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ALTO CANOTTAGGIO SUL PO

Prime luci dell’alba risvegliano

un cielo imbronciato. Dalla ban­

china dell’« Esperia » si staccano

tre imbarcazioni: due jole a

quattro vogatori ed una imbar­

cazione per otto vogatori alla

veneziana. Questa, più delle due

consorelle minori, dà l’impres­

sione della stigia barca di Caronte

di dantesca memoria. Poche brac­

ciate e si è già al primo ostacolo:

la diga di piazza Vittorio. La

manovra si compie rapidamente,

sollevando le imbarcazioni alla

riva e facendole scivolare su dei

rulli.

Ho il tempo di ricordarmi

che qualchecosa di simile deve

aver fatto Temistocle quando fece

navigare in terra ferma la flotta

Ateniese per concentrarla rapi­

damente nelle acque vittoriose di

Salamina; ed ho pure il tempo

di suggerire mentalmente ad un

Consorzio fra le Società di Canot­

tieri l’installazione di una gruetta

e di un breve pontile lungo la

sponda, mezzi che faciliterebbero enormemente la

manovra.

A valle della diga incomincia realmente il viaggio.

Io, Polibio del periplo, sono insediato a poppa e,

da completo parassita sportivo, non ho neppure la

responsabilità del timone; che questo non esiste.

Il

cielo inclemente vibra la prima offensiva; una

sorta di rifugio sotto le arcate del ponte Regina

Margherita induce i gagliardi ed inzuppati canottieri

a dare un attacco anticipato ai viveri. Ma il capo

voga, esperto e cordialmente autoritario, spia un

lieve accenno di miglioramento metereologico e fa

riprendere la via.

Con il finire delle ultime propaggini della città,

all’altezza di Sassi, si entra nella solitudine. Oltre­

passato il tratto in cui, alla confluenza della Stura,

il Po si allarga e le sue acque moderano la corrente

fino a dare l’impressione di un lago, ho la sorpresa

di un volo di gabbiani, uccelli

che ritenevo unicamente marini,

e mi compiaccio del loro istinto

esploratore che li ha indotti a

risalire la terra ferma per fare

dei paragoni gastronomici fra i

pesci di mare e quelli di acqua

dolce. Stridono nel volo agitato;

ma gli aironi, solitari e sonnolenti

filosofi, indugiano sulla lingua di

sabbia e se ne staccano a malin­

cuore quando le imbarcazioni

giungono al loro traverso; un

volo pigro, a lenti battiti di ala

che fa pensare a quello che do­

vevano essere gli aeroplani pri­

mordiali.

L ’Orco, che si getta nel Po

con una violenza a cui fa con­

trasto il dolce abbandono con cui

le due Dorè si fondono con il re­

gale amante, dà una brusca fian­

cata che il padrone della barca

neutralizza con esperta e disci­

plinata manovra di remi. Tal­

volta il letto del fiume si restringe

alle dimensioni di un ruscello,

quasi che il grosso delle acque abbia preso una

via sotterranea. Ma è un inganno: quello che si è

perduto in superfìcie si sviluppa in profondità, e la

corrente impetuosa, combinata con il robusto im­

pulso dei remi, fa sfuggire la sponda con una rapi­

dità impressionante.

Il

ponte di Chivasso offre una nuova sosta di

riparo alla pioggerella insistente; si trasportano a

terra viveri ed indumenti; degli sterpi, che il decre­

scere delle acque ha abbandonato in un groviglio

che pare saldamente radicato nel greto, sono tra­

scinati presso l’improvvisato bivacco ed, accesi dopo

molta fatica, valgono ad asciugare parzialmente corpi

e vestiario.

E si riprende il cammino, decisi a non interrom­

perlo più fino alla mèta. Sfilano sulla destra le alture

pittoresche del Monferrato, popolate di cascinali e

tratto tratto nobilitate da un maniero.

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