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epoca di concimi chimici e di agricoltura meccanizzata,

droghe, spezie e sementi, in rustici sacchi di juta.

Una propaggine della « Piazza di Torino» poteva in

certo modo considerarsi pure la

«

Piazza del grano »,

dedicata poi alla chiesa del Corpus Domini che sorse

nel 1610. Per accedere dall'una all'altra si doveva

varcare la «Volta Rossa », specie di lungo arco, co–

struito in nudo laterizio, sotto il quale, ner incontra–

stato privilegio, tenevano banco, forse sin dal '300 i

mercanti chieresi.

A partire però dal 1619, in seguito all'apertura della

«Contrada dei Panierai », oggi «via Palazzo di

Città », che consenti di entrare direttamente in Piaz–

za Castello, si cominciò a prendere in uggia tale cu–

riosa reliquia medioevale che turbava sgradevolmente

la contemplazione del riposante scenario offerto dal

capolavoro del Lanfranchi. Ragion per cui nel 1722

se ne decretò l'abbattimento.

L'opera di Benedetto Alfieri

Ma il vero regista dell'arioso, solenne spettacolo di

ben cadenzate masse architettoniche, che da due se–

coli interpretano per ogni occhio avido d'armoniose

visioni, i palazzi di Piazza delle Erbe, (intendiamo

parlare di Benedetto Alfieri), non avrebbe intrapreso

la sua fatica prima del 1758. Esporre, sia pure per

sommi capi i problemi urbanistici che si trovò ad

affrontare (creare una cornice valorizzante al massimo

la sede del più alto potere civi:le, istituir·e un equili–

brato rapporto tra il suo tozzo corpo rettangolare e

lo spazio antistante, coordinare col traffico cittadino

quello proveniente e dalla Francia e dal Milanese,

immettendolo direttamente nel centro urbano),

Cl

porterebbe lontano assai.

Ci accontenteremo di rilevare come alla soluzione da

lui adottata, soluzione urbanisticamente ottima fra

le molte prospettabili, si deve se

il

più antico cuore

della nostra Torino ha conservato sino ad oggi quel

colore, quell'animazione, quel calore di palpitante

umanità, quell'atmosfera aristocratica e casalinga ad

un tempo, che si respirava nelle età in cui su di esso

convergevano gli interessi finanziari ed economici

della popolazione, talché lungo la « Contrada di Dora–

grossa» si allineavano perfino le

«casane»

dei ban–

chieri e del capoluogo e delle già illustri e fiorenti re–

pubbliche di Asti e Chieri. All'Alfieri dobbiamo ,

perciò, se

il

cuore di Torino

è

riuscito a salvarsi dal

sortilegio che ha stregato certe

zone archeologiche

o

monumentali

di parecchie città italiane, perdute in

una astratta fissità, ove soltanto sembrano aleggiare

cupi fantasmi.

L'opera di Benedetto Alfieri inoltre, cronologicamente

coincise col periodo in cui le magistrature civiche,

imperniate sulla figura del «Vicario di Politica e di

Polizia» e sull'istituto del « Decurionato », stavano

assumendo la definitiva struttura in virtù delle ri–

forme di Carlo Emanuele III, ,riforme che consenti–

rono a quei nostri reggitori di portare le istituzioni

della Città ,ad una fase di sì avanzato processo evolu–

tivo che non appena

il

moto risorgimentale venne a

dischiudere la luminosa prospettiva della nuova mis–

sione che il Piemonte era chiamato a svolgere per i

futuri destini d'Italia , Torino si trovò , quasi senza

accorgersene, in grado di assumere il diverso ruolo

che la storia le assegnava. E fu un ruolo non più di

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piccola capitale ma di moderna metropoli industriale.

E non dimentichiamo come già più sopra accennammo

che fu proprio dalla « Sala Rossa» del nostro Palazzo

Civico (Sala rimasta praticamente intatta dai tempi

di Madama Reale), e precisamente nella memorabile

seduta del 9 febbraio 1848, che si levò per bocca del

decurione, Pietro De Rossi di Santa Rosa in prima

voce, la prima proposta formale di chiedere al so–

vrano la concessione dello Statuto.

Riproduciamo lo storico documento estratto del ver–

bale della seduta del Consiglio comunale del 9 feb–

braio 1848:

«

Oggetto: Domanda perché sia proclamata dal Re la

C

ostituzione.

... omissis ...

...

il signor Cavaliere di Santa Rosa dà lettura al

progetto di memoriale redatto dalla medesima, il

quale, dopo alcune modificazioni viene approvato dal

Consiglio Generale nei seguenti termini:

SACRA REALE MAESTÀ

«

il Corpo decurionale della fedelissima Città di To–

rino, nella gravità delle attuali contingenze, trovandosi

adunato in Consiglio Generale per avvisare ai modi

opportuni onde tutelare l'ordine pubblico in tutte

le possibili eventualità, ha creduto che primo fonda–

mento dovesse essere la conservazione di quell'armo–

nia di sentimenti fra la Maestà Vostra ed i suoi sud–

diti che fa la gloria del suo regno.

«E partendo dall'epoca memoranda in cui d'un trat–

to volle la Maestà Vostra con le sue sapienti riforme

instaurare un nuovo ordine di cose, ebbe a fissare il

Corpo decurionale le proprie considerazioni sulle

grandi conseguenze che dovevano procederne.

«Invero il pubblico riconobbe tutta l'importanza di

quelle riforme, che chiamavano la Nazione a parteci–

pare al governo della cosa pubblica col principio

d'elezione largamente stabilito nella nuova legge mu–

nicipale e colla libertà delle opinioni assicurata mer–

cé le larghezze concedute alla stampa.

«Considerò inoltre come la gravità sempre crescente

degli avvenimenti succeduti in Italia potesse dare al–

le opinioni fatte libere una tendenza che per avventu–

ra venisse ad incagliare la libera azione governativa.

Ha quindi preso a riflettere se non fosse il caso di

supplicare la Maestà Vostra ad accellerare nell'ordi–

namento dei più alti poteri dello Stato lo sviluppo

dei generosi pensieri che stanno riposti nella mente

di Vostra Maestà, e che Ella esprimeva così ampia–

mente nel preambolo della nuova legge municipale.

« Dal che la forza del governo della Maestà Vostra

verrebbe consolidata in quel modo che i tempi ri–

chiedono a stabilità del Trono, ed a tutela dell'or–

dine pubblico.

« Le dimostrazioni che all'annunzio degli ultimi av–

venimenti di Napoli succedettero in questa Capitale,

nonché in Genova ed in molte altre Città del Regno

sono troppo alta prova del voto universale; che vien

corroborato dalla piena fiducia che ha ognuno nella

sapienza del Re e che

è

indizio di una esigenza dei

tempi in cui sotto il savio reggimento della Maestà

Vostra la Nazione cotanto progredì nella sua poli–

tica educazione.

«Prese eziandio a contemplare il vivo desiderio di

tutti i buoni cittadini di concorrere anch'essi alla tu–

tela dell'ordine pubblico ed alla difesa del Trono,

quando fosse minacciato da straniera aggressione;

quindi a grandissima maggioranza di voti il Consi–

glio Generale determinò di portare ai piedi del Tro–

no le seguenti supplicazioni.

« 1) Organo dei desideri di questa popolazione, il

corpo decurionale che racchiude in sé i sudditi quanto

altri mai più affezionati alla persona della Maestà

Vostra ed alla sua corona, non che i più solleciti dei

princìpi conservatori, crede suo dovere di pr-egare la

Maestà Vostra di volgere il pensiero alla suprema

contingenza dello Stato, supplicandola a voler con

quelle istituzioni rappresentative che giudicherà più

opportune, concedere al suo popolo il complemento

delle già promulgate riforme.

«2) Di supplicare la Maestà Vostra di permettere

per la Città di T orino la formazione del quadro o

stato nominativo di un Corpo di Milizia cittadina da

attivarsi ove le circostanze lo richiedano o Vostra

Maestà lo ordini, con autorizzare intanto i membri

di tal Corpo, ai quali le proprie occupazioni il con–

sentano, e che abbiano maggior disposizione alle ar–

mi, ad esercitarsi nel maneggio delle medesime sot–

to quelle regole e discipline che verranno stabilite.

« Con questi due nuovi ordinamenti verrà mantenu–

ta inconcussa tutta la forza morale al governo di Vo–

stra Maestà e La farà salire all'ultimo apice delta

gloria proclamandola il massimo benefattore del suo

popolo

».

Il Consiglio Generale incarica i Sindaci di rassegna–

re sollecitamente a Sua Maestà il così approvato me–

moriale. Quindi dal signor Vicario si scioglie l'adu-

nanza.

F.to

Vittorio Colli, Sindaco

Giovanni Nigra, Sindaco

Giuseppe Ponte

Cav. Pietro Paolo Villanis, Segretario

Fino a ieri le guide turistiche e le monografie sto–

rico artistiche di Torino hanno, praticamente, o

quanto meno trascurato il nostro Palazzo Civico e

nei suoi pregi e nei suoi addentellati con la rivolu–

zione risorgimentale Italica.

Terminando la lettura delle parole del signor « Cava–

liere di Santa Rosa », la sua mole ci sembra gigan–

teggiare: e gareggiare in virtù del patrimonio di sa–

cre memorie che in sé racchiude, per fascino e per

prestigio con altri due insigni monumenti architet–

tonici di Torino: Palazzo Madama e Palazzo Cari–

gnano.

Davide Giovanni Cravero

(1)

Nella stesura della monografia

Trecento anni di vita del

Palazzo Civico di Torino - 1663/1963

edita a cura della

Città e da noi redatta per incarico del compianto sindaco

Anselmetti, seguendo le orme della critica attribuzionistica

tradizionale ed in particolare le osservazioni di Alessandro Baudi

di Vesme (v. Catalogo della Regia Pinacoteca di

T

orino ed.

Bona Torino,

1899

pago

27)

abbiamo erroneamente riprodotto

a pagina

14,

tavola

1

una tela di Nicola Mignard, conservata

in detta Pinacoteca e raffigurante le sembianze di Francesca

d'Orlèans, la «Colombina d'amore

»,

mentre in effetti ripro–

duce i lineamenti della

«

Grande Mademoiselle

»

sua sorellastra.

L'autentico volto di Francesca si trova invece ritratto nel di·

pinto a soggetto venatorio (Torino, Museo Civico) del Miei

pubblicato nel contesto del presente articolo.

Come

è

noto le trattative miranti alla conclusione di un ma–

trimonio fra la Montpensier e Carlo Emanuele abortirono a

causa dell'incompatibilità di carattere fra i due cugini.

A proposito del duca la

«

Grande Mademoiselle» lasciò nelle

proprie memorie questo sprezzante giudizio:

«

Non avrei po·

tuto essere commossa che da un grande merito o da una grande

elevatezza d'animo - Non trovai né l'uno né l'altra in Monsieut

de Savoje

».