

GIOVANNI PRATI A TORINO
Il Prati non mancò di protestare contro l’ingiusto
provvedimento e in una lettera al direttore della
polizia di Torino, affermò che i nemici dai quali
era avversato, gli erano stati suscitati dalla simpatia
del Re e dall’entusiasmo col quale la città l’aveva
accolto e chiese, con un'ingenuità senza pari, che il
Ministero gli indicasse gli autori delle delazioni,
perchè egli potesse portarli davanti ai giudici com
petenti.
La protesta non ebbe, ed era da aspettarselo,
nessun effetto; come non l’ebbero le implorazioni e
l’intervento dei suoi numerosi ed influenti amici.
Dopo aver ottenuto, per mezzo di persone in
dimestichezza col Re, un mese di tempo per andar
sene, invece di una sola settimana, U Prati partì,
accompagnato dal rimpianto di tutta Torino e col
proposito fermo di ritornarvi non appena i tempi
fossero mutati.
Vi tornò nel 1849 dopo essere stato bandito da
Venezia perchè professava un culto troppo alto per
Carlo Alberto.
Torino lo ebbe come figlio per ben quindici anni
e lo vide, felice, raggiante, innamorato, sposo di
una signorina torinese: Lucia Amaudon filodramma
tica rinomata e nota per le sue dizioni di versi.
In Torino egli scrisse buona parte dei suoi canti
politici, in cui sempre si manifesta il suo profondo
amore per la Casa Sabauda, seguendo con ansia
tutto il periodo del Risorgimento che dal 1848 va
al 1860.
E qui son lieto di citare una poesia che non si
trova in nessuna opera del Prati, ed era in possesso
della signorina Corsale. La poesia fu scrìtta nel 1848
quando Carlo Alberto passava colle nostre truppe il
Ticino, iniziando la campagna che ebbe bagliori di
gloria, spenti purtroppo nel lutto di Novara:
Su, cancelliam dal fronte
le dolorose impronte!
L'Onnipotente erompere
fk
dalle spine il fior!
La fatai onda varca
il dttadin monarca,
l’italo bronzo fulmina
sul barbaro invasori
Or centomila spade
dalle natie contrade
ncacceran quest'orride
belve che Dio non fè.
Viva di Carlo Alberto
l'invitto brando e il serto,
della congiunta Italia
Viva il Soldato e il Re.
Egli restò a Traino sino all'ottobre del 1865,
godendo dì veder tradotto in realtà per opera di
Vittorio Emanuele II
3
sogno dell'Italia libera ed
unita, poi lasciò il Piemonte per seguire la capitale,
prima a Firenze, poi a Roma.
Il
giorno
3
ottobre 1865, avanti
di
abbandonare
la
nostra città che era cori profondamente cara
al
suo cuore e tasti gloriosi canti gli aveva ispirati,
diresse al Sindaco di qud tempo una lettera nobi
lissima in cui si manifesta vivo, ardente, l’affetto
che portava a Torino, in cui vibra tutta la sua anima
nobile, affettuosa ed alta, profonda, rìsuona la nota
dolorosa, il profondo rammarico di doverla abban
donare.
È un addio commovente di cui Torino può andare
giustamente orgogliosa.
Citeremo qualche perìodo contenuto nell’auto
grafo che viene riprodotto:
Dopo aver rivolta una parola di ringraziamento
al Sindaco scrìve:
«Io, quanto a me, porterò meco una memoria
ben dolorosa e profonda d’una Città, che lascio,
come dovessi lasciare il luogo dove son nato e dove
riposano le ceneri dei miei. E più anco mi affligge
perchè la sorte non mi ha posto in grado di nulla
avere operato, che meglio mi raccomandasse alla
benevolenza d’un paese, il quale fece sentire a noi
tutti e per anni molti il benefizio di cittadini e non
un sol giorno il dolore di esuli ».
Poi, avendo in un perìodo rammaricato di non
poter dimostrare abbastanza la sua gratitudine con
opere degne, conclude nobilmente:
«Per alcuni uomini, signor Sindaco, fin anco le
pietre di una dimora nobilmente amata hanno lin
guaggi austeri e durabili, e queste della Città di
Torino portano troppi segni di gloria e d’infortunio,
perchè non paiano, ad ogni generoso, monumenti da
rispettarsi e ricordare in perpetuo ».
Segue la firma, quella firma che è stata posta
in calce a tanti canti infiammati, a tante poesie
popolari che hanno fatto battere commossi anche i
più umili cuori.
A
Roma, la sera del 9 maggio 1884 il grande
cuore di Giovanni Prati cessava di palpitare.
Sempre egli aveva manifestata la sua volontà
di essere tumulato a Torino ove aveva tanto sofferto
e tanto amato e anche avanti che k> cogliesse la
morte, in età di anni
70,
espresse e a voce, e per
iscritto, questo suo supremo desiderio.
In una unica seduta del Consiglio Comunale del
25 luglio 1884 l’assessore Arcozzi-Masino riferiva:
j
■ Proveniente da Roma, veniva il giorno 7 corrente,
!
trasportata nel Camposanto generale di questa città,
1
la salma dell’insigne poeta senatore Giovanni Prati
e collocata nd deposito provvisorio in attesa di
ulteriori provvedimenti.
«Per motti titoli acquistati alla pubblica beneme- ||
renza dall’illustre estinto, si propone che ad onorarne
j
la memoria sia assegnato alla salma tm posto a S
perpetuità nell’arcata N. 166, prima ampliazinne
del Camposanto generale, destinata alla tumula*
1
rione di persone benemerite; e die sia assunta dal
Municipio la spesa della vettura mortuaria pd tras
porto dalla starione ferroviaria al Cimitero, non
ddla tumulazione e provvista della lapsde con 1
relativa scrizione, con applicazione ddl'ammontaie 1
approssimativo di lire 200 all'ait. 128, Carnati dd
corrente esercizio •.
I
Il Consiglio approvava all'unanimità per abate
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