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dei notai); era il gran cancelliere del palazzo

imperiale, ma col tempo prevalse per la parola

twtnrio

il significato attuale.

Nell’ordinato torinese del 1375 leggiamo

scribae

, mentre in documenti coevi e più

antichi, rogati in Torino, il notaio si chiama

notori u$;

in taluno di epoca più remota si

chiama

tabularius

ovvero

notarius et iudex

sacri palatii

;

il gruppo degli uomini di I^egge

è quasi sempre il primo nelle precedenze

e potremmo pensare che quegli

scribae

così

fo.-sero chiamati con parola di vecchia con­

suetudine; ma è probabile che comprendes­

sero i funzionari del Principe ed anche quelli

del Comune, indicati nell’ordinato col nome

di

ojficiales

;

infatti il cap. LV degli Statuti

torinesi condanna lo

scriba curie

che sia in ri­

tardo.

pulsato signo,

a pagare una multa; il suo

mandatarius,

ossia il « messo » ad una minore.

Ritenuto dunque che ognuno di quei gruppi

elencati nell’ordinato del 1375 dovesse offrire

un cero grosso, simile a quello pasquale,

farciamo ancora alcuni rilievi.

La processione e l’offerta dei ceri non

era tutto; nella notte si faceva un grande

fuoco nella piazza del Castello e perciò i

collaboratori del Vice-vicario si godevano

i denari del Comune

ad bibendum

e ne spen­

devano

ad inllumenandum

(8).

Di questa festa e particolarmente della

di>tribuzione che vi si faceva di farina, di

vino e di altre cibarie (9) in « Il Duomo di

Torino » periodico mensile (1° giugno 1927),

pubblicò un articolo interessante il cano­

nico mons. Luigi Benna che lo dirigeva; la

dMribuzione gratuita di viveri, talvolta of­

ferti da privati, era nelle consuetudini di Roma

imperiale; la stagione di S. Giovanni, a riserve

esaurite, per molti era tempo di grande neces­

sità: dal IV secolo, risulta che la distribuzione

era spesso fatta per mezzo dei Vescovi.

• • •

Ksaminando l’ordine dei gruppi ed i gruppi

stessi elencati, rileviamo quelle

dominoe

e

qui i

domicelii

che vengono per primi; nel

testo si nominano i

nobiles

prima degli

artiste

* d»*gli

ojficiales

, e si deve ritenere che a quelle

dame ed a quei donzelli o paggi si alluda con

qat-l

nobiles

ed a quegli

scribae

(10) con quegli

•ficiales

dell’ordinato. Abbiamo già rilevato

ebe gli

albergii

OMÌa i grappi nobiliari più

r

t**nti erano stati esclusi dall’onore del cero.

questa esclusione che lascia perplessi; perché

i nobili e ricchi degli

alkrrgii,

sarebbero stati

caricati di più, trattandosi di onere, anziché

esserne liberati, da chi procedeva in odio loro.

Sul ventesimo gruppo, ossia sugli «

asini

»

due sono le opinioni: l’ una ritiene che si tratti

di un errore di scritturazione, ossia che si

debba leggere

asinariorum

anziché

asino-

rum

(11), l’ altra che si tratti di una delle solite

badie degli stolti, o dei giovani, che talvolta

prendevano anche nome dagli asini (12). Non

è da escludersi un fondamento alla prima,

perchè gli asini erano particolarmente usati

nei trasporti dalle colline alla Città di Torino,

ed i loro padroni ed accompagnatori dove­

vano essere molti, così da costituire una

categoria particolare.

Per fa seconda c’è soltanto una presunzione

fondata sulla supposta esistenza dell’Abbazia

degli stolti, o dei pazzi, di cui non si ha certa

notizia (13), che risalga al secolo X IV ; un

indizio potrebbe trovarsi in quei

sotii,

del­

l’ordinato del 1374, che vegliano la notte

di S. Giovanni; ma pare accertato che gli

stulti

torinesi si chiamarono

sodi

più tardi (14);

l’ accostamento agli

scholari

nare indizio troppo

lieve, e troppo pungelllC.

È da rilevarsi che vengono dopo, nel­

l’elenco, due categorie di uomini addetti alla

pastorizia ed all’agricoltura, i

bergerii

ed i

bebulchi

(15) e prima si trovano i

vignolandi

(16)

ed i

sechatores

(mietitori e falciatori di fieno).

I

lanateri

, distinti dai

testores

, erano i lanaioli,

che ammassavano la lana, la facevano filare e

tessere e svolgevano il commercio dei panni-

lani. £ questa l’unica professione che negli

Statuti del Comune di Torino (17) abbia una

regolamentazione particolareggiata, dal punto

di vista tecnico; di più, i

lanateri

sono sog­

getti alla vigilanza di due

inquisitores

nomi­

nati dal giudice del Comune fra i

mercatores

esercenti l’ arte della lana; i due così eletti

insieme con il giudice o con un suo delegato

assicurano l’osservanza delle norme stabilite.

A proposito dell’arte della lana, non è

da dimenticarsi che in Torino era una casa

di Umiliati in regione Camporella (18) che

doveva essere fuori di Porta Susina con una

chiesa intitolata a S. Cristoforo (19); un frate

Pietro, preposto degli Umiliati, veniva con­

fermato

massarius

del Comune nel 1333 (

20

)

e lo era ancora nel 1335.

Per i testores e le

testrices

, tessitori di tela,

di canapa o di lino, gli Statuti (21) *»■■■«

una breve prescrizione per le iHnm iiw i

delle pezze. Negli Statuti usa v’ha trac­

cia di associazione alcuna fra i iamtfm, e

neanche éi qualsiasi forma di ramni o

di