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a a r r i

Giuseppe Bara lla : il cavaliere senza camicia

G

iuseppe Baratta, il cavaliere senza camicia, non

fu propriamente un torinese, ma poiché parte

della vita condusse nella Torino del secolo scorso,

ove lavorò e morì, assumendone lo spirito, il tipo,

i costumi, possiamo annoverarlo tra quelle mac­

chiette che formarono il gusto dei nostri nonni e

bisnonni e costituiscono tuttora la cura amorosa e

vigile dei vecchi amanti del « color locale », cui

è

nell’animo la nostalgica poesia, non priva di un

certo fascino, delle cose passate.

Ma l'epigrammista Giuseppe Baratta avrebbe

dovuto interessare non soltanto i ricercatori di me­

morie e gli studiosi del tipo, perchè merita di

eccellere fra i non molti scrittori di punte e botte

del secolo X IX , per un’indubbia facoltà che posse­

deva di saper pungere acutamente,senza pur tuttavia

straziare le carni.

Fu sopratutto un osservatore saggio dell'esistenza

sua e dei suoi simili, che amò divertirsi con le gibbo­

sità morali, anziché scudisciarle con il veleno o l’in­

vidia nel cuore, e se talvolta andò fuor dei gangheri,

ciò accadde quasi sempre a ragione; ma intese che

dal suo sfogo fosse lontano l’odio e l’ingiustificato

livore.

Uscito dalla carriera consolare, dopo un soggiorno

in Turchia, nel quale sembra che si sia indebitato

più del lecito, per amore del gioco e delle donne,

prese a vivere a Torino, in un’indipendenza assoluta

di vita e di costumi, il che lo condusse spesso a non

saper combinare il pranzo con la cena.

Ma è senza dubbio da ammirarsi il modo con cui

sopportava la sua vita, con stoicismo e continua sere­

nità d’animo e d ’umore.

Sembra che il soprannome di « Cavaliere senza

camicia » gli sia derivato dal fatto di esserne stato

privo per parecchi mesi.

Senza casa egli lo fu spesso ed allora si recava al

caffè Alfieri, sotto i portici di Po, che chiudeva i

battenti alle tre di notte e vi si fermava fino alla

chiusura, schiacciando un bel sonnellino, indi pas­

seggiava per un paio d’ore sotto i portici in attesa

che si aprisse il caffè San Domenico, dove accorreva

a finire il sonno interrotto dalle deambulazioni not­

turne.

Migliorarono le sue sorti per merito specialmente

dell’editore Pomba che prese a volergli bene e gli

procurò lavoro di continuo discretamente rimune­

rato, ma soldi in tasca il Baratta non riusciva mai

a tenerne e morì, ricoverato all’Ospedale Mauriziano,

in seguito ad una grave ferita al capo, procuratagli

dalla caduta di un ramo di quercia, cadutogli addosso

mentre passeggiava nei viali della Cittadella.

Un giorno prima di morire, come un novello

Cirano, seppe argutamente sorridere sulla sua di­

sgrazia che pure gli costava la vita:

A lieto premio del mio lungo canto

di quercia un ramo desiai soltanto,

ma la Città, che il toro ha per bandiera,

m’incoronò con una quercia intera.

Ei fu uomo di carattere e d’umore affatto origi­

nali, di vivace intelligenza, forse di eccessiva trascu­

ratezza del proprio decoro. Amò la vita avventurosa,

intessuta d’impudenze, d’imprevidenze e pur troppo,

talvolta, di debolezze. Aveva in animo e diceva di

scrivere un’infinità di roba: storie, poemi, liriche,

romanzi, memorie di viaggi e via dicendo, ma lo

pensava soltanto e tutto il suo ingegno e la sua atti­

vità consumò in lavori notevoli per inutilità, in arti­

coli che trovavano posto e non lauto compenso

(cinque lire per uno) nel • Mondo Universale » di

Davide Bertolotti, in numerose poesiole d’occasione

di cui s’era fatta una specialità, in cicalate di pro­

grammi per associazioni librarie e negli epigrammi,

nei quali aveva felicissima l’invenzione, l’aggiusta­

tezza, la concisa brevità, la vibrata malizia.

Fu giudicato un parassita perchè non sdegnava

gl'inviti a pranzo. Ahimè, con la fame non si ragiona,

conveniamone.

Alto, magro, sbarbato, calvo, adunco il naso, pic­

coli e vivaci gli occhi; un sogghigno tra l’allegro ed

il malizioso gli schiudeva il labbro sottile; portava

in testa un cappello archeologico, un cravattone nero

gli fasciava il collo e vestiva un abito di panno nero

che mostrava la corda, il verde e la trama. Lo por­

tava accollato per l’assenza di quell’indumento che

si ha il pregiudizio, secondo Baratta, di credere

efficace per la pulizia e che è volgarmente detto la

camicia.

Simpatia, a tutta prima non l’ispirava, ma se

cominciava a discorrere, l’interlocutore restava a

bocca aperta. Era un repertorio inesauribile di motti,

d'arguzie, di aneddoti, d’inezie.

Assai aveva veduto del mondo e si era persuaso

che, in esso, impera sopratutto la vanità. Aveva

studiato gli uomini, li aveva conosciuti e li disisti­

mava, satireggiandoli come vedremo.

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