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VITTORIO CAVALLERl

Fiori 41 «I

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n

all’altro, la città, eccoci fra i campi, oltre la Barriera

d’Orbassano (nella ex Borgata Tetti Varrò), ad un

cancelletto, unico segno, quello

indispensabilmente

possibile,

d'indiscreta

penetrazione in nn muricciuolo

bianco circondante un giardino tutto rose in fiore e

raggi di sole fendenti chiome e ciuffi di verde, d’ogni

sfumatura, ondeggianti alla brezza mattutina. Nel

bel mezzo di quest’oasi virgiliana, una bassa costru­

zione, fra la villetta e il cascinale: questo il romi­

taggio ispiratore del Maestro (dal 1885, da quando

la campagna solitaria ebbe tanta forza di seduzione

su di Lui da spingerlo ad abbandonare lo studio che

occupava in città con Alberto Rossi). Chè per la

maggior parte delle sue creazioni non gli sono oc­

corse, in un’incontentabilità ostentata e pretensiosa,

lunghe ricerche e gite in località più lontane e sug­

gestive, ma in esse rivivono semplicemente i vari

punti di questo suo poetico orto-giardino, certo

volu­

tamente

non troppo sottoposto a cure rigidamente

sistematiche di giardinieri

di scuola,

ma reso dal

Nostro in tutto il lirismo, e nella potente dramma­

ticità talvolta, che i sorrisi e gli sconvolgimenti

della natura possono (quasi privilegiatamente,

conoscendo, si direbbe, a quale sognatore e

realizzatore in quel luogo si offranno) inscenare.

Varietà di aspetti della natura costituenti,

neil’armonicità d’un paesaggio tutta france­

scana spiritualità, altrettante scintille creative

per una produzione, veramente

d’arte questa,

forse non ancora approfondita e valutata, nella

sua complessità, ^me merita e come la storia

della nostra arie contemporanea può esigere.

È questo un Otti cento tutto trionfale fe­

stosità di colore, fresco, scintillante, dove vibra

quasi sempre la delicata nota sentimentale e

patetica, non disgiunta da un brìo garbato e

fine umorismo (!

Talora... una stratta, allettevole

mescolanza di umorismo e melanconia

— osser­

vava Corrado Corradino riferendosi al Caval­

ieri, —

lo si direbbe un autore inglese

Dick***

per esempio

cne invece cmc coum pennm

scriva

36

col pennello)

e in cui, non di rado,

una qualche opera ha lasciato po­

tenti orme, che dimostrano a

quale punto l’anima, agitata e

fremente dell’artista, possa anche

penetrare le sofferenze e le umane

tragedie.

E tale mi apparve in quel

mattino giocondamente riposante,

nello studio luminoso, rallegrato

dalla vivace sinfonia della verzura

e dei fiori, visibili dalle ampie

vetrate, e dal gorgogliare misterio­

samente sommesso di qualche ru­

scelletto vicino, nascosto fra le

alte erbe ancora imperlate di ru­

giada, l’operadi Vittorio Cavalieri.

Studio modesto, se pur nell’ar­

redo rivelasse naturalmente, sen­

z’artificiosità, il temperamento del ricercatore e del

collezionista, in cui tutta la maggior ricchezza, una

grande ricchezza, era costituita dai prodigi duna

tavolozza eternamente giovane, della quale le pareti

ed i vari cavalletti offrivano al nostro sguardo, in

una varietà inesauribile di temi, le palpitanti nobi­

lissime prove (1).

E in questa circostanza, più forse che in altre,

mi si rivelava anche tutta la più pura sensibilità di

un'altr anima di non facile e raffinato intenditore, e

cultore, d’arte: quella del futuro Quadrumviro della

Rivoluzione, neU’indicarmi, con quella ben viva luce

negli occhi che riflette un’interna emozione, le più

significative tele dovute al Maestro ed i più sugge­

stivi recessi del luogo incantevolmente ispiratore.

Sensazioni duna spontaneità trabocchevole e co­

municativa quelle di Cesare Maria De Vecchi, molto

prima che il Fascismo potesse avere in Lui una delle

sue maggiori figure, sempre quando suscitate dalla

bellezza, dalla cultura, dalla Storia della nostra

Terra. E a chi ricorda (come chi scrive) con quale