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Ma...co Bong.oann.:

" ...sa...ebbe

ut.le

che

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sbocchI «cultu...al.»

della socIetà

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ftlpr

e p.ù autent.c.

e

I.be

....

dal cont...ollo

delle 'o...:e

do cu. pro.".onono"

Proseguirò allora con molta simpatia tanto il discorso

sui «pluralismi» fatto dal prof. Abbagnano, come

(soprattutto) la p recisazione conclusiva del dottor

Einaudi e ora sottolineata anche dal prof. Antonicelli.

A me pare che l'uomo contemporaneo possa reagire

- e debba essere aiutato a reagire - all'oppressione

tecnica nei due modi fondamentali già accennati prima

se vuole ritrovarsi e autenticarsi, rendersi libero e re–

sponsabile, incidere efficacemente nel mondo in cui

vive. Un primo modo,

interno

ai sistemi di vita e di

lavoro, è rappresentato da soluzioni che rendono per–

sonale e liberatorio (ossia

spiritualizzano) il lavoro

stesso.

Un secondo modo, per così dire

esterno,

consi–

ste nel contrapporre

personali alternative

alle forze

massificatrici e condizionatrici da cui i singoli si sen–

tono travolti. La soluzione più autentica è la prima.

È

la

« persona» che deve essere valorizzata non «con·

tro » o « fuori» dalle tecniche ma « dentro» di esse.

Una « lotta»

contro

il progresso tecnico non ha alcun

senso. Ha invece senso una « lotta»

dentro

il progres–

so e contro ogni umiliazione della persona. In questa

prospettiva la lotta per la persona umana va ingag–

giata non solo a livello aziendale, ma a livello di

strutture di potere e fino al vertice di queste.

Di rincalzo, o almeno come scelta di ripiego, deve però

venire anche la soluzione «es terna» delle iniziative

personali da contrapporre al blocco tecnologico dello

spirito. E siamo logicamente nella prospettiva del–

l'istruzione e dell'aggiornamento culturale del cit–

tadino, nelle varie forme in cui questa istruzione c

questo aggiornamento possono realizzarsi. Per non par–

lare del risaputo problema della scuola primaria, me–

dia, universitaria tradizionalmente intesa (un proble–

ma che però imporrebbe certe urgenti svolte, in una

città industriale e in tempi di industrializzazione) mi

limiterò qui a dire della già ricordata « scuola paral–

lela» ossia dei fondamentali mezzi di comunicazionc

sociale: cinema, radio-televisione, stampa, teatro.

Cinema e televisione

sono molto evidentemente espres–

sioni condizionate dalle strutture di potere economico–

politico: e questo (ancora una volta) senza una sostan–

ziale differenza tra ovest ed est dal punto di vista dello

spettatore che subisce il «mercato» produttivo. La

stessa comunità civica, a questo proposito, non può

fare molto per liberarsi dai condizionamenti che le ven–

gono imposti; se non per via estrinseca, ossia

cultura-

lizzando

lo spettatore stesso. Per conseguenza riterrei

abbastanza sorprendente che una città industriale non

prevedesse bilanci proporzionati allo sviluppo di que–

sta cultura tra i suoi cittadini, soprattutto tra i giovani.

Nel settore della

stampa

la situazione non è molto dis–

simile: la « cultura» che forniscono quotidiani e pe–

riodici è in larga parte condizionata dalle stesse strut–

ture di potere, pertanto non può essere considerata

« liberatrice ». Forse più liberatore è il libro, in quanto

accessibile a scelte personali: ma, a parte le difficoltà

che ancora incontra nella pubblica «domanda », fino

a che punto esso è condizionato a sua volta, in modo

da diventare ordigno (tecnico) di conquista, anzichè

« comunicazione» tra liberi interlocutori, ossia tra

« persona» autore e «persona» lettore?

In attesa di più radicali mutamenti, sarebbe dunque

utile che ques ti sbocchi « culturali» della società del–

l'industria e del benessere diventassero sempre più au–

tentici, liberi dal controllo esclusivo delle forze da cui

promanano, espressivi del pubblico tra cui nascono e

a cui si dirigono. La comunità cittadina attraverso i

suoi dirigenti può in vari modi favorire questa evolu–

zione, sposando la causa del pubblico a preferenza di

quelle private, economiche o politiche che siano, e

« liberando» la libertà del suoi membri con una saggia

politica culturale. L'incremento Ce non solo «plato–

nico ») dei circoli culturali - soprattutto giovanili -

in direzione di cinema, stampa, televisione (il tele-di–

battito è ancora quasi da scoprire), musica, ecc. fa parte

di questi provvedimenti.

Una parola a parte merita

il teatro.

Mentre gli altri

mezzi (cinema, stampa, televisione) sfuggono nel loro

« farsi» al controllo del ricettore che pertanto subisce

in partenza l'iniziativa delle strutture di potere, il tea–

tro (come rappresentazione) non si fa senza la parte–

cipazione

in atto

del ricettore stesso o spettatore. Per

conseguenza

il

teatro è sempre espressione di una « po–

lis », « politico» perchè manifestazione di gruppo so–

ciale, non perchè rappresentativo di parti o, ancora

una volta, di gruppi di potere. Perciò il teatro è impor–

tante proprio come fatto liberatore. Esso non si limita

più a essere una reazione culturale all'iniziativa dirigi–

stica altrui, cioè una liberazione

indiretta

dell'uomo;

è invece una iniziativa del cittadino che partecipa al

farsi dell'espressione drammatica, quindi una libe–

razione

diretta

(<<

catartica» in senso aristotelico) del

proprio agire. Non che a sua volta non sia anch'esso

strumentalizzabile da parte di gruppi economici, ideo–

logici, politici: spesso queste forze di potere sono forti

e si concentrano talmente nell'azione del regista da

fare del teatro nè più nè meno che uno strumento di

propaganda e come tale condizionato o condizionatore

dell'uomo. Ma il teatro offre

di per sè

allo spettatore la

possibilità di reagire in modo inatteso al suo stesso

farsi sulla scena; e una cittadinanza efficacemente edu–

cata al teatro non consentirebbe mai esautorazioni al

proprio influsso, alla propria iniziativa, alla propria

creatività, alla propria espressione. Basta ricordare

che cosa fu il teatro ad Atene. Per conseguire questa

educazione cittadina occorre - a mio parere - libe–

rare il teatro, aiutarne le libere espressioni, soprattutto

a livello giovanile e sperimentale, perchè si formino

(anche con scuole drammatiche) sia nuclei di recita–

zione come larghi strati di spettatori. L'azione di uno

Stabile è molto, ma non è sufficiente senza articolazioni

e senza alternative.

La via dei mezzi della comunicazione sociale, come la

via dell 'istruzione scolastica e dell'aggiornamento cul-

turale nelle più varie forme, resta però, come dicevo ,

solo un'alternativa alla più vera liberazione dell'uomo

che va attuata internamente ai sistemi di vita e di

lavoro. Altrimenti l'uomo rischia di accontentarsi di

una «libertà parallela

» ,

mentre le sue condizioni

umane restano «serve» di strutture facenti capo a

pochi accentratori del potere tecnico. Non basta dun–

que fare del lavoratore un umanista; occorre che la

tecnica stessa si apra all'umanesimo, liberando il lavo–

ratore (<<la verità vi fa liberi»). Con un discorso spin–

to ancora più a fondo dovrei dire: non basta fare del

lavoratore un credente in determinati valori se poi lo

si costringe a vivere solo tra parentesi e come una ec–

cezione questi valori. Non è la libertà del

dopolavoro ,

ma la libertà del

lavoro

che occorrc. Libertà e dignità

della persona non sono eccezioni, non sono iniziative

« personali », devono costituire abitudine di fondo

per tutti nel rispetto di tutti. Sono aspetti religiosi. La

religione non può essere concepita come atto che si

compie solo in una parentesi « ritualistica », anche se

dal rito si alimenta. Essa è piuttosto abitudine e vita;

o per dire meglio è grazia che libera l'uomo non solo

fuori

dal lavoro lasciandolo schiavo di esso, ma soprat–

tutto

dentro

al lavoro dove vuole realizzare per l'uomo

il rispetto che Dio stesso ha avuto e ha per lui.

Per cui hanno avuto fondamentalmente ragione i santi

(italiani) che hanno detto: «il lavoro

è

preghiera ».

Se rispettosa dell'autenticità e libertà umana, ossia se

veramente «umanistica », anche la tecnica è pre–

ghiera. Diceva Bernanos: «Tutto è Grazia ». E tutta·

via, quanto siamo lontani da questa «Grazia »! ...

G.uUo EInaudI,:

" •.•sono con",.nto che

lo cultu.-a s. s'V.luppa

do",e 'e..."'c .1 la",oro.

To....no, cIttà

p.lota,

ha

poss.b.l.tà

'1IIagg.o....

d.

'luals.os

. olt...o

cent.-o no:.onale d.

s",.luppo...e uno nuo",o

e Dlode...no cultura"

lo sono l'ultimo, ma non pretendo per questo di

avere l'ultima parola in questa interessante discus–

sione. L'ultima parola spetta al Sindaco.

Condivido l'impressione di sgomento davanti alla

massa dei problemi che sono venuti sul tappeto e

hanno turbatç l'amico

Antoni~elli.

Però bisogna te–

nere conto che abbiamo la possibilità di conoscere la

realtà e analizzarla e quindi di individuare le linee

1q