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VITTORIO CAVALLERI

religiosa commozione Egli esaltasse Roma (dopo i

ritorni dalla capitale in quell'epoca, con Davide Ca­

landra, l’elettissimo, indimenticabile Artefice, troppo

prematuramente scomparso all’alta, affettuosa nostra

ammirazione —

*la grande perdita che impareremo

a misurare sempre più in avvenire

»come aveva occa­

sione di scrivermi S. E. De Vecchi in una Sua lettera

del settembre 1915 (per le lunghe laboriose pra­

tiche originate dal cambiamento di sede della Pro­

motrice) non può esser dubbio che solo Figli come

questi potessero essere chiamati un giorno alle grandi

audacie, alle dedizioni complete, alle mirabili opere

ricostruttrici cui abbiamo assistito ed assistiamo,

che alla grande Madre, per volere e sotto la guida

del Duce, conservassero, ed assicurassero nel futuro,

il primato imperiale nel mondo. Ed in Cesare Maria

I)e Vecchi, particolarmente, la Fede, il fervore, la

vasta dottrina, la ferrea, rìgida costanza nel disim­

pegno d'ogni mandato e nell’acuta disamifia d’ogni

problema, che le varie circostanze richiedessero, ben

potevano fin d’allora far presagire in Lui il futuro

Capo delle più gloriose istituzioni storico-culturali,

nazionali ed il Presidente di quell’Esposizione d’Arte

Sacra Cristiana, che per le sue altissime finalità spi­

rituali ed estetiche è destinata ad assicurare i più

salutari, benefici frutti per il sempre più luminoso

ascendere della Patria.

Sotto sì preziosi auspici ho visitato per la prima

volta Vittorio Cavalieri e mi si rivelava tutto il

fascino e la forza della sua arte.

Quando ritornammo, con la macchina un po’

trasformata in piccola e villerecciamente civettuola

serra dalle rose, molte rose, di quel romitaggio,

l’animo si sentiva più purificato e fatto migliore, e

mal sopportava il febbrile movimento della città...

«

L a figura del C avalieri è m aschia e sim patica, il

suo

sorriso bonario, il suo discorso sem plice e conciso,

nessuna posa, nessuna pretesa, nessuna ostentazione

d i lu i. È modesto e schietto, ha fede d i prim itivo, abi­

tudini d i cenobita, salute d i ferro

». Cori, con pochi

decisi, felici tratti, presentava Giuseppe Lavini, in un

suo

scrìtto, il Maestro quale realmente è.

Nato nel 1860 a Torino, all’età di 16 anni, per

allontanava definitivamente le preoccupazioni del

padre (quelle, d’altra parte, anche di altri genitori

i cui figli si affermarono invece poi realmente artisti

di razza), che desiderava vedalo avviato ad una

sicura sistemazione nella vita, lo accontentava en­

trando come impiegato in una ditta di stoffe afl’in-

grosso, rimanendovi però solamente un anno

e cori, nel 1878, lasciato

sua grande aspirazione,

demia Albertina, dove ebbe a

Giuseppe

per qualche tempo

il cono inferiore, e

3

cono superiore di pi

Al Cavalieri, come a tutti i giovani del suo tempo

che si dedicarono all’arte, era riservato poi anche

il dono provvidenziale di subire tutto il fascino e

l’influenza della memorabile Esposizione Nazionale

che si teneva nel 1880 a Torino. Esposizione, che,

oltre alle opere di pittura e di scultura dei nostri più

illustri piemontesi, ospitava quelle di Morelli, Maccari,

Tedesco, Ussi, Gemito, De Nittis, Favretto, Mkhetti,

Gerace, Achille D’Orsi, Ferrari, Franceschi, Dall’Oca

Bianca, Pagliano, Faustini, Joris, Esposito, Caprile,

Jacovacci, Rubens Santoro, ecc. Tutta una luce

vivissima che si diffondeva, rivelatrice dei valori

artistici di tutta Italia, ed alla cui salutare azione

si consolidavano posizioni già conseguite, si abbando­

navano vie intraprese, si perseguiva maggiormente

in vocazioni già profondamente radicate, e questa

mostra, utile ammaestramento per molti, fonte di

scoramenti e di illusioni per altri, che costituì una

delle più superbe dimostrazioni dell'attività arti­

stica nazionale, non v’è dubbio che contribuì ad

accendere di sempre maggiore entusiasmo anche il

vari coni

volta.