

più celebre Eugenio, salvatore di Torino ), l'onore di
far le veci del cugino che, quattro giorni dopo, si por–
ta a Lione ad incontrare la sposa quindicenne.
Le inclemenze della stagione rallentano il viaggio del–
l'augusta coppia che, per oltre un mese, si protrae at–
traverso la Savoia ed il Piemonte alla volta di Rivoli,
ove Madama Reale è venuta ad accoglierla, e ad atten–
derla nel salone d'onore del castello.
Radicali mutazioni
Il 14 maggio, dopo tre giorni di sosta, il trionfale in–
gresso a Torino ha luogo. I due giovani sposi palu–
dati in abiti di tela d'argento a ricami d'oro, passando
dal castello del Valentino entrano in città per Porta
Nuova. Di là, seguiti da un interminabile corteo di
dame e di gentiluomini, cui tengono dietro una com–
pagnia di trecento soldati, dalle
«casacche color di
fuoco a passamqrzi,j'a!gento
» e ben diciottomila fan–
ti, percorrono
«
Contrada Nuova» fino alle soglie del
Palazzo Reale"ormai
,P
essoché ultimato.
La giornata "'del 15 invece è spesa quasi interamente
in devozioni alla Santa Sindone. Giunta la sera, però,
il popolo che, sommerso dal bagliore di innumerevoli
fiaccole, si stipa nella piazza attorno ad una gran mac–
china di fuochi artificiali, può finalmente applaudire i
suoi Principi affacciatisi a salutarlo, tf.a notabili ed
autorità dal balcone del neonato Palazzo di Città.
Un cronista contemporaneo, l'ampolloso abate Vale–
riano Castiglione, di manzoniana memoria, si soffermò
a descriverci la schermaglia di cortesie intercorse, nel
momento culminante della festa, tra la duchessa Cri-
I
I
L
A destra: soltanto nel 1858
le due nicchie fiancheggianti
l'arcata centrale del portico
vennero riempite
con due monumenti
esaltanti
l'uno Eugenio di Savoia
e l'altro
Ferdinando di Savoia Genova.
Sotto: l'antico palazzo
del Comune,
nella
«
ricostruzione ideale»
di Riccardo Brayda
pubblicata
sul
Giornale
deli'esposizione nazionale
del 1898
stina e Francesca, alla quale il sindaco di prima classe,
Maletti, aveva offerto una torcia con cui dare l'avvio
allo spettacolo pirotecnico, senonché ella se ne era
tosto schermita, per deferenza verso la suocera. Sol–
tanto, infatti, al materno rifiuto di costei, Francesca
«attaccò il fuoco ad una funicella pendente dall'alto
del Palazzo, onde si spiccò immediatamente dalla cima
di esso una colomba con le ali infiammate, che accese
la mole combustibile
».
Chiediamo venia per il lungo indugio sugli antefatti.
Ma diversamente non avremmo saputo comportarci,
essendo nostro intento il dimostrare quale alto signi–
ficato avesse assunto agli occhi dei torinesi del dicias–
settesimo secolo l'edificazione di un apposito Palazzo
di Città, comodo, imponente, funzionale. E non sotto
l'aspetto urbanistico soltanto, ma ,addirittura sul piano
del prestigio politico internazionale.
Orbene, a tal fine, giova considerare come nel giro di
due secoli la sede del comune avesse traslocato, pur
restando sostanzialmente nello stesso quartiere urba–
no, ,a dire poco, cinque volte.
«Fu forse dapprima»
scrisse l'architetto Emilio Bruno, amico e collaborato–
re di Carlo Ceppi
«
in quell'antico palazzo del governo
di origine romana, di cui rimane un avanzo ornato di
belle crociere quattrocentesche, in Via Giacomo Leo–
pardi. Nel
1270,
era in «domo Porcellorum
»
(cioè
nella «Piazza del Grano» dove poi sorse la chiesa
del Corpus Domini), nel
1276
«super solario Hen–
rici Bergexii » davanti a San Gregorio .
(<<
Ricordiamo
che nel cantone di
S.
Gregorio, all'angolo delle Via
Garibaldi e
S.
Francesco d'Assisi venne costruita nel
1335 la Torre Comunale demolita nel
1801 ,
dimorò
per due secoli l'Università, ed esordì mossa dalle mani
di estrosi burattinai, la maschera di Giand6ja
».
Nel
1334, (parliamo sempre della sede del comune), nelle
case confiscate ai
«
casanieri » (cioè ai banchieri
~
Gras–
si presso S. Simone (via Garibaldi 13); e poi un po'
qua, un po' là finché nel 1418 ebbe stanza in un edi–
ficio appositamente costruito, situato sulla parte cen–
trale dell'odierno palazzo civico. E la città contava
cinquemila abitanti appena!
Di cotesto edificio ci è ,ancor oggi agevole formarci
un: idea scrutando le più antiche mappe della città,
quella annessa al volume del Pingone, per esempio, e
basterà un'occhiata per convincerci che si trattava di
ben misera cosa, pregiudizievole, comunque, alla di–
gnità di una capitale.
Nessuno di noi ignora che, proprio nel corso del sei–
cento, il volto architettonico di Torino sopportò le
più radicali mutazioni, quelle che le avrebbero tolto
definitivamente l'aspetto di un grosso borgo rurale,
così sgradevole agli occhi di Montaigne, turista esi–
gentissimo. L'aggressione dei nuovi agglomerati ur–
bani alle campagne finitime era andata facendosi, frat–
tanto, ognor più massiccia dal giorno in cui la Citta–
della del Paciotto era sbocciata, come uno splendido
fiore astriforme dall'inesorabile quadrilatero del peri–
metro romano. Costituirà, all'opposto, una sorpresa per
molti, la nitidezza, la modernità di concezione che per–
mearono la politica urbanistica di Carlo Emanuele II
così come le formulò nei suoi fitti
Memoriali.
E cioè:
« Nobilitare la Capitale con l'istituzione di Accade–
mie, di Collegi di nobili, di pubblici alberghi per
l'esercizio della virtù ed invitarci negozianti banchieri
ed altri virtuosi, a rendere la città insigne e comoda,
come porta al principio dell'Italia e uno dei più van–
taggiosi passaggi per coloro che provengono, a farla
più forte, con la costruzione di nuove mura secondo
le vere regole militari
».
Gli abitanti erano divenuti
36.000.
Un architetto di prestigio
Un programma così nobilmente ambizioso, non po–
teva non sedurre gli organi responsabili della città.
Logico quindi che, per
il
progetto di un edificio cui
tanta import.anza si annetteva, ci si rivolgesse ad un
architetto del prestigio di Francesco Lanfranchi, pa–
trizio chierese dell'Ospizio dei Balbo, governatore di
Mirafiori ed aiutante di camera del duca. Vi è dav–
vero di che rammaricarsi che i secoli abbiano inghiot–
tito ogni testimonianza sulla vita di sì valente artista,
di cui <appena conosciamo qualche opera. Ma ancor
più duole constatare come la sua idea originaria, circa
il Palazzo Civico (vedi il disegno conservato negli
archivi comunali) abbia tròvato realizzazione in una
forma alquanto approssimativa, che quasi si direbbe
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