

«A Torino si assiste alla prevalente verticalità
di trasmissione delle informazioni
CUI
consegue una mancanza crescente di contestazione
a livello politico, culturale
e ideologico,
una mancanza di decentramento
e di spontaneità delle iniziative»
diso perchè lo coltivasse» : dove il concetto di lavoro
antecede quello biblico di caduta e appare nella sua
vera faccia di naturale
espre~sione
dell'uomo e di com·
plemento umano all'attività creatrice di Dio. Lavoro e
tecnica, in questa concezione, non possono essere in–
quadrati in termini materialistici, a meno che si nobi–
liti il concetto di materia superando
il
malinteso dua–
lismo con cui è stata contrapposta allo spirito.
Ho pertanto la convinzione che nel cristianesimo d'oggi
(e almeno in qualche caso di ieri) i concetti di lavoro
e di tecnica non vadano derivati da una nozione di
caduta e di punizione, ma piuttosto assunti in una no–
zione di creazione a cui Dio chiama la partecipazione
umana. Lavoro, tecnica, cultura, evolvono il creato se–
condo l'ordine di un Creatore e nella luce del suo
Verbo. « Evolvono» anzi è dire male. Bisognerebbe
dire «creano » perchè l'atto divino a cui l'uomo -
la tecnica - partecipa, nel tempo, è fuori dal tempo.
Naturalmente la tecnica è anche servizio per l'uomo,
risposta alla utilità e al bisogno materiale: ma questa
non è che
una
delle risposte a cui la tecnica è chiamata.
Poichè l'uomo, dopo essere vissuto di pane, deve an–
che vivere di tempo libero, di cultura e di spirito, la
tecnica ha un'altra risposta da dare in quest'altra pro·
spettiva. E qui è logico riferirsi particolarmente ai
mezzi di comunicazione sociale, che sono uno degli
aspetti più evidenti dell'aggancio tra tecnica e cultura.
Nel mondo moderno esistono all 'incirca otto mila gior–
nali quotidiani, con trecento milioni di copie giorna·
liere di tiratura , ai quali bisogna aggiungerci duecento
milioni di copie diffuse da settimanali e mensili, senza
contare i libri (il « boom» dei tascabili per esempio)
e l'altra stampa: da quella pubblicitaria a quella ideo–
logica. I capitali investiti ogni anno nel cinema sono
nell'ordine di migliaia di miliardi, visto che ogni anno
vengono prodotte circa quattromila novità filmiche;
ma a questi occorre aggiungere i capitali parallela–
mente investiti nelle attrezzature e nella manutenzione
di impianti, sia di produzione come di esercizio. La te–
levisione, che certo non ha raggiunto il plenum né della
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diffusione, né del potere d'influenza (il colore è ap–
pena alle prime esperienze) conta nella sola Italia più
di sei milioni di tele-abbonati, che non vanno intesi
come individui ma almeno come nuclei familiari. Poi
vi è l'incalcolabile numero di radio, radioline, giradi–
schi, juke-boxes e derivati... Ecco una colossale forza
d'urto espressa dalla tecnica sul fronte della cultura in–
tesa, in senso generico e sia pure inclusivo di « relax ».
2.
La crisi della tecnica.
La seconda considerazione sposta il mio interesse su
un aspetto non meno sensibile: quello dei
limiti della
tecnica.
E direi che questi limiti sono da individuare
non tanto nell'impotenza della tecnica stessa, quanto
nella sua riconosciuta potenza . Il maggiore limite, in–
fatti, ritengo sia quell'autoesaltazione dell'uomo per
cui questo viene a ritenere autentica, assoluta, defini–
tiva, non bisognosa di recuperi, la sua dispersione nel
temporale.
È
lo stesso metodo di ricerca, che impedisce
alle scienze « esatte» e alla tecnica di penetrare nel–
l'intima ragione delle cose, favorendo così un certo
fenomenismo e agnosticismo quando il loro metodo di
investigazione viene arbitrariamente innalzato a norma
suprema della verità totale. Proprio perchè è uno
- ma
solo uno
-
degli aspetti dell'umanesimo, la
tecnica deve integrarsi negli altri aspetti. Essa for–
nisce, per così dire, la materia della promozione uma–
na, ma da sola non vale in nessun modo a conseguirla.
Quando si dimentica questo si cade in quel deteriora–
mento della tecnica che è il tecnicismo o, nei migliori
dei casi, in empirismi, pragmatismi, sperimentalismi
di cui è costellata la storia del pensiero, ma il cui ap–
porto si è sempre limitato al di qua del diaframma fe–
nomenologico .
È
il rischio dell'uomo contemporaneo.
Nell'indagare le estreme conseguenze di questo rischio
potremmo arrivare alla denuncia di un
uomo-autono–
mia
e fine a se stesso « unico artefice e demiurgo della
propria storia» secondo il Concilio; per il quale è incom–
patibile o per lo meno superfluo il riconoscimento di un
altro Autore e fine di tutte le cose . Il discorso si fa–
rebbe lungo e complesso, in una direzione filosofica
sostanziale ma abbastanza fuori tema. Più addentro
alle nostre preoccupazioni mi sembra invece la denun–
cia di un
uomo-prigionia
sul quale vale forse la pena
dire qualche parola.
Oggi l'uomo di tutte le società - quelle dell'ovest
come quelle dell'est - è fondamentalmente condizio–
nato, determinato nei gusti, nelle preferenze, in tutto
il
suo comportamento, martellato dalle mille forme
palesi o occulte della pubblicità e propaganda. A
questo aspetto della mancanza di libertà, un altro se
ne aggiunge ancora più grave. Gli interessi di ristrette
minoranze prevalgono sulle esigenze di vita della ge–
neralità delle persone. Il denaro riesce a contendere
all'uomo il dominio degli eventi. La materia, sfug–
gendo di mano alla ragione, sembra divenire arbitra
delle sorti dell'umanità. E anche quest'altro condi–
zionamento è una alienazione tecnicistica che si ve–
rifica in tutte le società, perché
non deriva dai diversi
tipi di ordinamento ma
è
insita nelle strutture di
potere e nel modo con cui tale potere viene esercitato.
3. Il
recupero della tecnica.
Ed eccomi a un'ultima considerazione sui modi di
re–
cupero della tecnica
o sulla restituzione dell'uomo dalla
sua «alienazione» al suo «umanesimo », dove la
tecnica abbia diritto di presenza ma nella massima
esclusione possibile dell'alienazione di cui sto parlando.
È
in questa direzione che la
città industriale
deve inte·
grarsi con la
città culturale,
per il conseguimento di
un'autentica
città civile.
È
un discorso che mi permetto di lasciare momenta–
neamente in sospeso per affidarlo, innanzi tutto, alla
discussione comune. Mi riservo un intervento finale.
A
titolo indicativo dirò solo che la contro-alienazione o
liberazione dell'uomo si può ottenere tanto
all'interno
dei sistemi di vita e di lavoro, come
all'esterno
me–
diante alternative ed evasioni nella libertà, dove si in–
serisce l'interesse per la cultura, l'aggiornamento, la
«
scuola parallela» rappresentata dai vari mezzi di co–
municazione sociale, ecc. Occorrerà riparlare di queste
due vie di liberazione e della loro rispettiva efficacia.