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G I O V A N N I P R A T I A T O R I N O

( N e l c i n q u a n t e n a r i o d e l l a s u a m o r t e )

D

iversi giornali letterari hanno, ed a giusta ra­

gione, rievocata la nobile figura del poeta di

corte Giovanni Prati che fu ai suoi tempi molto

esaltato per la potenza della sua ispirazione e per

la vena copiosa e facile della sua poesia. In un am­

biente come quello creato dal

Fascismo, ove la giovinezza si

afferma e trionfa esaltando

l’Italia coll’opera e colla pa­

rola,il cinquantenariodel poeta

di Dasindo che fu profeta dei

destini d’Italia e die affrontò

con animo virile il dolore del­

l’esilio, non deve passare inos­

servato.

Torino che lo ospitò nel

1844, lo amò come un figlio,

divampando entusiastica ai

suoi versi 1 cercando di ren­

dergli gradito il soggiorno in

tutti i modi miglimi, conscia

del culto e della devozione che

egli professava per Carlo Al­

berto in cui riponeva ogni

speranza per l’indipendenza ed

il risorgimento d’Italia.

Tutti indistintamente, dal

ceto più aristocratico, al più

umile, vollero recare il loro

tributo d’ammirazione al poeta

Giovanni

Prati quando

venne

nella nostra

città la prima volta. Quantunque lecomu­

nicazioni

fra le varie

regioni

d’Italia

fossero

soggette

al

controllo della polizia che tentava di ostacolarle

con ogni

mezzo, e Torino avesse un persecutore acca­

nito

di ogni manifestazione in favore della libertà, nel

potentissimo

ministro La Margarita, quando giunse

la

notizia die il Prati da Milano sarebbe passato a

Torino,

l’aspettativa si trasformò in vera ansia e

in

tutta la città non si parlava più di altro.

Nei salotti, nei caffè, nel cortile ddl’Università,

tutti ricordavano i

soci

versi, tutti rammentavano i

suoi veementi scatti a Padova ove

l’oppresnooe

austriaca

à

faceva di

giorno

in

giorno più feroce,

e le sue invettive

che nonrisparmiavano

i

governatori

austriaci di

Venezia

e

di

Milano. Prati

era trepidante

di

accostarsi al focolare, ove sotto la cenere ardevano

quelle faville che ad ua cenno di Carlo Allerto

sarebbero diventate un rogo, e la gioventù fremeva

d’impazienza, pronta a gridare alto il suo amor

patrio, nel saluto che avrebbe dato a colui che aveva

scritto, con anima ardente e con’armoniche ed avvin­

centi cadenze, il

Cento di Edmenegorde.

Intanto tutte le copie che

i librai di Torino avevano del

Conto di Edmenegord

Es,

furono

vendute in un baleno; nella

scuola dd Paravia si fece un

largo commento ad ognistrofa;

i giornali si associarono al co­

mune entusiasmo con articoli

improntati ad alta cordialità;

parve che un avvenimento so­

lenne dovesse avvenire e che

la rittà intera si prepara

festeggiarlo.

Finalmente il Prati giunse,

e quando la notizia si divulgò,

Torino l ’apprese con soddisfa­

zione profonda in attesa di

dargli qualche dimostrazione

degna di lui, e proclamargli

pubblicamente la sua ammira­

zione e la sua gioia. In un sa­

bato pomeriggio il Prati deli­

berò di presentarsi alla rino­

mata scuola di letteratura

italiana dd professor Piero

Alessandro Paravia, scuola che

in ogni sabato si trasformava in accademia lette­

raria a cui, dopo l'approvazione dd Paravia, erano

ammessi a leggere in libera udienza, i loro parti in

prosa ed in poesia, tanto gli autori giovani ed alle

prime armi, quanto qudli provetti e già affermati.

11

g o u c o e so u C flu i

c o d p u D a u c o m u u c

in qud giorno, die l’Accademia venni tenuta nel­

l’aula ddTUnivenità e la folla crebbe cod a diani*

sura

die ne forano ingombre non solo il cortile e

l’antisala, ma penino le gallerie. Tutte le Wìn«ì

furono in quell’ora sospese per mancanza di allievi

alunni facendo

all’arte di (dovavi Prati

Un Affisino scrosciante cono la impesta su

imt vetrata, a un dsners

l’apparire

dd Prati sala soglia che s’affaccia al cottile detta

nostra Università.

11

Prati sostò un idants vinto»

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