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La Chiesa ed il convento

del Monte de' Cappuccini,

con l'antica strada che vi conduceva,

in una litografia

di Graneri di Mercenasco, del 1820 circa

diritta e comoda la via di Francia. Se

avessero voluto evitare la sosta obbli–

gata di una notte a Torino, avrebbero

dovuto aggirare la collina da Testona,

passare l'altro ponte sul Po presso

Mairano, molto incerto, e fare un lun–

go giro prima d'immettersi nella valle

di Susa. Oppure ancora, arrivare a Ca–

rignano, percorrere la val Chisone e

passare il meno agevole e sicuro Mon–

ginevro.

Nel fiorire della vita comunale e l'in–

tensificarsi dei traffici, la questione dei

pedaggi diveniva di somma importanza

economica, ed ecco la ragione per cui

a questo punto

il

colloquio Torino-

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collina si fa sempre plU concitato. Ma

prima di tutto, chi sono gli aventi di–

ritto alla riscossione dei pedaggi? I

feudatari, i vassalli, la città,

il

vesco–

vo? Spesso i diritti s'instaurano sul–

l'abuso, per quell 'assurdo giuridico per

cui mentre la violenza distrugge la

legge, a sua volta è creatrice del di–

ritto. Dal campo teorico la lotta si

trasferisce immediatamente sul piano

concreto basandosi su considerazioni

di carattere geografico, dopo aver ClOe

individuati e localizzati i passi più

economicamente interessanti e i gua–

di. Ora se un passo è un fatto esclu–

sivamente geografico, che l'uomo in-

terpreta ai suoi fini economICI, un pon–

te è un fatto squisitamente umano, che

l'uomo attua per una propria finaHtà,

la quale implica una serie ed una con–

tinuità d'interessi (scelta della sua

ubicazione, costruzione, manutenzione

per il suo utilizzo, difesa). In una eco–

nomia chiusa come quella medievale,

ad un ponte, fosse a chiatte, o in le–

gno, o in muratura , pensava chi gra–

vitava su di esso, e, nel caso specifico

Torino. Ma

il

ponte non poteva es–

sere fine a se stesso, e la sua traiet–

toria non finiva alla coHina, bensì alle

strade che, o valicando o aggirando la

collina, proseguivano o verso le Alpi,

La splendida villa di Madama Reale

sulla collina di San Vito,

fatta costruire dalla duchessa

Maria Cristina di Savoia, dal

1648

al 1653,

su disegno del padre Andrea Costaguta