merito col

Quartetto n. 3

di Béla Bart6k.

È

La Giara,

balletto tratto da una

novella di Pirandello, scritto nel

1924

per i Balletti

Svedesi di Rolf des Marées; una «commedia coreo–

grafica» nella quale la spirito di Rossini viene mi–

racolosamente recuperato in seno al linguaggio mu–

sicale del

XX

secolo, secondo un'operazione non dis–

simile da quella che Hindemith esercitò sul supremo

patrimonio della tradizione musicale tedesca, inse–

rendo lo spirito di Bach entro angolose geometrie mo–

derne di cemento armato. L'abbraccio che ne

La Giara

si scambiano il Nord e il Sud d'Italia, agitando in–

sieme festosamente i sonagli d'un tamburo di taran–

tella, fu una conquista decisiva: nell'atto di ricono–

scere la propria identità d'italiano con la spensierata

e rum'orosa gente del Sud, il torinese Casella ripor–

tava la vittoria più difficile per un artista moderno,

quella di evadere dal carcere del proprio io e ritrovarsi

uomo fra gli uomini.

Il figliuol prodigo

Perchè Casella era torinese.

Ci

si stupiva perfino di

apprenderlo negli anni in cui una parte della stampa

del regime esaltava la sua musica come schietta espres–

sione di romanità, manifestazione del genio latino,

documento di solare natura mediterranea. Forse per

questo i torinesi, che fin dai tempi di Cesare Balbo

non facevano mistero del loro vivissimo desiderio. di

relegare in soffitta le glorie di Roma, glie le hanno

sempre battute un po' fredde. Di questo figlio illustre

la città si mostra poco orgogliosa. Ha aspettato ben

più dei burocratici dieci anni dalla morte per deci–

dersi a dedicargli una via (mentre invece in quegli

anni il Comune soggiaceva all'irresistibile urgenza di

intitolare una via cittadina a quel genio eminente–

mente piemontese che fu Cecco Angiolieri!). Nem–

meno una modesta lapide contrassegna ancora la

casa dov'egli è nato. Si dirà che Casella fu un figliuol

prodigo, e che, allontanatosi da Torino a tredici anni

per continuare gli studi musicali a Parigi, non vi fece

mai più ritorno stabile, sistemandosi a Roma quando

rientrò in Italia, durante la prima guerra mondiale.

Roma e Siena furono

i

centri dove più viva s'irradiò

la sua azione preziosa di maestro, nel senso più pieno

della parola. Ma non è vero che avesse dimenticato

Torino o che poco l'amasse, nè è vero ch'essa abbia

contato poco per lui.

« Nacqui a Torino il

25

luglio

1883

nella casa situa–

ta in via Cavour al n.

18.

Il

2

agosto venni battezzalo

nella parrocchia di San Massimo

».

Basta aprire il

volume della sua autobiografia

C),

per trovare nelle

prime pagine un affettuoso ritratto dell'ambiente mu–

sicale torinese alla fine del secolo scorso, così ricco di

fermenti nuovi e di solida cultura. Era la città dei fa–

mosi Concerti popolari fondati da Carlo Pedrotti, che

costituirono una preziosa testa di ponte per l'intro–

duzione e lo sviluppo di una educazione sinfonica in

Un itinerario stilistico può essere definita la vita di Alfredo Casella, per la sua coraggiosa

esposizione ai quattro venti delle mode internazionali, per la sua sensibilità attenta alle

sfumature del gusto più recente. Nella fotografia: Casella con Manuel De Falla a Granata

Italia. In questo ambiente e a quest'opera aveva re–

cato il suo contributo il padre di Casella, come primo

violoncello dell'orchestra di detti Concerti popolari,

e professore al Liceo Musicale. La madre, torinese

pure lei (era una Bordino), aveva appreso il piano–

forte da quel Carlo Rossaro, di cui proprio Casella

rivendica l'importanza «nella formazione di un am–

biente musicale dal quale doveva partire quella rina–

scita sinfonica e cameristica che dà oggi in Italia così

maturi e superbi frutti

».

Nietzsche ne aveva sentito

una composizione proprio in quegli anni, probabil–

mente al Teatro Vittorio, giudicandola

«

una perfetta,

celeste e profonda ispirazione... una musica assoluta–

mente di prim'ordine, con un'eccellenza della formere

del

cuore

che ha interamente sconvolto tutte le mie

idee sugli Italiani»

(").

C'è

una specie di predestinazione, considerando il

carattere di modernità e di precisione tecnica a cui

aspirerà sempre l'arte di Casella, nell'interferenza che

lo avvicinò, bambino, alla figura di Galileo Ferraris,

glorioso dominatore dell'ambiente culturale torinese.

La mamma l'aveva già additato al fanciullo per stra-

da, un signore barbuto, che camminava curvo sotto i

portici di via Cernaia, con una caratteristica posa delle

mani dietro la schiena, quale si può ancora discernere

nel monumento sfrattato da piazza Castello, per via

della Verità troppo nuda che gli giace ai piedi, ed ora

sistemato all'angolo di corso Montevecchio e corso,

appuntQ, Galileo Ferraris. Ma quando lo scienziato

«seppe che esisteva a T orino un fanciullo che amava

in pari tempo Bach, Beethoven e l'elettrotecnica, volle

conoscerlo

»:

e fu da allora un visitatore abituale di

casa Casella, s'interessava agli studi del ragazzo e alle

sue velleità scientifiche, e un giorno si servì di lui

per sperimentare la scoperta dei raggi Roentgen, fa–

cendogli una radiografia della mano. «Ricordo an–

cora benissimo

-

scriveva Casella

-

l'impressione

magica, anzi diabolica che produsse negli astanti la

visione di quella immagine, confusa ancora e spettrale,

ottenuta dopo venti minuti di posa

».

Perchè dunque i torinesi hanno poca tenerezza per

questo loro concittadino illustre e niente affatto de–

f!,enere? Perchè i torinesi

-

nei limiti, naturalmente,

in cui è lecito azzardare un giudizio di massima, e

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