

GIOVANNI PRATI A TORINO
preda a perplessità ed incertezze, e col timore di
disgustare e offendere la suscettibilità delTAustria,
si pentì di aver dato al Prati un tale incarico e quando
il concetto poetico, così chiaro e trasparente, ebbe il
potere di provocare una nota collettiva dei ministri
d’Austria e di Francia, non esitò di chiudere alle
spalle del poeta le porte della Reggia.
Ciò non valse però a diminuire la simpatia e
l'ammirazione dei torinesi per il Prati, e quando il
Paravia pensò di tenere un’accademia commemora
tiva per ricordare l’accoglienza fatta dalla Reggia
Piemontese a Torquato Tasso e solennizzare il terzo
centenario della nascita del poeta, il Prati fu il primo
ad essere invitato, colla certezza che il suo nome
avrebbe richiamata tutta Torino. L’accademia ebbe
luogo nel Palazzo Carignano, nella gran sala che più
tardi diventò la Camera dei deputati.
Il programma comprendeva una cantata musi
cata nientemeno che da Rossini su versi del conte
Giovanni Marchetti; un’orazione dello stesso Pa
ravia; una poesia di Silvio Pellico detta da un pro
fessore; alcune sestine burlesche di Norberto Rosa;
due canzoni; una del Bertoldi, l’altra della poetessa
Molino Colombini, e quattro sonetti del Prati detti
dall’autore:
Tasso a Sorrento, Tasso alla Corte di
Ferrara, Tasso a Sant'Anna
e
Tasso a Sant’Onofno.
I sonetti del Prati salvarono dalla noia quanti
assistevano all’accademia, ove l’orazione pomposa
del Paravia suscitò manifestazioni non molto edu
cate di stanchezza. Fu un mezzo fiasco, e, a sollevare
lepiùmatte risate, capitòa Torino «L’Echo Francis »
da Parigi in cui un ignoto corrispondente faceva il
resoconto della famosa accademia magnificando in
parodia la bellezza del discorso inaugurale, delle
poesie recitate e descrivendo l’entusiasmo del pub
blico affascinato.
L’articolo, pieno di spirito, di cui si cercò per
anni ed anni l’autore, era nientemeno che di Camillo
Cavour. Però, l’invidia e la calunnia che già avevano
assalito a Venezia il cantore del Tasso, non manca
rono di insidiarlo anche a Torino. Se Angelo Brof
ferio, direttore del «Messaggiero Torinese », coi suoi
redattori P. A. Paravia e il feroce epigrammista
Angelo Baratta esaltavano il Prati, egli era combat
tuto e denigrato dai santoni dei classicismo che
facevano capo alla «Gazzetta Piemontese» diretta
dal poeta della
Sonsumbuis
e della
Norma:
Febee
Romani.
II cantore di Edmenegarda, dalk vena sempre
abbondante e facile, si lasciò trascinare in ima pole
mica infebee, dedicandoal Romaniunasatirafirmata:
«Unerrante giullare», che apparve sul «Messaggiero».
n«M»m resti? Fai bene amico
argento nuovo, vM db antico!
Ho k tw ris e latto • rifatto.
Sii baaadattu!
certa p r u a che gli è aa
Figurarsi se il Romani stava zitto! Non si trat
tenne dallo scaraventargli uno di quei sonetti che
non solo sfiorano la pelle, ma la bucano addirittura:
Questi che il nome di giullare piglia,
non è giullare; ma ruffiano e spia
venuto ad un congresso di famiglia
con Baratta, Brofferio e Paravia.
Non era veramente degno dell’elegante ed azzi
mato Romani un sonetto che sconfinava dalla pole
mica per cadere nella trivialità, e ben più corretto
si dimostrò il Prati rispondendo in versi garbati,
mentre a rivendicare l’amico, il Brofferio pubblicava
un’ode per cui il Romani andò in bestia e lanciò
contro il cjgno di Dasindo, un epigramma terribile:
Vendè a Venezia la sua moglie Prati;
nell’ospizio gettò dei trovatelli
i figli; or sendo i carmi svergognati
che da vender gli resta? I suoi fratelli.
E, sempre a quanto riferisce Carlo Giordano nella
sua biografìa sul Prati, il Prati tacque; ma per lui
rispose il Baratta con una frecciata che toccò sul
vivo il focoso Romani:
Quale ruffiano al pubblico
Roman mi segna a dito;
ohimè divento pallido...
sua moglie m'ha tradito!
La terribile polemica si chiuse in malo ... >,
poiché al povero Baratta fu tolto il cavalierato della
Corte Sabauda e minacciata la sospensione dell’ap
pannaggio e La Margarita pose alle calcagna del
Prati diverse spie, in attesa di dare lo sfratto all’o
spite importuno che turbava la quiete di Torino e
inaspriva Romani, che godeva gran favore presso
la Corte.
Quantunque il Prati fosse miope, non tardò ad
accorgersi che era costantemente pedinato.
Finse di non avvedersi, seguitò a frequentare i
salotti torinesi raccogliendo allori e sorrèi di belle
dame, sino a che gh amici lo avvertirono che il
Ministroaveva tutto dispostoper cacciarlodal Regno.
Il Prati si dispose con dolore ad abbandonare
Torino, quando lo colse una fiera polmonite che per
poco non lo trascinava alla tomba.
Allora egli ebbe la prova superba dell’amore che
Torino gli portava. La malattia del poeta tenne in
ansia l’intera cittadinanza. Si chiedevano notine ad
Ogni ora e la sua morte sarebbe stala considrrats
come ma pubblica ed imparabile sventura. Fu cu
rato con infinito amore <hdla fuaig
che lo ospitava; i suoi amari non k>
prodigandosi nei riguardi, nefl’anàstenza a
dopo un mese, riapparve pallido e più
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