

Una squallida Torino nella descrizione dell'autore degli immortali "Essais" - Torino aveva
mantenuto intatto l'antico volto medioevale - Quindicimila scudi d'oro sborsati per l'acquisto
del Palazzo del Vescovo" il più ampio ed orrevole" che mai si potesse trovare nella neo–
capitale - L'apporto di arte e di pensiero recato dall'architetto Ascanio Vittozzi nella vicenda
ed ilizia del Palazzo di S. Giovanni - I famosi balletti cui sono legati i nomi di Filippo d'Aglié
e di Tommaso Borgonio - Successive coagulazioni intorno ad un unico nucleo originario -
Le vicende architetton iche degli edifici palatin i e la "politica del carciofo " - Nessuna
soluzione di continuità tra il progressivo decad imento del Palazzo di San Giovanni, le
superstiti reliquie del Palazzo Vecchio e la genesi e lo sviluppo dell'attuale edificio castel–
lamontiano - Una folata di aria nuova con l'ascesa al trono del giovane re Carlo Alberto
I
turisti italiani e forestieri che transi–
tano per Torino, (ma soprattutto i pri–
mi), sogliono, spesso e volentieri (con
argomentazioni talvolta grottesche), cri–
ticare i difetti della Città, le carenze dei
suoi servizi pubblici ecc. ecc. difetti e
carenze colti magari durante un sog–
giorno, limitato a poche ore od a po–
chi giorni soltanto, e,
di
conseguenza,
insufficiente a consentire una adeguata
valutazione della effettiva situazione
urbana.
Ciò premesso riteniamo che non si di–
scos ti troppo dalla verità il Nobile Mi–
chele Eyquem, Signore di Montaigne,
quando, rileggendo a spizzico il suo
« Journal de voyage en I talie par la
Suisse et l'Allemagne
»,
pubblicato po–
stumo nel 1754, ci accade di imbatterci
in un giudizio siffatto: «(Torino)...
pic–
cola città, in un sito molto acquoso, non
molto ben edificato, né piacevole, con
questo che per mezzo delle vie scorre
un fiumicello per nettarla delle lordu–
re...
».
La tappa del dotto gentiluomo
umanista nella capitale subalpina durò
all'incirca ventiquattr'ore; se ne ripartì
alla volta del Moncenisio il trentuno ot–
tobre del 1581. Verrebbe spontaneo ri–
levare con un certo stupore come l'au–
tore degli immortali
«Essais»
non si
fosse accorto di un capolavoro dell'ar–
chitettura militare quale la Cittadella,
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sorta di recente, ma già additata ad esem–
pio in tutta Europa, e la cui edificazione
aveva determinato un notevolissimo ral–
lentamento dell'a ttività edilizia cittadina,
tanto più che, proprio alcuni mesi in–
nanzi, trovandosi in Ancona, egli aveva
rintracciato e venerato il sepolcro della
moglie di Francesco Paciotto. Ed al pari,
egli mostra di non considerare che lo
squallore da cui appariva avvolta Tori–
no era, in gran parte, una diretta conse–
guenza della vessatoria occupazione fran–
cese (1536-1562).
Del che, peraltro, non sapremmo dargli
torto, specie tenendo conto del suo
cupo umore di viaggiatore costretto a
rimpatriare anzi tempo e ad interrompe–
re bruscamente un giro intrapreso con
finalità, sia culturali, che terapeutiche.
Oltre a monumenti artistici egli ricerca–
va infatti ovunque stazioni termali, onde
liberarsi da una molestissima calcolosi
renale. E, per ultimo, come se tutto ciò
non bastasse, quasi beffa del destino , do–
po aver nel 1570 rinunciato di sua spon–
tanea volontà alla carica di consigliere di
Bordeaux, desideroso unicamente di sot–
trarsi alle schiavitù della vita pubblica,
e di consacrarsi agli studi prediletti nel
suo castello del Perigord, il signor di
Montaigne , si era visto per unanime de–
signazione eleggere ora a sindaco di quel–
la città! E poiché il sovrano gli impone-
va di accettare, si doveva prendere la
via del ritorno!
Chiusa la non breve digressione intorno
al pensatore francese resta inconfutabile
un dato di fatto: che cioè le osserva–
zioni da lui registrate sull'aspetto este–
riore di Torino in quel volger d'anni
debbono considerarsi sos tanzialmen te
esatte.
Spettacolo sconfortante
Lo stesso comportamento del duca Ema–
nuele Filiberto, rientrato in possesso de–
gli aviti dominI in virtù del trattato di
Cateau Cambrésis (sette aprile 1559) ce
ne offre un'implicita conferma.
All'indomani del suo trionfale ingresso
nella nostra Città (da lui scelta quale
nuova capitale degli Stati Sabaudi in
luogo della troppo facilmente aggredi–
bile Chambery), avvenuto il sette feb–
braio 1563 , il duca si era infatti trovato
di fronte allo spettacolo sconfortante di
un centro urbano conculcato ed avvilito
per quasi vent'anni in tutte le più vitali
esigenze da un governo straniero esoso
quanto egoista.
I
francesi invasori aveva–
no bensì rispettato l'originario perimetro
quadrato della cinta muraria romana ,
fortificandone i quattro angoli, con un
bastione munito di possenti artiglierie
ed innalzando, a breve distanza dalle mu–
ra stesse, un massiccio argine di terra che
le rendesse invisibili ai tiri degli even–
tuali assedianti.
I
nuclei abitati, e qual–
siasi edificio, sacro o privato, che sor–
gesse nelle immediate adiacenze, ma al–
l'infuori della cinta, venne, invece, raso
al suolo senza pietà: i borghi di Porta
Susina, di Dora, di Po, e monumenti
insigni quali l'Abbazia di S. Solutore
e le superstiti reliquie dell'Anfiteatro
Romano.
Nell'ambito delle mura viceversa Tori–
no aveva mantenuto praticamente intat–
to l'antico volto medioevale: un labi–
rinto di angusti viottoli, di budelli, di
cortili che serpeggiavano entro le va–
rie «isole
»,
fra torri, palazzotti, cap–
pelle e casupole, nate e cresciute indi–
sciplinatamente, e per la maggior parte
resi già decrepiti e fatiscenti dalla for–
zata incuria imposta ai proprietari dagli
eventi bellici.
Prima e preminente cura del duca fu
quella
di
guarnire la nuova capitale dal
lato più vulnerabile: l'occidentale (vale
a dire il più esposto alle possibili aggres–
sioni francesi) mediante l'edificazione di
una cittadella, la cui pietra fondamentale
venne solennemente collocata il 2 set–
tembre 1564. Da tale giorno sino alla
data della cerimonia inaugurale del su-