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“ L’ INNO ALL’OFFICINA „ di Giorgio Cicogna

Due anni or sono, il 3 ago­

sto 1932, a causa dello scoppio

di un motore in prova per la

navigazione stratosferica moriva

in un'officina torinese di Corso

Verona, il Tenente di Vascello

Giorgio Cicogna e con lui alcuni

operai suoi collaboratori. Gra­

vemente ferito rimaneva il Co­

lonnellodelGenioNavaleGiorgio

Rabbeno che in tale circostanza

dava proi'a di mirabile forza

d’animo.

La gioi’ane vittima della

scienza, oltre che inventore, era

un poeta di altissimo canto e

come tale lo ricordiamo ai nostri

lettori.

Ecco intanto il suo stato di

.

servizio:

Nato il 19 marzo 1899 a

Venezia.

Ammesso come allievo alla

R. Accademia Navale nel 1913.

Tenentedi Vascellonel 1921.

Prese parte alla campagna

di guerra, imbarcato alternati­

vamente sulla corazzata

«

Giulio Cesare

»

e sulla glo­

riosa flottiglia MAS di Venezia.

In congedo provvisorio dal febbraio 1930 per atten­

dere alle sue ricerche scientifiche.

Deceduto a Torino il 3 agosto 1932.

A chi, come noi, disgustato delle vie nuove verso

cui, come un asinelio recalcitrante, si cerca di spin­

gere l'arte con una formula che si può definire «non

per, ma contro il pubblico », accoglie l’indirizzo mo­

derno con un sentimento che non va oltre ad una

equilibrata curiosità, si muove dal campo avverso

un’accusa: quella di voler rimanere immobili sulle

posizioni raggiunte, come un esploratore che, con­

quistate le vette di una catena montagnosa,

non

voglia proseguire verso cime più eccelse

e

più

lontane,

anche a costo di dovere, come transito,

ridiscendere

nella valle, per portarsi alla base di più ardite

scalate.

D’accordo!

scendere nella valle sì; ma

non precipi­

tare nel

vuoto.

Ed è questo appunto die non vogliamo fare.

Da parecchi anni una parte

ribelle e fino ad oggi ancora,

giustamente, non vittoriosa,

per quanto ami proclamarsi

tale, della giovane generazione

artistica, proclama la necessità

di lasciare sprofondare nell’a­

bisso del passato classicismo

e romanticismo per esaltare la

vita meccanica che stringe la

civiltà d’oggi nelle sue braccia

tentacolari. A questa ten­

denza, a cui i nostri nonni

Carducci e Stecchetti già ave­

vano bruciato qualche grano

d’incenso cantando la Vapo­

riera e la Bicicletta, dobbiamo

essenzialmente delle pessime

poesieonomatopeiche, dei qua­

dri disgustosi e delle musiche

sconclusionate.

Tanto più, perciò, siamo

lietidi potereconquesto scritto

segnalare una poesia che ha

trovato forse l’armonico con­

nubio delle più moderne sen­

sibilità con le leggi antiche ed

immutabili della forma e della chiarezza. Alludiamo

a Giorgio Cicogna, la cui fine tragica e quasi mi­

stica durante un’esperienza per darci il motore per

la stratosfera, è stata già così ampiamente ricor­

data, e per giornali e per radio, perchè occorra ancora

fermarsi sull’episodio del suo tragico trapasso.

Da «na macchina in moto, da una formula di

calcolo integrale, da un principio di fisica o chimica,

egli isola il nucleo spirituale che ha nell’infinito le

stesse sorgenti che hanno l’Amore e la Musica.

Con questa sensibilità che chiamerei cosmica,

congiunta ad un possesso della lingua da grande

scrittore, Giorgio Cicogna, sparito in un carro di

fuoco come il profeta Elia, ha composto i

Canti per

i nostri giorni

(Edizione de L'Eroica - Milano), che

sono anch’essi una profezia. Non ne partiamo qui

per fare attorno ad essi una pubblicità di cui non

hanno ormai più Insogno, ma per dimostrare die

siamo, più ancora che pronti, ansiosi di accogliere

quanto di buono sia per profilarsi sull’orizzonte dd*

l’arte moderna.