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Mi sento molto stimolato da quanto hanno detto
prima di me i professori Antonicelli e Abbagnano:
il
primo nel chiedersi
quale cultura deve esprimere
una città di carattere operaio;
il
secondo - rian–
nodato ad alcune interessanti affermazioni del dotto
Peccei - nel rilevare
più forti possibilità culturali
proprio nei grandi agglomerati industriali.
Situan–
do
il
mio intervento in questa prospettiva, vorrei
cominciare da una rivalutazione della tecnica che su–
peri quel certo pessimismo espresso da Enrico Thovez
nel brano citato dal nostro sindaco, prof. Grosso.
Devo solo precisare che non pretendo nè di dire cose
« erudite », meglio esposte nei libri e nelle rivis-te
~pe
cializzate, nè cose originali e mai formulate da altri.
Porterò su questo tavolo solo una testimonianza o -
in termini più banali - una mia opinione sul rapporto
tra cultura e tecnica, tra· umanesimo e industrializza–
zione: ma un'opinione che fa parte della mia fede e
che vorrei facesse parte della mia vita.
1. Il . trionfo della tecnica.
La mia prima considerazione è un riconoscimento del
fondamentale
valore della tecnica
come espressione
umana, prima ancora che come servizio verso l'uo–
mo; ossia come affermazione e conquista spirituale
preminente sul bisogno e sulle utilità materiali.
Questo vuole dire riconoscere una qualifica «umani–
stica» non solo alle «scienze» fisico-matematiche o
cosiddette «esatte », ma alla stessa «azione» originata
da quelle scienze, la tecnica appunto. Tale riconosci–
mento - mentre è pacifico per la mentalità comune
dell'uomo d'oggi e viene ammesso dalla stessa Chiesa
che poteva sembrare l'ultima a concederlo - è anche
richiesto dalla più esatta nozione che della tecnica
abbiamo man mano raggiunto. Vi è un passo nel più
importante dei documenti emanati dal recente Conci–
lio, la costituzione dogmatica «Lumen Gentium »,
che mi sembra illuminante: esso stimola a fare pro–
gredire « con il lavoro umano, con la tecnica e la cul–
tura, i beni creati, secondo l'ordine del Creatore e la
luce del suo Verbo ». E mi ha sempre fatto una certa
impressione quello che un grande Torinese, pedagogo
e santo, particolarmente sensibile alla tecnica e al la–
voro , soleva' insegnare ai suoi ragazzi: «Dio - di–
ceva - collocò il primo uomo in un luogo di para-
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