Table of Contents Table of Contents
Previous Page  452 / 652 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 452 / 652 Next Page
Page Background

«A Torino si assiste alla prevalente verticalità

di trasmissione delle informazioni

CUI

consegue una mancanza crescente di contestazione

a livello politico, culturale

e ideologico,

una mancanza di decentramento

e di spontaneità delle iniziative»

diso perchè lo coltivasse» : dove il concetto di lavoro

antecede quello biblico di caduta e appare nella sua

vera faccia di naturale

espre~sione

dell'uomo e di com·

plemento umano all'attività creatrice di Dio. Lavoro e

tecnica, in questa concezione, non possono essere in–

quadrati in termini materialistici, a meno che si nobi–

liti il concetto di materia superando

il

malinteso dua–

lismo con cui è stata contrapposta allo spirito.

Ho pertanto la convinzione che nel cristianesimo d'oggi

(e almeno in qualche caso di ieri) i concetti di lavoro

e di tecnica non vadano derivati da una nozione di

caduta e di punizione, ma piuttosto assunti in una no–

zione di creazione a cui Dio chiama la partecipazione

umana. Lavoro, tecnica, cultura, evolvono il creato se–

condo l'ordine di un Creatore e nella luce del suo

Verbo. « Evolvono» anzi è dire male. Bisognerebbe

dire «creano » perchè l'atto divino a cui l'uomo -

la tecnica - partecipa, nel tempo, è fuori dal tempo.

Naturalmente la tecnica è anche servizio per l'uomo,

risposta alla utilità e al bisogno materiale: ma questa

non è che

una

delle risposte a cui la tecnica è chiamata.

Poichè l'uomo, dopo essere vissuto di pane, deve an–

che vivere di tempo libero, di cultura e di spirito, la

tecnica ha un'altra risposta da dare in quest'altra pro·

spettiva. E qui è logico riferirsi particolarmente ai

mezzi di comunicazione sociale, che sono uno degli

aspetti più evidenti dell'aggancio tra tecnica e cultura.

Nel mondo moderno esistono all 'incirca otto mila gior–

nali quotidiani, con trecento milioni di copie giorna·

liere di tiratura , ai quali bisogna aggiungerci duecento

milioni di copie diffuse da settimanali e mensili, senza

contare i libri (il « boom» dei tascabili per esempio)

e l'altra stampa: da quella pubblicitaria a quella ideo–

logica. I capitali investiti ogni anno nel cinema sono

nell'ordine di migliaia di miliardi, visto che ogni anno

vengono prodotte circa quattromila novità filmiche;

ma a questi occorre aggiungere i capitali parallela–

mente investiti nelle attrezzature e nella manutenzione

di impianti, sia di produzione come di esercizio. La te–

levisione, che certo non ha raggiunto il plenum né della

14

diffusione, né del potere d'influenza (il colore è ap–

pena alle prime esperienze) conta nella sola Italia più

di sei milioni di tele-abbonati, che non vanno intesi

come individui ma almeno come nuclei familiari. Poi

vi è l'incalcolabile numero di radio, radioline, giradi–

schi, juke-boxes e derivati... Ecco una colossale forza

d'urto espressa dalla tecnica sul fronte della cultura in–

tesa, in senso generico e sia pure inclusivo di « relax ».

2.

La crisi della tecnica.

La seconda considerazione sposta il mio interesse su

un aspetto non meno sensibile: quello dei

limiti della

tecnica.

E direi che questi limiti sono da individuare

non tanto nell'impotenza della tecnica stessa, quanto

nella sua riconosciuta potenza . Il maggiore limite, in–

fatti, ritengo sia quell'autoesaltazione dell'uomo per

cui questo viene a ritenere autentica, assoluta, defini–

tiva, non bisognosa di recuperi, la sua dispersione nel

temporale.

È

lo stesso metodo di ricerca, che impedisce

alle scienze « esatte» e alla tecnica di penetrare nel–

l'intima ragione delle cose, favorendo così un certo

fenomenismo e agnosticismo quando il loro metodo di

investigazione viene arbitrariamente innalzato a norma

suprema della verità totale. Proprio perchè è uno

- ma

solo uno

-

degli aspetti dell'umanesimo, la

tecnica deve integrarsi negli altri aspetti. Essa for–

nisce, per così dire, la materia della promozione uma–

na, ma da sola non vale in nessun modo a conseguirla.

Quando si dimentica questo si cade in quel deteriora–

mento della tecnica che è il tecnicismo o, nei migliori

dei casi, in empirismi, pragmatismi, sperimentalismi

di cui è costellata la storia del pensiero, ma il cui ap–

porto si è sempre limitato al di qua del diaframma fe–

nomenologico .

È

il rischio dell'uomo contemporaneo.

Nell'indagare le estreme conseguenze di questo rischio

potremmo arrivare alla denuncia di un

uomo-autono–

mia

e fine a se stesso « unico artefice e demiurgo della

propria storia» secondo il Concilio; per il quale è incom–

patibile o per lo meno superfluo il riconoscimento di un

altro Autore e fine di tutte le cose . Il discorso si fa–

rebbe lungo e complesso, in una direzione filosofica

sostanziale ma abbastanza fuori tema. Più addentro

alle nostre preoccupazioni mi sembra invece la denun–

cia di un

uomo-prigionia

sul quale vale forse la pena

dire qualche parola.

Oggi l'uomo di tutte le società - quelle dell'ovest

come quelle dell'est - è fondamentalmente condizio–

nato, determinato nei gusti, nelle preferenze, in tutto

il

suo comportamento, martellato dalle mille forme

palesi o occulte della pubblicità e propaganda. A

questo aspetto della mancanza di libertà, un altro se

ne aggiunge ancora più grave. Gli interessi di ristrette

minoranze prevalgono sulle esigenze di vita della ge–

neralità delle persone. Il denaro riesce a contendere

all'uomo il dominio degli eventi. La materia, sfug–

gendo di mano alla ragione, sembra divenire arbitra

delle sorti dell'umanità. E anche quest'altro condi–

zionamento è una alienazione tecnicistica che si ve–

rifica in tutte le società, perché

non deriva dai diversi

tipi di ordinamento ma

è

insita nelle strutture di

potere e nel modo con cui tale potere viene esercitato.

3. Il

recupero della tecnica.

Ed eccomi a un'ultima considerazione sui modi di

re–

cupero della tecnica

o sulla restituzione dell'uomo dalla

sua «alienazione» al suo «umanesimo », dove la

tecnica abbia diritto di presenza ma nella massima

esclusione possibile dell'alienazione di cui sto parlando.

È

in questa direzione che la

città industriale

deve inte·

grarsi con la

città culturale,

per il conseguimento di

un'autentica

città civile.

È

un discorso che mi permetto di lasciare momenta–

neamente in sospeso per affidarlo, innanzi tutto, alla

discussione comune. Mi riservo un intervento finale.

A

titolo indicativo dirò solo che la contro-alienazione o

liberazione dell'uomo si può ottenere tanto

all'interno

dei sistemi di vita e di lavoro, come

all'esterno

me–

diante alternative ed evasioni nella libertà, dove si in–

serisce l'interesse per la cultura, l'aggiornamento, la

«

scuola parallela» rappresentata dai vari mezzi di co–

municazione sociale, ecc. Occorrerà riparlare di queste

due vie di liberazione e della loro rispettiva efficacia.