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corpi a base professionale o coiporativa;

anzi (22), nella Città e nel suo distretto «

nisi

ralione mercandie seu negotiationis nulla fiat

societas rei conventicula seu conspiratio illicita

et fraudolenta rei tractatus aliquis predicto-

rum. nisi de mandato domini speciali

*>; sono

lecite, dunque, soltanto le società commer­

ciali.

Ma un altro capitolo (23) fa obbligo al giu­

dice di curare «

ut debita conjraternitarum et

cereorum beati Johannis Baptistae solvantur et

quod ipse confraternitates et cerea manute-

neantur more solito

,

sine libello vel alia juris

sollemnitate

». Dunque, confraternite e

cerea

,

che qui darebbero per gruppi di persone e di

esercenti commerci e mestieri secondo una

tradizione antica, sono tenuti ad osservare

la consuetudine, ormai priva di sanzioni

nella legge municipale, mentre nell'ordinato

del 1275 era data facoltà ai

sapientes.

qua­

lora la « grida » avesse avuto esito nega­

tivo, di applicare l'ammenda ai recalcitranti;

segno certo che la comminatoria della pena­

lità era stata introdotta per tentare di man­

tenere in vita una tradizione che andava

spegnendosi. Negli Statuti della Società di

S. Giovanni Battista (24), società del popolo

in antagonismo con quegli

albergii

che abbiamo

visto più sopra, il cap. 19 contiene la formula

del giuramento che ogni iscritto deve pre­

stare. dove è detto « ...

et totis riribus resistam

quod non fiat in Taurino vel districtu nec per

alias personas aliqua alia societas. confederati

,

vel coniuratio ».

Anche la Società popolare si propose che

in Torino non av sse a sorgere altra associa­

zione di qualunque genere.

• • •

Ritorniamo quindi a quelle

conjraternitates

ed a quei

cerea

previsti dal cap. CCLI11 degli

Statuti del Comune.

Escludiamo ebe le prime fossero a base

professionale ed economica; il Chiaudano nel

suo acuto esame della Società del Popolo,

ricorda, riparando una omissione del pur

diligente Monti (25), alcune confraternite tori­

nesi che risultano proprietarie d'immobUi;

credo di poter affermare che quasi ogni par­

rocchia avesse la propria; parecchie di esse (26)

e talune chiese suburbane avevano l'ospe­

dale; primo fra tatti quello di S. Giovanni

che sopravanzo tatti gli altri.

Rileviamo ancora che il cap. CCCXII degli

Statati del Cornane commina pene a chi

rimuove i termini divisori, siano pure «

comune

universitas aut collegium alicuius loci

»; anche

qui è da escludersi che si alluda a gruppi

professionali. Non rimane quindi che fissare

l'attenzione su quei

cerea

e rilevare che sono

ventidue o ventitré i gruppi professionali

che li forniscono e li seguono nella proces

sione; altri gruppi sono quelli delle dame e

dei

domicelli

, di Grugliasco, degli scolari,

frequentatori dello studio dove insegnava

un

magister

nominato ogni anno dal Consi*

glio d>1 Comune; può aggiungervisi quello

degli

asini

se si accetta la tesi della Società

degli stolti, o dei giovani, chiamati burle­

scamente asini.

Come fossero raggruppati quegli artigiani

o bottegai o salariati e come fossero regola

mentate le loro associazioni di fatto, sfugge

all'indagine; però è utile una breve analisi.

Vediamo quattro categorie di addetti all'agri

coltura: vignaioli, mietitori (e falciatori di

erba), pastori, bovari, ed ancora una quinta,

lavoratori non qualificati, la cui opera per

lo più è locata a proprietari di terre; è un

fatto notevolissimo, perchè eccezionale, con­

trastante con i consueti quadri corporativi

dei comuni manifatturieri o marinari di quei

tempi; abbiamo ricordato più sopra certi

statuti siciliani, perchè questo fatto vi si

manifesta nello stesso modo.

Degli artigiani propriamente detti, i grup

sono otto: sarti, fabbri ferrai, cordai, fai

gnami. lanaioli, conciatori, tessitori e m

gnai; altri sei gruppi sono di negozian

e bottegai: mercanti, macellai, rivendita

di pane, speziali, mugnai, barbieri, cui devo

aggiungere pescatori ed albergatori. Non

sulta che questi gruppi fossero distinti

maggiori e minori come avveniva fra

scholae

e quasi sempre fra le

corporozio

d'Arti e Mestieri; nè che fosse istituita, co

a Bologna ed altrove, una magistratura civic

già comitale o regia, con funzioni discipli

Se si confrontano con i paratici milan

o con le arti fiorentine di quel tempo, cert

mente le sparute categorie economiche

una Gttà di Torino con quattro o cin

mila abitanti, non possono reggere il p

goqe; ma il fatto stesso della loro sussiste

in quella forma e nella loro piccola enti

ha un'importanza documentaria tanto

giore, quanto minore appare la loro gi

ficazione storica basata su l'interesse

mico.

Quale tradizione, sacceduta ad istituti

blici o ad associazioni private, si sia

nata attraverso i secoli, per arrivare alla fine

del secolo XIV, non possiamo, allo stato dei

documenti, accertare, ma possiamo fare al­

cuni rilievi fondati.

Sussistevano, coeve, come abbiamo visto,

le Confraternite presso le Parrocchie; gli

scopi cui l'anima religiosa aspirava, potevano

venire raggiunti per mezzo delle Confrater­

nite, se si voleva con esse raggiungere bene­

fici in vita e

post mortem;

non abbiamo notizia

di

consorcia

quali troviamo a Biella, su larga

base professionale (27), nel secolo X III, o

della specie di cui uno a Ivrea (28) ed in

altri luoghi molto tempo addietro, formati

da ecclesiastici e da laici; la

consorzia

di San

Giovanni (29) non vi si può ricongiungere.

Bisogna quindi ricercare più in là e notare

che la bevuta prevista dalla consuetudine,

probabile residuo di assai maggiore imbandi-

zione, con i fuochi e con l'inizio delle ferie delle

messi (per gli

officiales

, di riposo, ma per i

lavoratori dei campi, di maggior fatica),

coincidono con la festa patronale che a Torino

è S. Giovanni: ma non hanno certamente ori­

gine religiosa cristiana; quei gruppi che portano

spontaneamente o per costrizione il cero, sono

gruppi prevalentemente, ma non esclusiva-

niente professionali; a Torino non vediamo fra

questi i muratori, probabilmente perchè erano

stranieri al Comune (30), invece a Palermo i

for­

giatori seu zingari

, ed i mastri da muro, anche

se oriundi lombardi, avevano posto nello

ordo cereorum

della processione del 15 agosto,

mentre a Roma nella medesima processione

avevano posto designato esclusivamente i

gruppi romani di esercenti manifatture, me­

stieri, negozi.

Risaliamo adunque alle venticinque Cor­

porazioni di cui tratta

Veparchikdn biblion

del secolo X (31), alle cerimonie di quel tem­

po (32), nonché alle «

Honorantiae civitatis Pa­

pine

" (33), e, senza addentrarci in congetture

ohe ci porterebbero troppo lontano, possiamo

tranquillamente ritenere che anche a Torino

abbia fondamento la tesi di una ininterrotta

continuità di associazioni prevalentemente

su base professionale, dal tempo più remoto

legate tradizionalmente a manifestazioni fe­

stive precristiane.

Il

documento torinese che riproduciamo

direttamente dall'originale nella parte che

riguarda questo breve

excursus

è importante,

prrchè prova sassistere in Torino, ancora nel

•croio X IV , una tradizione, anzi, di piò,

una consuetudine, che in un primo teaapo è

"pontaneamente osservata e poi fatta « s e r ­

vare con la comminatoria di ammende e

finalmente, spenta.

Non appare infondata la congettura che

il tramonto della processione dei ceri sia

dovuto allo sperdersi di una tradizione delle

ferie delle messi e dei fuochi detti di S. Gio­

vanni e che a quella dispersione non sia

rimasta estranea la stessa Autorità religiosa

che sappiamo, ancora in quel secolo e più

nel successivo, aver dovuto energicamente

vietare che nella Cattedrale entrassero quadru­

pedi e carri nella festività di S. Giovanni.

• • •

Purtroppo al giorno d'oggi conosciamo nulla

che ci dia elementi per studiare quei gruppi

professionali torinesi; non sappiamo a quali

altri scopi fossero costituiti e non siamo quindi

autorizzati a fare delle ipotesi; ma citiamo

documenti che hanno una importanza indub­

bia.

Senza dimenticare mai che le codificazioni

medioevali seguono 1*» consuetudini e queste

tramandano le tradiziuui, ricordiamo che la

Chiesa è, in questa materia, preziosa conser­

vatrice; orbene, in un rotolo pergamenaceo

che è nell'Archivio Arcivescovile di Torino (34)

troviamo che l'8 agosto 1303 il Vescovo Te-

disio cede i proventi della

curaya

(o

curavia

,

da

curator viae

secondo il Solmi), «

qui perei-

pientur et percipi debent et consueverunt

»; era

il « feudo

»

del mercato e corrispondeva al

mercatum

della

Constitutio de regalibus

del­

l'imperatore Federico I (1158), cui si legano,

come il Solmi ha rilevato (35), le attività dei

mercatores

e da cui derivano i

vectigalia quae

vulgo dicuntur thelonea.

Più di cent'anni ad­

dietro l'imperatore Enrico III (1° - V - 1047)

aveva riconosciuto diritti feudali al Capitolo

torinese del S. Salvatore, cui succedette quello

di S. Giovanni del quale faceva anche parte il

Vescovo; cessata la signoria feudale si erano

conservati al Vescovo, che intanto aveva di­

viso la propria prebenda da quella dei Cano­

nici, alcuni residui di

regalie;

una, la

eurmyo

sol mercato era. evidentemente, pagata dai

mercanti e negozianti che vi avevano sede;

i macellai ed i pescatori, ad esempio, avevano

un proprio mercato, dove ognuno aveva la

propria

bmnem

che costituiva diritto immobi­

liare e come a Bisansio nel secolo X , pagavano

un'imposta; il diritto

de pttcmrim

nella Dora

e nel Po, ma altro, e, più curioso, il diritto

di avere da chiunque li pescasse, gli storioni

che

fcsseaps

piè lunghi di un piede e mezzo.