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Sotto l'atrio al fondo del cortile d'onore (nella foto, sopra)

si trovava la «Spezieria comunale» fondata nel 1600,

la quale oltre a distribuire gratuitamente i farmaci ai poveri

svolgeva un esemplare servizio sanitario.

Sempre in fondo al cortile ma al primo piano, aveva sede l'« Archivio

»,

sterminata palestra di indagine per gli storici di Torino;

al pianterreno erano gli uffici della «Giudicatura

»;

agli ammezzati invece

si trovavano gli «Uffici del Vicario» e le due Sale di riunione del Consiglio.

A sinistra, in alto: uno scorcio di piazza Palazzo di Città

con «le statue brute ch'a mostro? ..

-

A mostro un corno; tre ch'a 's dan

».

Dai versi impertinenti del Viriglio

si può capire la scarsa simpatia riscossa dal gruppo bronzeo del Palagi,

oggi meritatamente rivalutato per i pregi artistici e formali.

A sinistra: la medaglia modellata da Davide Calandra, nel 1909

per i consiglieri comunali torinesi

bepe, qualora volessimo tentare di rintracciarle, po–

tremmo senz'altro, iniziare la piccola esplorazione da

quel cortile del palazzo civico che rasenta via Corte

d'Appello e che vien tuttora detto « di San Benigno »,

da una chiesa parrocchiale demolita nel 1575. Ci tro–

veremmo, in tal caso nell'area della scomparsa « Piaz–

za del burro» che eleganti... alberghi circondavano.

Volgendo invece i nostri passi, dopo aver attraversato

il « Cortile d'Onore

»,

in direzione di via Garibaldi,

riusciremmo ,a stabilire le dimensioni della «Piazza

del pesce» (circa 1

O

metri ), calcolandole"' in' base a

quelle dei popolarissimi «partiet» che topografica–

mente vi corrispondono. Quanto all'attuale «Piazza

Palazzo di Città », crediamo superfluo aggiungerlo,

essa non

è

altro se .non la vecchia e cara «Piazza

delle Erbe », forse più vasta, certo assai più irrego–

lare prima della magistrale sistemazione alfieriana.

Anche quando, però, venne ad assumere la fisionomia

che ci è famigliare, tale piazza conservò lo spigliato

disordine che le vivaci contrattazioni degli erbiven-

doli fatalmente provocavano. Del che si rammaricava

Modesto Paroletti nella sua celebre « Guida» e mor–

morava:

«Si la pIace aux herbes, au lieu d'étre en–

combrée par le échoppes des marchands, était bien

entretenue, et avait sur son millieu un beau monu–

mentI en marbre, ou en bronzeI elle serait la plus

belle de Turin

l

».

Venne bensl il monumento, dono del re Carlo Al–

berto ai fedeli sudditi in occasione delle nozze del

principe ereditario, Vittorio Emanuele con la cugina

Maria Adelaide d'Absburgo, ma fu purtroppo, quel

gruppo in bronzo del Palagi celebrante le virtù guer–

riere del Conte Verde, che, ·a dispetto di innegabili

pregi di modellato e di esecuzione, forni soprattutto

ai faceti torinesi pretesto per salaci epigrammi, e

trasparenti allegoriche ironie allusive a beghe politi–

che locali. Della vecchia tradizione mercantile sop–

pravvive" invece, una

pu~

pallidissima reminescenza.

in due o tre bacheche, ove, a ridosso dei portici cir–

costanti, si continua ad esitare, nella nostra sofisticata

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