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ESPOSI Z IOSE 1SS4 E (OSTR I 'Z I OS E BORGO MEDIOEVALE

tranviarie urbane e undici esterne. Nel 98 — epoca

della prima guida compilata dal Borbonese — ve­

dremo il servizio tranviario già elettrificato per cin-

quantaquattro chilometri, mentre trenta continuano

con la trazione a cavalli da sostituirsi, a mano a

mano, con la trazione elettrica entro il 1899.

Torino dell’84! Il cartello dell'Esposizione, denso

d’emblemi, non potrebbe rappresentar meglio il gusto

del tempo. Vi campeggia una giovane matrona in

ampia tunica, con una turrita corona sull’opulenta

capigliatura svolazzante intorno agli òmeri. La destra

regge una specie di scettro terminante, in cima,

con una tavoletta che reca le iniziali F. li. R. T.,

sormontata da una lupa. L ’Italia! Roma! Ai piedi

della donna, un cherubino sembra porgere lo stemma

di Torino. A sinistra, per tutta l ’altezza del cartello,

si drizza l’asta d’un vessillo, alla cui lancia è appeso

uno scudo con l’aquila sabauda. Il vessillo — a

oritìamma — si distende, si piega, si riapre, termi­

nando, al margine opposto, in un complicato gioco

di nastri. Non manca nulla per provocare lo sdegno

d’un novecentista. Al basso, una fascia reca in

quattro lingue le indicazioni: « Industria - Agricol­

tura - Belle Arti. Galleria del Lavoro in azione.

Memorie del Risorgimento Italiano. Sezione Inter­

nazionale d’Elettricità. Festeggiamenti ».

Nel fondo del cartello, poi, un particolare col­

pisce subito: c ’è la Mole, ma senza la sua parte supe­

riore, senza l’arditissima guglia che domina oggi il

panorama da 167 metri d’altezza. Allora la costru­

zione dell’Antonelli si fermava alla cupola, toccando

appena i 120 metri. Non sarà inopportuno ricordare

che era stata cominciata nel 1864 per iniziativa e

a spese della Comunità Israelitica per fame il pro­

prio tempio; giunta a circa 55 metri, causa dissensi

sorti nella Comunità, i lavori s’erano interrotti per

un decennio: nel '77 il Municipio acquistava il fab­

bricato per 250.000 lire allo scopo di terminarlo e

l'anno seguente, morto Vittorio Emanuele II, il Con­

siglio Comunale, radunato il 24 aprile, deliberava

di dedicarlo come ricordo nazionale alla memoria

di Lui, istituendovi un Museo del Risorgimento. Nel

'98 l’edificio era solo finito aH’estemo: dentro si

lavorava ancora alle decorazioni.

Tutti sanno che, morto nell’88 l ’ideatore archi­

tetto comm. prof. Alessandro Antonelli, i lavori

furono continuati sotto la direzione del figlio, cav. Co­

stanzo. Meno noto è che all’audace costruzione potè

lavorare dall’inizio alla fine, per più di 35 anni, un

bravissimo operaio: Vercellino Bosio, di Selve Mar-

cone (Biella), il quale, dal '78, aveva assunto le

delicate mansioni di assistente-capo. Al Bosio —

rileva un cronista del principio del '900 — si deve

se « in cosi lungo periodo di tempo e in una costru­

zione così difficile e pericolosa, non si ebbe a lamen­

tare la menoma disgrazia ».

Divagazioni e minuzie a cui la mente s’abbandona

curiosa. Come non indugiarvi? Quadretti gustosi

affiorano dalle pagine, sparse in rassegne o riunite

in libri d’occasione, che ritraggono la vita torinese

in prossimità dell’84, massime la vita all’aperto.

« Tutto vi segue sistematicamente», scriveva Alberto

Arnulfi, «nell’ordine più perfetto, con la maggior

calma, con la compostezza propria delle popolazioni

settentrionali. Si parla sottovoce, si ride a fior di

labbro, si gestisce con parsimonia e si mantiene

nella circolazione la più rigorosa osservanza di quella

tacita convenzione per cui ogni buon torinese contrae

l’obbligo di camminare, vita naturai durante, con la

sua spalla destra rasente il muro ». E Edmondo

De Amicis: « L ’ordine è nella folla come nell’archi­

tettura: passa una processione a destra e una a

sinistra d ’ogni strada, Luna opposta all’altra. Tutti

camminano guardando diritto davanti a sè; si di­

scorre senza rallentare il passo; poche conversazioni

ad alta voce; si parla a frasi spedite, gesticolando

in uno spazio circolare di non più di due palmi di

raggio ». Nulla di strano.

La città ch’era stata per quasi un ventennio con­

vegno di condottieri e d’uomini politici, ospitale ritrovo

di profughi, fiammeggiante crogiuolo di alte idealità,

sempre in moto e in sussulto, vigile e ansiosa, tra

guerre, agitazioni e congiure, finita vittoriosamente la

lotta avvertiva il bisogno di abitudini più pacate come

per un legittimo riposo dopo il grave sforzo compiuto.

Ma in questa Torino placida e metodica, successa

alla Torino guerriera e cospiratrice, l’annunzio d’una

grande esposizione nazionale risuonò certo come

diana di risveglio, appello a nuove feconde battaglie

civili. Era la prima esposizione che la città si prepa­

rava a organizzare dopo l’Unificazione. L ’idea d’una

serie di Mostre a carattere intemazionale era bale­

nata a un comitato cittadino fin dal 1868: vi aveva

aderito il Municipio; un contributo di tre milioni

aveva promesso il Governo. Al progetto si era poi

rinunziato per la non lieta situazione economica

nazionale. Rinviata al 1875, la proposta tramontò

una seconda volta per il permanere delle stesse cause.

Nel '71, però, si attuava una Mostra Campionaria

indetta dalla Società Promotrice dell’industria Na­

zionale: era un saggio realizzato con mezzi modesti

e che fece sentire più viva la convenienza d’una

Mostra Industriale Italiana.

L ’anno 1881. a poco più di tredici mesi dallo

studio del progetto, Milano inaugurava la sua Espo­

sizione Nazionale, giudicata « un miracolo di atti­

vità », si che « per molti », riconosceva l ’on. Edoardo

Daneo, «essa ebbe l’importanza d’una rivelazione ».

Ma, preparata rapidamente, molte provincie non

avevano- fatto in tempo a parteciparvi: donde il

desiderio che un’altra esposizione, da aprirsi a breve

scadenza, raccogliesse effettivamente i prodotti e le

manifestazioni industriali di tutte le provincie del

Regno. Fu allora che due coraggiosi torinesi, il pub­

blicista Baldassarre Cerri e l’industriale Angelo

Rossi, riaffacciarono il progetto d’una vasta rassegna

in Torino dell’intera produzione italiana.

L ’idea — rammenta il Daneo nella sua Relazione

Generale pubblicata in due grossi volumi dalla Stam­

peria Reale G. B. Paravia — fu comunicata a pochi