

coi suoi difetti e con le sue virtù secolari, per lasciare
il
posto ad un grosso borgo industriale, senza fierezza
e senza eleganza, senza carattere e senza rilievo, popo–
lato di gente nuova, piovuta a inurbarsi dalla provin–
cia, non d'altro preoccupata che di subiti guadagni e
di facili godimenti, indifferente al suo passato ed alla
sua figura
».
La differenza di questi giudizi credo possa riflettere la
diversa personalità degli uomini che li hanno enun
ciati e la diversa posizione di fronte alla cultura.
La diagnosi di Filippo Burzio, e, prima, di Gabetti.
approfondisce la sua radice nella sostanza e nella sto
ria, l'altra forse è più estetizzante secondo le paradoj'–
sali impostazioni e concezioni dell'Autore.
Io ho voluto partire da queste premesse, per richia
mare quella che appunto è anche una radice profond'l
del problema, che non è soltanto problema generico di
una città industriale, ma il problema specifico di que–
sta Torino. Come appunto sottolinea Brosio, richia
mandosi a Burzio, non si possono fare i confronti con
quello che è un grosso borgo industriale americano.
perchè si tratta di una città industriale che si è i'1Serita
in una città che ha una sua tradizione e un legante con
questa sua tradizione.
Non voglio abusare del tempo e passo subito ai pro–
blemi su cui siete int'itati a portare il contributo della
vostra esperienza.
Può esserci anzitutto un problema storico: che cosa
abbia rappresentato lo sviluppo industriale nella vita
culturale di T orino.
Affermazione o rinuncia?
Sappiamo che la vita culturale di Torino non è sempre
stata molto brillante; ma ci sono stati, in date epoche,
dei momenti di rottura. Nel Risorgimento c'è stato il
momento in cui T orino ha ospitato tutti gli intellettuali
che venivano dalle altre città d'Italia, e quindi è stat.z
un centro di raccolta degli uomini di cultura.
È
stato
un sacrificio che T orino ha fatto di sè stessa all'Italia
- come dice pure Gobetti
-
oppure è stata una vera
iniezione di linfa nella vita culturale di Torino? Certo
è che, cessato di essere la capitale ed esaurita questa
fun zione di primavera d'Italia, Torino ha saputo
n·
farsi una sua ragione di esistenza attraverso l'industriCl.
È
stata questa una rinuncia alla vita culturale o è stata
una affermazione della vita culturale? Ecco un proble–
ma che si pone, e, come abbiamo visto, tanto Gobetti
che Burzio lo risolvono nettamente in senso positivo,
cioè nel senso di una affermazione culturale.
Nelle manifestazioni che si possono chiamare «cultu–
ra
»,
rifacendoci soprattutto a quel periodo aureo del–
l'esplosione industriale che si può porre nel primo do–
poguerra, io credo che si debbano lasciare un po' da
parte
-
sebbene abbiano anche un proprio significato
nella vita culturale di T orino
-,
quelli che possono
essere stati atti di mecenatismo, di uomini dell'indu–
stria, i quali volevano un po' fare quello che facevano i
signori del Cinquecento.
Noi tutti conosciamo le iniziative che Gualino ha preso
nel campo della cultura, e che effettivamente nella sto–
ria culturale di T orino hanno una posizione e un signi–
ficato . Esse non rientrano però nel processo intrinseco
dello sviluppo della cultura collegato con quello indu·
striale. Hanno una posizione a margine: è cioè l'uomo
dell'industria il quale sente la necessità di manifestare
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la propria magnificenza attraverso il mecenatismo, che
è una forma un po' marginale della vita culturale.
Abbiamo un altro aspetto più significativo della storia
di T orino di allora. Qui si sono formati spontanea–
mente dei centri culturali, dei gruppi vivi, manifesta–
tisi in vari sensi. Ricordiamo, da una parte, l'inizia–
tiva di Gobetti; e dall'altra parte c'era il gruppo di
intellettuali socialisti, a cavallo tra il periodo dell'ante·
guerra, il periodo della prima guerra mondiale e quello
successivo, gruppo in cui domina Gramsci, e, attorno
a lui, Tasca, Togliatti, T erracini, cioè tutto il gruppo
dell'Ordine Nuovo; e potremmo aggiungere altre di
queste espressioni di una vita culturale che affondava
le sue radici nella vita e nello sviluppo della città e
della società che in essa cresceva.
Esistevano pure varie associazioni culturali. Vi era la
Società di Cultura, il cui patrimonio di libri andò poi
disperso; vi era pure una società di cultura cattolica,
presieduta da Gaetano De Sanctis, che aveva una certa
posizione nella vita cittadina; c'era la vecchia Pro Cul–
tura Femminile, sorta all'inizio del secolo, ad opera
di donne che desideravano affermare la loro partecipa–
zione alla vita civile e culturale.
Questi gruppi e queste iniziative, che erano in rigoglio
nel primo dopoguerra, potevano dirsi più o meno colle–
gati allo sviluppo industriale di Torino, e soprattutto
con la formazione della grande industria. Abbiamo vi–
sto che tanto Gobetti quanto Burzio puntavano sullo
sviluppo della Fiat, di questa grande industria, che ha
creato ed ha dato una certa dimensione alle dispute
e ai conflitti in materia sociale, dimensione e profon–
dità tanto dalla parte del mondo imprenditoriale che
dalla parte del mondo sindacale e del lavoro.
Tutto questo mi pare che rientri nella storia culturale
e industriale di Torino.
Aurel'o Pecce':
" ...è
'nnegab'le che
nella
c'ttà
'ndust"'ale
lo cultura
è
un 'os'enle d. volo...,
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anche In'o.....a:.ooe,
st..uttu..a
po.·taote
della cultu..a"
C'è poi l'aspetto negativo, nell'affermazione della gran–
de industria, di grandi catene nelle quali gli uomini so–
no distribuiti e classificati, come elementi semplici di
un meccanismo, nel punto in cui viene loro il lavoro,
colla influenza che questa distribuzione e questo svi–
luppo del lavoro ha sugli stessi uomini.
I problemi di oggi
Accanto alla problematica storica, ci sono pOl l pro–
blemi che si pongono oggi di fronte all'ingente sviluppo
della tecnica, che ha raggiunto notevoli dimensioni e
trova espressione nelle più importanti manifestazioni
espositive (abbiamo il Salone dell'Automobile, il Sa–
lone della Tecnica e tante altre manifestazioni). Que–
sto trionfo della tecnica da una parte comporta un per–
fezionamento nell'affermazione culturale, dall'altra par–
te pone il problema del rapporto della cultura tecnica
(cultura tecnica non intesa a lettere maiuscole ma a
lettere minuscole) colla cultura, intesa come armonia
dei valori della vita.
Lo sviluppo della tecnica, che porterà con l'automa–
zione l'alleggerimento e la riduzione dei tempi di la–
voro, prospetterà tutto un nuovo problema di tempi
liberi, che si riporta di nuovo all'apertura e alla cultura
dei lavoratori ed alle possibilità di approfondimento.
Quali sono, allora, le iniziative e le prospettive che
si pongono per diffondere la cultura accanto al neces–
sario sviluppo dello svago e del riposo?
Ho adombrato qui, per accenni sia pure un po' saltuari,
un complesso di problemi; possiamo ora passare sen–
z'altro alla discussione.
Dopo quello che lei, prof. Grosso, ha detto, penserei
di toccare due punti relativi a una grave deficienza
e a varie difficoltà intrinseche che ostacolano l'inte–
grazione della cultura nella città industriale in senso
generale, e quindi anche nella nostra Torino.
Successivamente vorrei fare un accenno a quale cultura
intendiamo.
La deficienza di fondo che io vedo per una diffusione
della cultura nella nostra città industriale nel tempo
della produzione di massa, quando
il
mondo
è
in pro–
fonda transizione,
è
costituita dalla inadeguatezza dei
sistemi di comunicazione delle informazioni.
La cultura
è
un insieme di valori, credenze, sistemi,
gusti e modi di essere, capacità di scelte e di giudizio,
ma
è
anche informazione. L'informazione
è
la materia
prima, la infrastruttura portante della cultura.
Ci
tro–
viamo dinanzi ad un paradosso che nella Torino di
oggi è affatto palese. Vi è una massa di informazioni
disponibili enormemente superiore a quella che c'era
in passato. Siano esse informazioni fissate su un deter–
minato supporto: carta, nastro, films, schede; siano
esse informazioni ancora allo stato sillogico, idee che